Dura lex, sed lex



Giusta o sbagliata che sia, la legge va sempre rispettata.

Sembra logico, almeno fintanto che si vive in un Paese cosiddetto democratico dove si presuppone che, nel caso la legge sia sbagliata, esista sempre e comunque il modo di modificarla se non addirittura abrogarla.

Ma è proprio così? Facciamo un esempio estremo: supponiamo per assurdo che il Parlamento italiano, in un attimo di follia, approvi una legge che preveda «un limitato uso della tortura» per coloro che sono sospettati di terrorismo internazionale. Impossibile? Al di là del fatto che non mi stupirei se una certa percentuale della popolazione italiana non si sentirebbe poi così scandalizzata alla prospettiva di vedere approvata una legge del genere — purtroppo ho sentito anche proposte peggiori in questi anni — in realtà in Italia la tortura non è un reato.

Non ci credete?

Art.1.1 Convenzione delle Nazioni Unite contro la Tortura del 1984
«Per tortura si intende ogni atto mediante il quale siano inflitti intenzionalmente a una persona dolore o sofferenza gravi, sia fisici che mentali, allo scopo di ottenere da essa o da un’altra persona informazioni o una confessione, di punirla per un atto che essa o un’altra persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, per intimidirla o sottoporla a coercizione o intimidire o sottoporre a coercizione un’altra persona o per qualunque ragione che sia basata su una discriminazione di qualsiasi tipo, a condizione che il dolore o la sofferenza siano inflitti da o su istigazione o con il consenso o l’acquiescenza di un pubblico ufficiale o altra persona che svolga una funzione ufficiale.»

Ebbene, nonostante l’Italia abbia ratificato nel 1987 la convenzione delle Nazioni Unite del 1984 contro la tortura obbligandosi ad adattare l’ordinamento interno attraverso l’introduzione di uno specifico reato di tortura, solo alla fine del 2006, il Parlamento italiano ha dato il via libera a una proposta di legge che stabiliva che, per il delitto di tortura, fosse punito chiunque «con violenza o minacce gravi, infliggesse ad una persona forti sofferenze fisiche o mentali» allo scopo di ottenere da essa, o da una terza persona, informazioni o confessioni su un atto che essa stessa o una terza persona ha compiuto o è sospettato di aver compiuto. Successivamente, nel luglio 2007, la proposta era stata licenziata dalla Commissione Giustizia del Senato. A tutt’oggi l’iter per l’approvazione definitiva della proposta in questione resta bloccato al Senato, appunto, che ancora pare debba decidere sulla calendarizzazione della discussione in aula.

Questo vuol dire che se un poliziotto vi arresta e vi obbliga a stare, ad esempio, per 72 ore sveglio in una stanza con la luce accesa e una radio assordante che vi impedisce di addormentarvi — non è uno scherzo: anche questa è una forma di tortura e neppure fra le più leggere — potrà al massimo essere accusato di abuso di ufficio e anche se condannato, non si farà neppure un giorno di galera. Non è una possibilità ipotetica: è già successo in occasione dei gravi fatti del G8 di Genova, per il quale i giudici hanno sottolineato proprio la mancanza del reato di tortura, lamentando i rischi elevati di prescrizione per comportamenti simili a tortura ma identificati come reati minori.

E pensare che tale reato non esiste solo nei Paesi dell’Unione Europea, ma persino in Paesi come l’Armenia, l’Ucraina, l’Albania, il Brasile e il Mali (dati APT).

Comunque, torniamo al punto iniziale: assumiamo per assurdo che venga approvata una legge che autorizzi un uso “limitato” della tortura in situazioni specifiche. Se scritta nel modo giusto una legge del genere potrebbe non dare alcun appiglio neppure al Presidente della Repubblica per non firmarla, per cui potrebbe tranquillamente passare. Dato poi che, come al solito, si rimanderebbe a opportuna normativa la declinazione di cosa si intenda per «uso limitato» della tortura, finché il corrispondente regolamento attuativo non venisse emanato, la legge in questione finirebbe per giustificare anche atti più o meno gravi di violenza non solo contro carcerati, ma anche semplicemente individui sospettati di atti terroristici o persone in stato di fermo o arresto cautelare sempre per lo stesso tipo di reati.

Per come è fatto il nostro sistema legislativo, un’eventuale revisione della legge in questione in Parlamento o addirittura la sua abrogazione tramite referendum potrebbe richiedere mesi se non anni anche se il 90% del popolo italiano fosse contrario ad essa, specialmente se ci fossero al Governo forze politiche contrarie a tali iniziative. In pratica la legge verrebbe applicata a tutti gli effetti, con tutte le conseguenze del caso.

