Jus Soli



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Dal sito del Ministero dell’Interno:

Lo “ius soli” fa riferimento alla nascita sul “suolo”, sul territorio dello Stato e si contrappone, nel novero dei mezzi di acquisto del diritto di cittadinanza, allo “ius sanguinis”, imperniato invece sull’elemento della discendenza o della filiazione. Per i paesi che applicano lo ius soli è cittadino originario chi nasce sul territorio dello Stato, indipendentemente dalla cittadinanza posseduta dai genitori.

Si sta discutendo da diversi mesi se sia giusto o meno dare la cittadinanza italiana ai figli di stranieri che nascano nel nostro Paese, ovvero se applicare appunto il cosiddetto “ius soli”.

Personalmente, quando mi trovo di fronte a questo genere di quesiti, cerco di affrontare il problema partendo da principi assolutamente generali e condivisibili e quindi deducendo da essi quale debbano essere le decisioni da adottare. Non farlo porta a delle contraddizioni, ovvero a leggi che nascono da scelte contingenti o di opportunismo e che finiscono per entrare in conflitto con principi che invece in altri casi sono pienamente applicati. Questo conflitto si chiama “ingiustizia” ed è un fattore disgregante in una società.

Il primo principio che vorrei prendere in considerazione è quello che definisco Principio di Applicabilità, ovvero, quali debbano essere i criteri con i quali si applica una legge a un individuo. Per spiegarlo, prendiamo un famoso versetto della Bibbia tratto dall’Esodo, ovvero 20.5:

Perché io, il Signore, sono il tuo Dio, un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione.

Ancora oggi si cita spesso come “le colpe dei padri ricadano sui figli”, affermazione assunta a legge, specialmente nel Medioevo, in molti Paesi di fede cristiana. Ritengo siate d’accordo con me che un tale principio sia da considerare al giorno d’oggi ingiusto e impraticabile. Ancora più vero se non parliamo neppure di colpa, ovvero se si impone a un individuo di fare o di non fare qualcosa non in base a chi sia quell’individuo ma a chi siano i suoi genitori.

Il Principio di Applicabilità afferma quindi che una legge che stabilisce i diritti e i doveri di un individuo, lo deve fare solo in base a quell’individuo e non alle relazioni che esso ha con altri individui. Pensate se non fosse così: potremmo allora stabilire che solo chi ha un padre medico abbia diritto di studiare Medicina, o solo chi è stato allevato da entrambi i genitori possa a sua volta avere figli. Vi sembrano idee astruse? Ebbene, nel passato e ancora oggi in alcuni Paesi del mondo, leggi del genere sono state e sono tuttora applicate. Pensate solo alle aristocrazie nobiliari europee, alle caste indiane o più semplicemente alle leggi razziali naziste e all’apartheid che c’era in Sudafrica fino a pochi anni fa.

Consideriamo ora due bambini nati lo stesso giorno nella stessa città: vanno allo stesso asilo, poi alla stessa scuola elementare, alle medie, al liceo. Studiano le stesse materie e parlano la stessa lingua, l’italiano, magari con la stessa cadenza dialettale tipica della regione. Solo che uno è nato da genitori italiani, l’altro da nigeriani immigrati in Italia, entrambi con un lavoro e regolare permesso di soggiorno. Se applichiamo il principio suddetto, non è pensabile che ad uno debba essere data fin dall’inizio la cittadinanza italiana e all’altro no.

Immaginate come si debba sentire il bambino di origine nigeriana, che si considera giustamente italiano a tutti gli effetti e che il suo Paese di origine non ha mai conosciuto e magari mai conoscerà, a non poter accedere a tutta una serie di diritti e di opportunità che invece sono garantiti all’altro bambino. Si sentirà discriminato, trattato ingiustamente. Potrebbe avere voti migliori a scuola e magari conoscere l’italiano molto meglio dell’altro che parla più frequentemente il dialetto della sua regione e conosce meno bene la lingua nazionale. Solo che quest’ultimo viene considerato italiano, tuttavia; lui no. Una situazione del genere crea un forte disagio che può sfociare in rabbia portando a un vero e proprio conflitto sociale all’interno di una generazione.

Qualcuno ha proposto di dare comunque la cittadinanza ad entrambi salvo subordinarla, al compimento del 18° anno, a un esame di lingua, storia e conoscenza della costituzione italiana.

E qui vorrei introdurre un altro principio, ovvero il Principio di Equità, dal quale poi discendono le varie normative che devono garantire le pari opportunità all’interno di una società civile. Tale principio afferma che tutti i cittadini debbano avere gli stessi diritti e doveri salvo eccezioni che devono essere legate solo a caratteristiche specifiche di quel determinato individuo. Ad esempio, un detenuto avrà ancora il diritto di votare, ma non quello di potersene andare in giro liberamente, in quanto ha commesso un reato; un bambino ha diritto a vedere rispettata la sua privacy molto di più di un adulto; un uomo che ha lavorato tutta la vita in miniera ha diritto ad andare in pensione prima di uno che lavora in ufficio perché il suo è un lavoro usurante.

Non è detto quindi che tutti debbano avere gli stessi diritti e doveri, ma le eccezioni devono essere motivate da considerazioni pratiche legate a ciò che quel determinato individuo è o fa, comunque motivate da ragioni condivisibili basate su elementi oggettivi.

Qualcuno potrà pensare che tutto ciò sia ovvio, ma non è affatto così. Ad esempio, voi accettereste una limitazione nelle vostre libertà personali perché vostro nonno era un delinquente e uccise tre persone in una rapina nel 1950? Suppongo di no, eppure la XIII Disposizione transitoria della Costituzione, poi abrogata dalla legge costituzionale n. 1 del 2002, stabiliva che:

I membri e i discendenti di Casa Savoia non sono elettori e non possono ricoprire uffici pubblici né cariche elettive. Agli ex re di Casa Savoia, alle loro consorti e ai loro discendenti maschi sono vietati l’ingresso e il soggiorno nel territorio nazionale.

Tornando quindi alla proposta di cui sopra, ovvero all’esame al compimento del 18° anno per confermare o meno la cittadinanza, essa viola il Principio di Equità, perché di nuovo, a parità di condizioni, discrimina in base non all’individuo in sé ma alla sua ascendenza. Immaginate poi se quel giovane magari si sia già sposato, abbia un lavoro o magari stia seguendo un corso universitario. Cosa accadrebbe se non riuscisse per un qualsiasi motivo a passare l’esame? Quali sarebbero le conseguenze per lui e soprattutto per la sua famiglia?

E poi, vogliamo essere davvero onesti fino in fondo? Se un esame del genere lo dovessero fare tutti i cittadini italiani, di qualsiasi età, ho il sospetto che almeno a metà del Paese dovrebbe essere tolta la cittadinanza italiana. In fondo, quanti di voi conoscono a memoria non dico l’intera Costituzione, formata da 139 articoli, ma anche solo TUTTI e dodici i primi articoli che corrispondono ai principi fondamentali della nostra Costituzione?

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