Lettera aperta al Prof. Pellegrino Capaldo



Lettera aperta al Prof. Pellegrino Capaldo

Spett.le Professore,

ho letto ieri sul Corriere della Sera l’intervista che ha rilasciato su quale potrebbe essere una strategia efficace per abbattere significativamente il debito pubblico. Ho letto quanto ha scritto con molta attenzione, cercando di affrontare tale lettura nel modo più neutrale e imparziale possibile, ovvero esclusivamente sul piano razionale, e sebbene non sia affatto ferrato nella materia della quale Lei è certamente esperto, mi permetto una critica decisa nei confronti della Sua proposta che, evidentemente, affronta il problema solo sul piano squisitamente tecnico ignorando del tutto i fattori umani e sociali.

Mi dirà che tali fattori debbano essere gestiti in altro modo e che gli unici criteri da adottare in questo genere di questione sono quelli tecnici, ovvero inerenti alla disciplina economica, ma la Storia ci insegna due cose: uno, che sia l’economia che la finanza sono molto più soggette ai fattori umani di quanto si possa pensare, ovvero che non possiamo ragionare solo in termini matematici e statistici ma dobbiamo considerare i problemi anche dal punto di vista antropocentrico e sociologico; secondo, che tutte le volte che non si è fatto in questo modo, i risultati sono stati disastrosi, e le bolle speculative ne sono un classico esempio.

Ma torniamo alla Sua proposta che riassumo per chi mi legge riprendendo le sue stesse parole, fermo restando che l’articolo completo può essere letto direttamente sul sito del Corriere.

Allora, lei afferma che:

«Dobbiamo aggredire con determinazione il debito pubblico. Penso ad una sorta di «privatizzazione» del debito. Se è vero, infatti, che il debito pubblico è, in ultima istanza, un debito di noi cittadini tanto vale accollarcelo, almeno in parte direttamente, alleggerendo in corrispondenza lo Stato. Così, per fare un esempio, se il debito venisse trasferito per il 50% ai privati, lo Stato vedrebbe dimezzato il rapporto debito/Pil, che passerebbe dall’attuale 118 a 59, leggermente inferiore al massimo previsto dal trattato (60%). Ma, ciò che più importa, lo Stato vedrebbe dimezzato l’onere per interessi che passerebbe dagli attuali 80 miliardi di euro a ben meno di 40. Non ci vuol molto a intuire quel che si potrebbe ottenere, in termini di sviluppo, se le risorse così liberate venissero investite secondo un disegno razionale e condiviso. Certo, la medicina è molto amara ma la guarigione è possibile.»

In pratica, la Sua proposta consiste nel ribaltare parte del debito pubblico direttamente sui cittadini, visto che in un certo senso, esso è già “loro”. Dall’articolo si evince chiaramente come Lei sia consapevole che una tale proposta avrebbe immediatamente una reazione estremamente negativa da parte dell’opinione pubblica, e per questo subito dopo aggiunge:

«Dal punto di vista dei cittadini sarebbe un errore ricusare la medicina solo perché è dura, senza domandarsi se vi siano alternative e senza tener conto dei risultati che è in grado di produrre. […] la ripartizione si potrebbe fare in base al valore corrente del patrimonio immobiliare, dando rilievo all’epoca in cui i beni sono entrati nella disponibilità dell’attuale titolare. Un esempio. Secondo dati attendibili, il debito pubblico è pari grosso modo al 25% del patrimonio immobiliare italiano espresso in valori correnti. Ne deriva che per dimezzare il debito pubblico occorrerebbe che su ogni immobile venisse trasferito mediamente un debito pari al 12,5% del suo valore corrente.»

