The State of the Art of Publishing Industry in Italy



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Il mercato italiano dell’editoria non è affatto semplice, soprattutto adesso, e non solo in seguito alla profonda crisi economico-finanziaria che sta attraversando il nostro Paese ma anche a causa di una difficoltà fisiologica ad adattarsi ai molti cambiamenti che stanno avvenendo sul mercato editoriale a livello mondiale. Sebbene le nuove generazioni leggano più delle precedenti, i lettori di libri rappresentano in Italia una percentuale di poco superiore al 45% mentre solo il 15% arriva a leggere almeno un libro al mese: la media è di fatto di soli tre libri all’anno e molti non riescono a finirne nemmeno uno (¹).

Sull’altro lato della barricata ci sono le case editrici che si dividono in tre grandi blocchi: i grandi gruppi editoriali, le case editrici di media grandezza e i piccoli editori. In Italia ci sono più di 10.000 case editrici, anche se ad essere davvero attive non sono più di 2.500. Quelle poi che fanno davvero il mercato sono una sessantina con in testa sei grandi gruppi editoriali (Mondadori, RCS, GEMS, De Agostini, Giunti e Feltrinelli) che si dividono il 67% del fatturato complessivo. Le cinquanta successive si posizionano sul 23% del fatturato lasciando a tutte le altre il restante 10%.

Da tener presente che non necessariamente i titoli delle piccole case editrici sono di minore qualità di quelli pubblicati dai grandi gruppi editoriali, anzi, spesso sono proprio i piccoli a pubblicare le opere migliori e a dare spazio agli esordienti di qualità. Il problema sono le dinamiche del mercato e soprattutto la distribuzione, che è quella che davvero stabilisce il successo o l’insuccesso di un’opera. Molti pensano che l’obiettivo di uno scrittore sia quello di farsi pubblicare ma non è così: quello che conta davvero e come e dove il libro viene distribuito: se finisci in vetrina o sui banchi di fronte all’ingresso allora vendi, altrimenti sparisci nel limbo degli scaffali, in mezzo ai successi editoriali degli anni passati quando ti va proprio bene, sui ripiani troppo in alto o troppo in basso per essere visti, in caso contrario.

Ma torniamo ai numeri: ogni anno in Italia vengono pubblicati quasi 60.000 titoli dei quali poco più della metà sono novità. Solo 180 arrivano a una tiratura di più di 20.000 copie mentre un buon 80% non arriva alle 500; la media varia fra le 2.000 e le 3.000 copie. Se poi andiamo a guardare le vendite, quasi il 50% non riesce a vendere una sola copia in un anno, mentre un altro 34% arriva a venderne al massimo una. La rotazione di un titolo, a meno che non sia un classico o un grande successo editoriale, è di circa 40 giorni. Se poi ci limitiamo alla sola narrativa, solo un quarto delle novità sono testi letterari moderni: 6 su 8 sono romanzi, con i restanti due che si ripartiscono fra gialli o libri d’avventura da una parte e poesia o teatro dall’altra. Alcuni generi, come la fantascienza e il fantasy sono talmente di nicchia da scomparire fra le pieghe delle statistiche.

Le grandi case editrici hanno una tiratura che va dalle due alle dieci volte quelli delle case minore, a parità di titolo. Ad esempio, un giallo di un grande gruppo editoriale può arrivare a tirare fino a 10.000 copie in un anno là dove lo stesso titolo, se fosse stato pubblicato da un editore più piccolo, non sarebbe arrivato alle 1.000. Parliamo sempre di tiratura, ovviamente, non di venduto. Quest’ultimo dipende soprattutto dalla capacità della casa editrice di promuovere l’autore ancora prima che il libro, e qui i grandi gruppi fanno la differenza, avendo al possibilità di usare i canali di comunicazioni più efficaci per fare pubblicità, anche perché spesso sono di loro proprietà e quindi i costi della campagna pubblicitaria sono minori.

Per quanto riguarda l’aspetto economico, il prezzo medio di un libro non scolastico, universitario o comunque tecnico è in media poco più di 18 euro: il 40% dei libri ha un prezzo di copertina fra i 7 e i 15 euro, con un 18% che si posiziona sulla fascia più bassa e il resto che va dai 15 euro in su. Non sono pochi infatti quelli che costano oltre i 25 euro, dato che rappresentano il 12% del totale.

