Sul Riscaldamento Globale – Parte 4



In questi ultimi mesi questo blog ha pubblicato alcuni articoli di autori favorevoli all’ipotesi che il Riscaldamento Globale (RG) abbia un contributo antropico, ovvero causato da attività umane e quindi più o meno favorevoli anche al Protocollo di Kyoto (PdK). Adesso, per par condicio, pubblichiamo un articolo di opposto parere. L’articolo, scritto dal Prof. Uberto Crescenti del «Dipartimento di Geotecnologie per l’Ambiente ed il Territorio» dell’Università «G. d’Annunzio» di Chieti, è stato suddiviso in quattro parti a causa della sua lunghezza. Ogni parte è orientata a un tema specifico, ovvero la prima si occupa del riscaldamento globale in sè, la seconda dell’eventuale contributo antropico al fenomeno, la terza di come la geologia può aiutare a comprendere lo stesso e la quarta si interroga sull’utilità o meno del Protocollo di Kyoto.

Sul Riscaldamento Globale del pianeta Terra – Parte 4
di Uberto Crescenti

Il Protocollo di Kyoto

Poniamoci ora la domanda «È vero che il Protocollo di Kyoto (PdK) è utile per contrastare il RG?»

Come ben noto il Protocollo di Kyoto prevede di abbattere la immissione di anidride carbonica in atmosfera da parte dell’Uomo, in quanto l’IPCC ritiene che questa sia la causa del RG. Gli scienziati sono tutti d’accordo su questa soluzione?

Secondo i catastrofisti si, ma non è così se ci informiamo sulla posizione e le opinioni di molti scienziati al riguardo. Non è quindi vero, come dimostreremo di seguito, che il Pianeta è malato e che otto “medici” su dieci ritengono utile l’applicazione del PdK, unica medicina per salvare il Pianeta da una immane catastrofe.

Innanzitutto il RG non produrrà nessuna immane catastrofe, perché i cambiamenti climatici ci sono sempre stati e seppure hanno condizionato lo sviluppo e la scomparsa di antiche civiltà (si veda CAMUFFO, 1990) ciò non ha portato alla distruzione del nostro Pianeta. La filosofia catastrofista ambientalista che ha determinato il PdK “nasce” dal famoso primo Summit della Terra tenuto nel 1992 a Rio de Janeiro. A quel tempo 264 scienziati tra cui 52 premi Nobel, firmarono un appello per mettere in guardia dalla accettazione della ideologia catastrofista. L’appello, dal titolo “Attenzione ai falsi miti di Rio” affermava tra l’altro il seguente concetto:

«Esprimiamo la volontà di contribuire pienamente alla conservazione del nostro comune patrimonio planetario. Tuttavia non possiamo far a meno di esprimere la nostra inquietudine nell’assistere, all’alba del XXI secolo, all’emergenza di una ideologia irrazionale che sembra volersi opporre al progresso scientifico ed industriale e che appare sicuramente nociva allo sviluppo economico e sociale» (da BATTAGLIA E RICCI, 2007, pag. 12).

Più di recente sono note posizioni contrarie al PdK da parte di numerosi scienziati ed associazioni scientifiche. Ne ricordo solo alcune a testimoniare comunque che la comunità scientifica non è affatto tutta d’accordo con l’ utilità della applicazione del PdK. Si veda in merito, su 21° Secolo, Scienza e Tecnica, n.3 del 2006, l’articolo titolato: “Il Protocollo di Kyoto non ha basi scientifiche ed è un inutile spreco di denaro”. In tale articolo si riferisce sul documento curato da 60 climatologi canadesi che hanno inviato al proprio Governo l’appello a non aderire al PdK, ritenuto inutile e toppo costoso.

Ancora, 120 scienziati provenienti da 11 Paesi, riuniti a Stoccolma nel settembre 2006, trovarono un ampio accordo nel ritenere che non è possibile attribuire all’attività dell’Uomo, e quindi all’aumento dei gas serra in atmosfera, la causa del RG (si veda BATTAGLIA E RICCI, 2007, pagg. 22 e 23). Sempre BATTAGLIA E RICCI, 2007, riferiscono a pagg. 24 e 25 sull’appello di BIJORN LOMBORG (noto autore del volume “L’ambientalista scettico”) con un manifesto sottoscritto da alcuni famosi economisti tra cui 4 Premi Nobel, e sviluppato in occasione di una riunione a Copenhagen nel 2006.

Vi si legge, secondo quanto riportato da BATTAGLIA E RICCI:

«Il Protocollo di Kyoto punta a tagliare le emissioni di anidride carbonica nei Paesi industrializzati del 30% rispetto al livello in cui arriverebbero a trovarsi nel 2010, e del 50 per cento nel 2050. Eppure, anche se ogni Paese (inclusi gli Stati Uniti) si adeguasse alle regole del Protocollo, aderendovi tenacemente per un secolo, il risultato sarebbe pressoché nullo, poiché così facendo il surriscaldamento verrebbe solo posticipato di sei anni. Alla stessa stregua, i modelli economici mettono in luce l’enormità dei costi del rispetto del Protocollo: almeno 150 miliardi di dollari all’anno.»