Inoltre precisa al giornalista che non si tratterebbe di un’imposta patrimoniale, in quanto non dovrebbe essere pagata immediatamente in una singola soluzione, ma

«…il titolare dell’immobile può scegliere tra varie modalità di pagamento. Può pagare subito, ottenendo anche un congruo sconto; può pagare nell’arco di 3-4 anni senza sconto e senza interessi; può pagare a scadenza indeterminata, magari quando l’immobile sarà venduto: in tal caso il debito sarà assistito dall’ipoteca sull’immobile e sarà oneroso ad un tasso grosso modo pari a quello sui mutui fondiari. […] è sostanzialmente un’imposta straordinaria sulle plusvalenze immobiliari e non una patrimoniale. Tant’è che, ad esempio, due appartamenti con lo stesso valore corrente possono subire un’imposta assai diversa, anzi, uno dei due potrebbe non subirne alcuna se è stato acquistato di recente. Tutto dipende, insomma, dalla plusvalenza incorporata.»

Non continuo, dato che quanto riportato finora dovrebbe essere sufficiente a chi legge per comprendere la proposta da Lei ipotizzata, potendo comunque fare sempre riferimento all’articolo originale per i dettagli.

Dov’è dunque il problema? Non certo negli aspetti economici, non tanto perché sono sicuramente validi, quanto perché sulla loro validità tecnica non mi permetterei di esprimere un parere lasciando questo a chi è più competente di me in materia. La questione è un’altra: se il debito pubblico fosse il risultato di una gestione più o meno efficiente ma comunque onesta della spesa pubblica, la Sua proposta sarebbe ancora comunque fortemente avversata probabilmente da gran parte della popolazione, ma avrebbe un suo razionale. La situazione, in Italia, è tuttavia differente.

Gran parte del debito è il risultato di un sistema corrotto e disonesto di gestione delle risorse pubbliche da parte di tutti coloro che hanno avuto e continuano ad avere un ruolo decisionale nella loro gestione, qualunque fosse la fazione di appartenenza o la funzione assegnata. Quindi parliamo dei tanti governi che si sono succeduti negli ultimi decenni, ma anche delle amministrazioni locali, degli enti pubblici, delle aziende ospedaliere per non parlare di tutte quelle imprese a partecipazione statale più o meno forte, che rappresentano spesso un significativo serbatoio di voti e comunque un ambito di collocamento di parenti e amici attraverso il meccanismo delle raccomandazioni.

I meccanismi che vengono utilizzati sono innumerevoli e dimostrano indubbiamente la grande fantasia italica nell’arte dell’arrangiarsi. Sicuramente li conosce meglio di me, ma per chi legge, desidero ricordarne solo tre.

Il primo è il più classico: il politico che deve decidere o può influenzare una certa spesa, che sia un appalto o un finanziamento pubblico poco importa, fa sì che essa vada a un’impresa o a un’associazione con la quale ha stabilito un accordo. Nel migliore dei casi questo accordo è un semplice voto di scambio, nel peggiore parte della spesa viene dirottata all’indietro sul politico stesso sotto forma di una consulenza al coniuge o a un parente stretto, di un subappalto a una società controllata da quella famiglia, di un’attività produttiva come la costruzione di un immobile, o un vantaggio economico come un affitto o un acquisto particolarmente favorevole che altro non è se non un modo per intascarne una parte. Ovviamente la spesa viene spesso gonfiata oltre misura perché in tal modo la percentuale per il politico è più consistente. Quindi, da una parte la spesa risulta eccessiva, dall’altra solo una parte di essa va effettivamente nella direzione prevista, dall’altra ancora tale direzione non è necessariamente verso un’azienda o un professionista serio che eroga il prodotto o servizio al livello di qualità richiesta, ma verso quell’impresa disposta a partecipare a quella che sul piano etico è una vera e propria truffa. Purtroppo tutto ciò può essere fatto in modo che sul piano legale, spesso, non esistano gli estremi per un’azione penale.

