Conflitto d’interessi



Conflitto d’interessi. Quando in Italia si sentono queste tre parole, si pensa subito alla polemica fra centrosinistra e centrodestra sul doppio ruolo di Berlusconi quale politico e imprenditore, sul suo controllare un certo numero di canali televisivi e mezzi d’informazione da una parte e il suo ruolo istituzionale di Presidente del Consiglio dall’altro.

Secondo Wikipedia il conflitto di interessi si verifica «quando viene affidata un’alta responsabilità decisionale ad un soggetto che abbia interessi personali o professionali in conflitto con l’imparzialità richiesta da tale responsabilità, che può venire meno visti i propri interessi in causa».

Personalmente trovo questa definizione non abbastanza generale. Il conflitto d’interessi è infatti qualcosa che può coinvolgere ognuno di noi, anche sul piano personale ed emotivo e non è detto che debba per forza essere legato a un incarico formale o a una decisione che possa avere una certa rilevanza o conseguenze significative. Certo, in casi del genere, diventa un problema da gestire, ma in effetti è un concetto indipendente dall’entità del danno che può procurare il non risolverlo.

A mio avviso,

parliamo di conflitto di interessi ogni qual volta
un certo soggetto assume contemporaneamente
due o più ruoli i cui obiettivi possono entrare
parzialmente o totalmente in conflitto fra loro.

Il soggetto può essere un singolo individuo, un gruppo, una comunità, un’organizzazione, un Paese o qualsiasi altra entità capace di assumere un ruolo e di prendere decisioni. Il ruolo può essere formale o meno, temporaneo o permanente. Ovviamente se parliamo di professione, di nomina, di ruoli istituzionali o comunque tali da permettere di prendere decisioni per conto o in rappresentanza di altri, tale conflitto può avere conseguenze più rilevanti, ma è un di cui. In quanto al conflitto in sé, è sufficiente che esso nasca dal conflitto fisiologico esistente fra gli obiettivi che caratterizzano i vari ruoli che si assume.

Pensate a un fratello maggiore al quale i genitori hanno affidato la sorellina. In quanto bambino sarà portato ad assumere determinati comportamenti di “complicità”, ma avendo anche un ruolo di badante, si trova a confrontarsi con un modello “genitoriale”. Ovviamente in questo caso la scelta più ovvia è far prevalere, almeno temporaneamente, un ruolo rispetto all’altro, ovvero attingere al proprio “io genitore” piuttosto che all’“io bambino”.

Questo tuttavia non sempre è possibile e comunque quasi mai facile. Per questo motivo, in vari ambiti, soprattutto professionali e istituzionali, esistono delle regole, delle linee di condotta che aiutano a prendere la decisione giusta. A volte questo vuol dire addirittura rinunciare a uno dei ruoli, se non è possibile fare altrimenti, ma chi entra a far parte di una certa istituzione o professione questo lo sa fin dall’inizio e quindi si tratta di una scelta consapevole.

Tornando al conflitto d’interessi e all’Italia, come ho già detto, questo termine ci fa spesso pensare a Berlusconi ma in realtà esiste un altro conflitto d’interessi nel nostro Paese che a mio avviso è altrettanto grave, anzi, molto di più, dato che è addirittura istituzionalizzato, ovvero fisiologico del nostro sistema legislativo.

Sto parlando del fatto che il Parlamento è deputato a legiferare anche su materie che lo riguardano direttamente. Ad esempio, i parlamentari possono proporre, votare e approvare leggi che riguardano le loro mansioni, il loro salario, i loro privilegi, ciò che possono e non possono fare. Pur restando alcuni punti fermi sanciti dalla Costituzione, su tutto il resto hanno campo libero. Questo è un chiaro conflitto d’interessi.