A questo punto la questione è: se un vostro familiare o amico fosse stato arrestato con un’accusa del genere che, peraltro, voi cosideraste del tutto infondata, e veniste a sapere che lo stanno torturando in Questura, cosa fareste? Accettereste la cosa in quanto del tutto legittima in questo scenario o prendereste la prima arma che vi dovesse capitare sotto mano e con un gruppo di amici andreste a liberarlo? Lascio a voi la risposta.

Ovviamente il caso in questione è alquanto estremo, ma dato che in Italia la tortura non è un reato, forse neppure così inverosimile. Tuttavia non è necessario arrivare a tanto per trovarsi a dover subire leggi palesemente ingiuste sapendo perfettamente che la tipica risposta di fronte a un eventuale protesta — «se non è giusta allora bisogna cambiarla, non violarla» — quella sì sarebbe alquanto inverosimile dato che cambiare una legge, non solo per un singolo cittadino, ma anche per un’associazione di migliaia di cittadini, è veramente difficile e, in certi casi, quasi impossibile.

Ve lo dice uno che l’ha fatto, ovvero che ha lottato per ben 15 anni — non da solo, ovviamente — per far approvare una legge sull’affido condiviso che è stata poi stravolta e modificata in modo da renderla quasi inutilizzabile e far sì che si continuasse di fatto come in passato ad affidare i figli a un singolo genitore in caso di separazione o divorzio (nell’oltre 90% dei casi, la madre). Non solo, dopo aver ricevuto minacce, anche telefoniche, di gambizzazione, dopo aver passato giornate e giornate a manifestare con qualsiasi tempo e vedersi rifiutare il diritto di replica contro quelle lobby che erano interessate econmomicamente a far sì che nulla cambiasse, si è visto vittima di una vero e proprio atto di ritorsiane da parte del Tribunale di Roma che ha rifiutato proprio a lui l’applicazione di tale legge così faticosamente fatta approvare. Ovviamente c’è stata più di una deuncia a riguardo, senza che nulla succedesse. La cosa non è finita, dato che il sottoscritto sta continuando la sua battaglia per i diritti civili dei padri separati attraverso una diffida allo Stato Italiano nell’ambito del ricorso Europeo che l’associazione Adiantum si appresta ad istruire a riguardo, ma il danno ormai è stato fatto è né una condanna — peraltro improbabile in Italia — dei magistrati, né un eventuale risarcimento economico, potranno restituire al sottoscritto gli anni persi e lenire le sofferenze patite.

Per concludere, è giusto obbedire sempre e comunque a una legge anche se palesemente ingiusta? La risposta “ufficiale” è no, ma non dimenticatevi che per ottenere il diritto a votare le suffragette finirono anche in galera. Che le donne non avessero diritto al voto era una legge e l’Inghilterra del XIX secolo non si considerava certo una dittatura, anzi, era ritenuta una delle nazioni più civili dell’epoca, e stiamo parlando solo di poco più di 100 anni fa, non del Medioevo. Stessa cosa per i cittadini di colore americani a metà del XX secolo: nel 1955 negli Stati Uniti, le leggi sulla segregazione erano leggi a tutti gli effetti. Violarle implicava l’arresto e la carcerazione. Non parliamo dell’apartheid in Sudafrica, rimasto in vigore fino al 1990, ovvero solo vent’anni fa.

Quindi, affermare che in Italia, essendo una “democrazia” e un “Paese civile”, opporsi a una legge ingiusta sia ingiustificato, è del tutto discutibile. La Storia ci insegna che la maggior parte dei diritti ai quali oggi siamo abituati, sono stati guadagnati lottando contro Governi e Leggi che all’epoca venivano considerate civili e assolutamente legittime, tanto da essere sostenute da gran parte della popolazione. Spesso il processo di civilizzazione di una nazione e di maturazione di uno Stato è il risultato dell’azione di pochi, non delle masse. Quelle vengono dopo… E comunque abbiamo tutti visto cosa è successo recentemente in Spagna, o no?

Certo questo non vuol dire che dobbiamo rifiutarci di obbedire a qualsiasi legge ci sembri ingiusta, né che per ogni cosa si debba fare una rivoluzione. Lo scopo di questo articolo era semplicemente quello di instillarvi un dubbio, ovvero se è proprio vero che si debba sempre e comunque ubbidire a qualsiasi legge anche quando farla modificare o abrogare è di fatto quasi impossibile, come succede sempre quando è solo una minoranza ad aver maturato la consapevolezza di tale ingiustizia e i meccanismi legislativi non le permetterebbero mai di cambiare le cose. La disobbedienza civile viene spesso criticata e ostracizzata, ma senza di essa le donne e le persone di colore oggi non avrebbero ancora la possibilità di votare, gli operai lavorerebbero 18 ore al giorno per un tozzo di pane, la possibilità di esprimere un’opinione o la libera stampa sarebbero solo utopie.

Pensateci.

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