Il secondo consiste nel ben conosciuto meccanismo della raccomandazione. L’incidenza di tale meccanismo sulla spesa pubblica è duplice: da una parte si piazzano in posti anche particolarmente ambiti, ovvero dirigenziali, parenti e amici propri o di propri “sostenitori” che non hanno assolutamente né le competenze per assumersi determinate responsabilità, né quel senso del dovere necessario allo svolgimento di una qualsiasi attività produttiva; dall’altra, si gonfiano gli organici di uffici pubblici, enti e associazioni, nonché di aziende private compiacenti, se è il caso, trasferendo così il problema anche sull’economia specifica di quell’organizzazione. A tutto ciò si aggiunge che spesso una persona incompetente in una posizione delicata finisce per provocare danni che inevitabilmente hanno un impatto negativo anche sulla stessa spesa pubblica: basti pensare a un dirigente RAI o al primario di un ospedale.

Il terzo e ultimo meccanismo è quello dei privilegi stabiliti per legge. Non parlo solo di quelli che i parlamentari approvano senza colpo ferire, generalmente all’unanimità, e che costano allo Stato ingenti somme per ogni deputato, senatore, ministro, sottosegretario, consulente, fino ad arrivare all’ultimo degli assistenti o portaborse. Per quanto tali leggi rappresentino di fatto un vero e proprio conflitto di interessi, come ebbi a scrivere tempo fa, le somme coinvolte sono sì notevoli, ma non tali da pesare sul debito pubblico in modo significativo. Lo stesso meccanismo, tuttavia, viene adottato per stabilire aiuti e finanziamenti anche di grande entità a imprese private e organizzazioni di vario genere, non per sostenere un’economia sana ma piuttosto per foraggiare potenziali serbatoi di voti. Un classico sono i finanziamenti ai giornali. È risaputo che molti giornali politici che ricevono finanziamenti, specialmente quelli distribuiti solo tramite abbonamento, sono un meccanismo per far arrivare al politico di turno una certa quantità di soldi molto maggiore di quelli necessari alla produzione della rivista, i cui resi, in certi casi, raggiungono anche il 90%.

E torniamo così alla Sua proposta. I vari meccanismi che Le ho descritto e molti altri, anche più raffinati, non sono solo alla base di buona parte dell’attuale debito pubblico, ma vengono tuttora attuati, ovvero rappresentano il quotidiano, non la storia. Avessimo oggi uno Stato efficiente ma soprattutto onesto, si potrebbe persino sorvolare, ma è un dato di fatto che buona parte del debito pubblico è il risultato di un sistema che permette a una vera e propria casta di politici, imprenditori, faccendieri, banchieri e altri personaggi spesso neppure noti al grande pubblico, di mantenere uno stile di vita ben più che agiato e di amministrare a proprio uso e consumo risorse che dovrebbero essere utilizzate solo per il bene del Paese. Tra l’altro, non si dimentichi che dovrebbero essere proprio esponenti di questo sistema a far approvare una legge basata sulla sua proposta, fatto per niente secondario.

Di fronte a questo che è un fatto dimostrabile e non certo nato da qualche ipotesi complottistica o fantasia mentale, risulta evidente come la Sua proposta sia del tutto inaccettabile. Il sottoscritto in primis ma, Le assicuro, anche moltissima gente che conosco, tutti cittadini che non hanno mai violato una legge neppure quando la ritenevano del tutto sbagliata e che fanno del proprio lavoro e dell’onestà un punto di riferimento, non accetterà mai di pagare anche un solo singolo centesimo, specialmente se relativo alla propria casa ottenuta con grandi sacrifici e tuttora già sufficiente fonte di spese e balzelli vari, affinché un intero sistema possa continuare a vivere come un parassita sulla pelle della maggior parte dei lavoratori di ogni genere e ceto sociale.

Se una proposta del genere dovesse passare — lo dico subito — non solo mi rifiuterò di pagare, ma sono pronto a scendere in piazza non per manifestare ma per lottare, con tutti i mezzi possibili, contro quella che ormai è diventata una vera e propria oligarchia di stampo corporativistico, corrotta, marcia e, lo vediamo ogni giorno, del tutto immorale fino ai limiti dell’oscenità. E non ne faccio una questione di partiti o fazioni perché la vera divisione, in questo Paese, è fra persone oneste e competenti da una parte, e parassiti dall’altra.