Certo, essendo essi stessi cittadini e dato che ogni cittadino è soggetto alla legge, e ancora essendo cittadini i loro cari, parenti e amici, e svolgendo questi qualsivoglia occupazione o attività, tale conflitto è in parte fisiologico e quindi non risolvibile, ma questo solo sul piano individuale. Ad esempio, se un deputato è sposato con una farmacista, è ovvio che si potrebbe trovare di fronte a un conflitto di interessi nel promuovere o anche solo votare una legge che riguardi quella categoria professionale. La soluzione è tuttavia semplice: può sempre astenersi. La probabilità che tutti i parlamentari abbiano una moglie o un marito farmacista è infatti piuttosto bassa. Diverso è invece il discorso se tale deputato deve votare una proposta di legge relativa ad un eventuale aumento di stipendio per gli stessi parlamentari o ad un aumento dei rimborsi a fronte di viaggi di lavoro per i membri del Parlamento e i loro collaboratori: in questo caso il conflitto d’interessi coinvolge contemporaneamente e nello stesso modo tutti gli aventi diritto al voto e questo è inammissibile.

La soluzione è semplice e non c’è bisogno di stravolgere la Costituzione per farlo: basta semplicemente far approvare un disegno di legge che deleghi a un’altra istituzione quella piccolissima fetta di potere legislativo che tratta del Parlamento stesso e di chiunque operi in tale ambito, dal parlamentare eletto al suo assistente o collaboratore. L’istituzione ideale esiste già ed è la Corte dei Conti, organo peraltro molto attento in ambito di spesa pubblica. Sebbene il ruolo di tale Corte sia di controllo, non è strano che a una certa istituzione possa essere dato, in condizioni ben definite, un ruolo diverso da quello che ha di solito. Lo stesso Governo può legiferare attraverso l’istituto del decreto legge, sebbene questo poi debba essere ratificato dal Parlamento. Una piccola eccezione che non limita assolutamente in modo significativo il potere del Parlamento quindi, non creerebbe alcuna crisi nel nostro sistema istituzionale ma piuttosto risolverebbe un problema che molti italiani vedono come una vera e propria ingiustizia sociale.

Un’ultima considerazione: in questi giorni si parla di elezioni amministrative e della candidatura a ruoli come quello di sindaco di esponenti del Governo o comunque politici che hanno già un ruolo istituzionale di rilievo e al quale non sarebbero obbligati a rinunciare in caso di nomina. Personalmente ritengo questa possibilità del doppio ruolo, seppure in ambiti diversi, ovvero uno locale e l’altro a carattere nazionale, un altro esempio di conflitto d’interessi fisiologico del nostro sistema istituzionale. A mio avviso, nessuno dovrebbe poter avere contemporaneamente due ruoli istituzionali di rilievo, come ad esempio essere Ministro nel Governo nazionale e Sindaco di una grande città. Di tutto ciò, tuttavia, non si parla e questa mancanza di consapevolezza fa in effetti pensare a quanto primitiva e immatura sia ancora la nostra democrazia.

Commenti (1) a «Conflitto d’interessi»

  1. utente anonimo ha detto:

    Conflitto di interessi: non se ne esce, qualunque sistema si pensi di adottare, rimarrà sempre e comunque o sarà in ogni caso aggirabile. Ricordo, nel caso di Berlusconi, le mille proposte fatte e disfatte: cessione no perché avrebbe ceduto ad altri e si sarebbe messo d’accordo, blind trust no perché comunque non sarebbe stato possibile garantire un controllo…

    Allora l’unica cosa sarebbe la sua totale rinuncia alla propria carica politica, ma imporre l’astensione dalle cariche politiche a persone che hanno un certo censo, un certo tipo di interessi, o di attività strategiche è contro i principi della nostra carta costituzionale… senza considerare poi che a questo punto, chiunque ha propri interessi.

    Ed anche se il politico è un poveraccio qualunque, chi ci garantisce che non sia stato messo li dalla lobby di turno, dal magnate di turno per tutelare i propri interessi? Ovvero che non sia corruttibile?

    Potremmo arrivare al paradosso (ma ovviamente è un paradosso) che almeno con il conflitto di interessi si riduce la filiera e quindi la corruttela…

    Sono invece d’accordo con il principio delle incompatibilità tra cariche pubbliche: sei sindaco? non puoi essere presidente della Regione, o Ministro o parlamentare… ma su questo, non c’è alcuno schieramento politico che voglia affrontare il problema seriamente…

    Viridovix

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