La ripartizione del prezzo di copertina è più o meno un 30% alla libreria, un 30% al distributore e un 40% all’editore. Di questo 40% la metà circa va alla tipografia, il 4% allo Stato (leggi IVA), mentre una percentuale che varia dal 5% al 10% del prezzo di copertina va all’autore con il resto che lo prende l’editore. In genere, per uno scrittore, avere una percentuale che va dall’8 al 10% è un buon risultato, anche se alcuni scrittori famosi riescono ad arrivare anche al 20%.

Dal punto di vista dell’autore, c’è anche un altro aspetto da considerare. Quasi tutte le case editrici, soprattutto le grandi, trovano particolarmente vantaggioso vendere opere straniere tradotte di autori affermati all’estero. Basta entrare in una libreria per rendersi conto che, soprattutto in vetrina e sugli scaffali più visibili la percentuale di autori stranieri, soprattutto di cultura anglosassone, in primis americani e britannici, è più o meno la stessa se non maggiore di quella complessiva degli autori nostrani. Addirittura la tiratura media delle opere per adulti tradotte dalla sola lingua inglese è il triplo di quella delle opere scritte in italiano (dati ISTAT 2009).

A rendere la cosa ancora più pesante c’è il fatto che all’estero le nostre opere sono per lo più ignorate, e non parlo solo di esordienti o autori poco conosciuti, ma anche di autori di spicco. Ad esempio, negli USA la percentuale di libri stranieri tradotti non supera il 3%, dove per straniero intendo libri scritti originalmente in un’altra lingua. Questo rappresenta un vantaggio per gli autori di molti Paesi emergenti — se non addirittura del Terzo Mondo — che, per ragioni varie, per lo più storiche, hanno adottato l’inglese come seconda lingua. Un autore kenyota o indiano che scriva fluentemente in inglese ha la possibilità di competere quasi alla pari sul mercato a stelle e strisce, ad esempio, cosa che un francese o un italiano non potrà mai fare.

Bisogna infatti considerare che se, da una parte, un autore non madre lingua inglese non potrà mai avere con questo idioma la stessa confidenza che ha uno scrittore nativo, dall’altra non è neppure facile competere sul mercato con un testo tradotto, primo perché una traduzione non sarà mai efficace quanto un testo originale e secondo perché trovare buoni traduttori è molto difficile e comunque costoso. Tradurre un romanzo di 400 pagine dall’italiano in inglese con un buon livello di qualità può costare oltre 5.000 euro, una somma non certo alla portata del singolo autore e neppure del piccolo editore, visto che alla fine il suo guadagno è meno del 10% del prezzo di copertina se non meno, tolte le spese.

Alla concorrenza dell’editoria straniera, per l’autore italiano, si aggiunge quella di personaggi più o meno illustri che, pur non essendo certo fini stilisti e spesso neppure scrittori appena decenti, riescono a vendere decine di migliaia di copie solo grazie alla visibilità del loro nome o a leve mediatiche spesso basate sul gossip. Nella maggior parte dei casi, in realtà, a scrivere sono illustri sconosciuti, ovvero questi ”personaggi“ finiscono per metterci solo il nome sulla copertina, togliendo così tuttavia notevoli fette di mercato ad autori molto più bravi ma meno noti. Calciatori, politici, personaggi dello spettacolo e ormai persino escort e veline, finiscono per erodere un mercato che già gli autori stranieri hanno pesantemente ipotecato.

Il quadro si complica ancor di più con l’introduzione anche sul mercato italiano dell’editoria digitale. Se negli Stati Uniti questa rappresenta un’opportunità estremamente interessante di farsi conoscere, soprattutto per gli esordienti, da noi il mercato dell’eBook stenta a decollare. Ci sono vari motivi: il primo, in assoluto, è che comunque gli italiani leggono poco, e non saranno certo le pubblicazioni digitali a modificare questo aspetto peculiare della nostra cultura. Il secondo è che in Italia, al contrario di quello che succede in altri Paesi, siamo abituati a pensare che tutto ciò che si trova in rete dovrebbe essere gratuito, per cui la stessa persona che non ha problemi a spendere 600 euro per un telefonino che al fabbricante sarà costato sì e no un decimo, si fa scrupoli e si scandalizza a pagare 5 euro per un libro digitale.