Quindi, caro professore, Le consiglio, fosse chiamato a dare il Suo eminente parere in materia, di pensarci bene prima di avanzare una proposta del genere, perché sebbene noi italiani si sia particolarmente pigri e indolenti di fronte alle ingiustizie sociali, tant’è che a differenza di molti altri Paesi non abbiamo mai fatto rivoluzioni o tagliato teste, questa è la volta che persino i più ignavi potrebbero alzare i loro grassi deretani dai divani sui quali si alimentano di cibi spazzatura con contorno di calcio e reality show, per scendere in piazza con le armi e fare piazza pulita di questo letamaio.

Perché c’è un limite a tutto, e questa volta si sta andando molto vicini a superarlo.

Distinti saluti

Dario de Judicibus

Commenti (8) a «Lettera aperta al Prof. Pellegrino Capaldo»

  1. utente anonimo ha detto:

    Inoltre, alcuni quesiti sorgono spontanei:

    1. tassa sugli immobili perché si è scelto di paragonare il debito pubblico al patrimonio immobiliare del paese, ma perché gli immobili?

    2. le prime case? Tassiamo le prime case che non sono un reddito ma una spesa nel bilancio familiare? E naturalmente gli immobili societari, essendo strumento, risulterà esente, immagino…

    3. ma una seria lotta all'evasione no? Secondo me si azzererebbe il deficit…

    V.

    PS: c'è qualche refuso:

    "Ho letto quanto a scritto con" -> "Ho letto quanto ha scritto con"

    "risultato di un sistema corrotto e disonesto delle risorse pubbliche" -> "risultato di un sistema corrotto e disonesto di gestione delle risorse pubbliche"

    "consulenza al comiuge o a un parente stretto" -> "consulenza al coniuge o a un parente stretto"

    Ovviamente dopo la revisione del post puoi eliminare questo PS.

  2. Dario de Judicibus ha detto:

    @V. Grazie per le correzioni. Concordo con i tuoi commenti al 100%.

  3. utente anonimo ha detto:

    Ben detto! Leonardo Facco

  4. utente anonimo ha detto:

    Bisogna ammettere che quello che i professori Capaldo e Giulano Amato  dicono e scrivono  supera di molto la mia fantasia. In pratica dopo decenni   che sono pagati  per fare danni  ,adesso  ci dicono che quasi  quasi la colpa e' nostra ,normali cittadini, e dobbiamo pagare i debiti.

    Io accetto la sfida e risponderi ,va bene i cittadini  pagano non il 25 % del debito  il 100% del debito in 3 anni  a condizione che tutti  i politici in carica e il loro predecessori e il loro famigliari  siano interdetti  dagli uffici a vita.

    Azzeriamo tutti i partiti  incluso  uffici ,immobili  ( tanto come dicono loro  se i debiti sono nostri  anche gli assets lo saranno). Ricominciamo  con un massimo di 100, 150  parlamentari  senza partito ,persone serie che vadano casa per casa a guadagnarsi il voto  con un turno solo di legislatura.

    In quasto caso  mi assumo  non solo la mia parte di debito  anche quella di qualcun altro

  5. Dario de Judicibus ha detto:

    @anonimo #4   Bella proposta… da rifinire un tantinello ma si potrebbe davvero buttar giù in modo serio: una sorta di patto sociale, ovvero, noi azzeriamo il debito e l'intero comparto dell apolitica viene azzerato, compresi i pertiti e tutti i loro beni… mi piace.

  6. utente anonimo ha detto:

    Non male… 🙂

    V.

  7. utente anonimo ha detto:

    OK, i politi ci li incastriamo alle loro responsabilità cosi', ma i grandi poteri che giocano sulla pelle dei comuni mortali chiamandoli anche "parco buoi" come contribuiscono?

  8. Dario de Judicibus ha detto:

    Beh, molti di quei poteri, senza referenti politici, non funzionano. pensa solo alle lobby: sono strapotenti ma le leggi le devono comunque proporre dei parlamentari. Se la politica si ripulisce, non dico che il Paese cambia completamente, ma siamo sulla buona strada.

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