Inoltre, anche in rete, la pubblicazione è solo un passo necessario ma tutt’altro che sufficiente. Quello che davvero conta è — ormai non dovreste più sorprendervene — la distribuzione. Pubblicare un libro e permetterne lo scaricamento dal proprio sito o blog serve davvero a poco, specialmente adesso che i canali di distribuzione iniziano a mettere in rete la versione elettronica di titoli già noti in ambito cartaceo. Per fortuna anche in Italia è arrivata la possibilità di autopubblicare su una piattaforma di distribuzione di una certa rilevanza.

Mi riferisco ad Amazon, che ha aperto la possibilità di pubblicare su Kindle opere in italiano senza dover passare per un editore quale intermediario. Manca solo la possibilità di registrare a basso prezzo o gratuitamente, come in altri Paesi, il codice ISBN, molto usato soprattutto all’estero per la ricerca delle opere in rete. Credo sia solo una questione di tempo, tuttavia, prima che anche il singolo autore possa registrare senza un impegno economico eccessivo un ISBN per la sua pubblicazione digitale.

Durante il Natale 2011 il lettore Kindle è stato uno dei gadget elettronici più venduti e questo fa ben sperare: disegnato appositamente per le pubblicazioni elettroniche, al contrario di altri tablet più “generalisti”, il formato Kindle rappresenta un’ottima prima scelta per una pubblicazione elettronica. Personalmente ho grandi speranze su questo strumento e su questa piattaforma, tant’è che ho deciso, dopo anni di pubblicazioni cartacee con vari editori, di pubblicare il mio primo eBook proprio per Kindle. Ma questa è un’altra storia…

 

1. Tutti i dati qui riportati sono tratti da statistiche e rapporti relativi agli ultimi 5 anni al massimo, per lo più 2006 e 2009, e sono stati arrotondati, dato che ai fini dell’articolo quello che interessa sono gli ordini di grandezza, non i dati precisi.

Comments (5) to «The State of the Art of Publishing Industry in Italy»

  1. cmq dire che si legge poco basandosi solo sul numero di libri letti è fuorviante, da quando c’è internet quel che leggo su carta è diminuito ma non è che leggo di meno, anzi!

    • Quando parlo di “leggere” non mi riferisco alla lettura in generale di qualsiasi testo, tant’è che quest’analisi, ad esempio, non contempla quotidiani e riviste, tanto per dirne una, e neppure fumetti, che sempre lettura sono. L’analisi è specificatamente focalizzata solo sui libri (scolastici, saggi e manuali, narrativa e poesia) e tra l’altro non include ancora dati riguardo l’editoria elettronica, dato che sono difficili da raccogliere e non ancora affidabili. I dati riportati sono in linea con quelli degli ultimi 15 anni. A quell’epoca feci un’analisi approfondita e il risultato fu che il 60% degli italiani non leggevano neppure un libro all’anno. Oggi la situazione è migliorata e le nuove generazioni leggono più libri e meno fumetti, ad esempio, oppure leggono solo fumetti di una certa qualità. In rete difficilmente si leggono libri, a meno di non utilizzare periferiche apposite, come gli eBook reader, che rendono l’esperienza della lettura del libro digitale paragonabile a quella del libro cartaceo. Si leggono invece molto articoli, generalmente sotto forma di PDF, anche se molti ancora preferiscono stamparli, prima ma, come ho detto, questa statistica non riguarda articoli di cronaca o “tecnici”, ovvero scientifici, storici o relativi ad altre materie. Al momento, quindi, la minore disponibilità a leggere libri degli italiani rispetto ad altri Paesi europei, è confermata e, d’altra parte, essendo una caratteristica culturale, sarebbe stato sorprendente che la sola introduzione della rete cambiasse drasticamente in pochi anni tale abitudine. C’è da sperare che Kindle e compagni (molti dei quali sono stati presentati al CeBIT 2011) cambi col tempo le cose anche da noi.

      • Ok, questo è chiaro, ma qual’è il giusto rapporto di lettura libri/riviste/articoli? Voglio dire, il fatto che in altri paesi leggano meno online e più libri mentre noi leggiamo più online e meno libri (ipotizziamo) è un bene? E come si stabilisce?

  2. p.s. Non mi è chiaro perchè tra gli articoli correlati compaia “Italia, Stato della Chiesa”

    • La correlazione è fatta con un algoritmo molto semplice che correla fra loro solo tag e titolo. Per evitare un eccessivo rallentamento nel caricamento del blog ho evitato per ora di analizzare anche il contenuto. Oltretutto l’analisi è sintattica, non semantica, per cui ci sono un bel po’ di falsi positivi. Sto cercando un algoritmo migliore.

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