BATTAGLIA e RICCI 2007, pagg. 42- 43 così concludono sull’argomento:

«Anche se rapidissimi cambiamenti del passato non hanno ancora una spiegazione, come dichiara un recente rapporto dell’Accademia Nazionale delle Scienze americana, la scienza ha accettato l’idea di un sistema climatico la cui variabilità naturale si può manifestare anche nell’arco di pochi decenni. Non c’è nessuna ragione — di là da quella che ci rassicura psicologicamente — per ritenere che essi non debbano manifestarsi oggi. Vi sono invece tutte le ragioni per ritenere che quella secondo cui l’Uomo avrebbe influenzato i cambiamenti climatici sia priva di fondamento; e per ritenere, semmai, che sono i cambiamenti climatici, ad aver influenzato l’Uomo e il percorso della civiltà.

Una cosa senz’altro certa è che i vincoli del Protocollo di Kyoto avrebbero effetto identicamente nullo sul clima: nell’atmosfera vi sono 3.000 miliardi di tonnellate di CO2, l’Uomo ne immette ogni anno, 20 miliardi di tonnellate, di cui 10 provengono dai paesi industrializzati, e pertanto il Protocollo di Kyoto equivarrebbe a immettere nell’atmosfera 19,5 miliardi di tonnellate di CO2 anziché 20 miliardi.»

Nell’ aprile del 2007, l’Associazione Galileo 2001, di cui fanno parte scienziati di varia estrazione (fisici, geofisici, ingegneri nucleari, geologi, medici, farmacologi, chimici, ecc.) ha inviato ai nostri governanti la lettera che qui riporto:

«È da tempo che l’Associazione Galileo 2001 vede con preoccupazione le decisioni assunte dai Governi e dal Parlamento italiano di ratificare il Protocollo di Kyoto. Maggiore preoccupazione manifestiamo oggi per l’ipotesi di assunzione di impegni ancora più gravosi in sede europea e nazionale relative alla politica ambientale ed energetica.

Come cittadini e uomini di scienza, avvertiamo il dovere di rilevare che la tesi sottesa al Protocollo, cioè che sia in atto un processo di variazione del clima globale causato quasi esclusivamente dalle emissioni antropiche, è a nostro avviso non dimostrata, essendo l’entità del contributo antropico una questione ancora oggetto di studio.

In ogni caso, anche ammettendo la validità dell’intera teoria dell’effetto serra antropogenico, gli obiettivi proposti dal Protocollo di Kyoto sono inadeguati, poiché inciderebbero solo in modo irrilevante sulla quantità totale di gas serra. Totalmente inadeguati rispetto al loro effetto sul clima ma potenzialmente disastrosi per l’economia del Paese.»

In sintesi, sul PdK

Il dubbio che ci ha finora accompagnato nella trattazione degli argomenti sulla valutazione dei cambiamenti climatici, viene quasi a trasformarsi in certezza nel rispondere al quesito posto all’inizio di questa parte. E la quasi certezza è che il Protocollo di Kyoto è inutile per le seguenti ragioni:

  • si basa su un affermazione che non è certa: il cambiamento climatico è dovuto alle attività antropiche, in particolare alla immissione in atmosfera dei cosiddetti gas serra (CO2 soprattutto);
  • al contrario i cambiamenti climatici ci sono sempre stati (come dimostrano le scienze geologiche) anche quando le attività dell’uomo erano praticamente inesistenti;
  • il clima dipende da meccanismi naturali, soprattutto di origine astronomica e dall’attività del Sole, in subordine e per brevi periodi anche terrestre (immissione di particelle in atmosfera a seguito di eruzioni vulcaniche);
  • i modelli matematici utilizzati per la previsione del RG danno risultati aleatori, non possono contenere tutte le variabili che concorrono a determinare il clima, variabili non del tutto ancora note; pertanto sono poco o affatto attendibili;
  • non è possibile prevedere il futuro sulla base di appena 120 anni di osservazione;
  • la diminuzione di gas serra prevista dal Protocollo di Kyoto non potrà incidere in modo determinante sul riscaldamento globale.

Un’ultima considerazione sulla Conferenza di Bali del dicembre 2008. Come noto l’incontro di Bali doveva ratificare gli impegni presi dai Paesi aderenti al Protocollo di Kyoto. Il risultato di intense giornate di dibattito acceso ha portato ad un accordo che prevede di riparlare del problema al prossimo meeting del 2009 che si terrà a Stoccolma. Di fatto, il PdK ha cominciato a scricchiolare. Riporto di seguito la lettera aperta consegnata il 14 dicembre scorso al Segretario Generale delle Nazioni Unite e inviata p.c. ai Paesi degli scienziati firmatari.

Tra questi, in tutto 101 scienziati, figura pure il prof. ANTONIO ZICHICHI, da sempre critico sui risultati dell’IPCC basati su modelli matematici. I mass-media non hanno dato notizia di questa iniziativa importante e condotta da scienziati qualificati (tra questi anche R. LINDZEN di cui abbiamo riportato pareri all’inizio di questa nota).

« La Conferenza ONU sul Clima sta portando il mondo in una direzione completamente sbagliata.

Signor Segretario Generale

Non è possibile fermare il cambiamento climatico, un fenomeno naturale che ha interessato l’umanità attraverso i secoli. I dati geologici, archeologici, storici orali e scritti attestano tutti delle sfide drammatiche poste in passato alle società da cambiamenti imprevisti nella temperatura, nelle precipitazioni, nei venti ed in altre variabili climatiche. Abbiamo quindi bisogno di equipaggiare gli Stati perchè diventino capaci di affrontare l’intera gamma di questi fenomeni naturali, promuovendo lo sviluppo economico e la generazione di nuova ricchezza.

Il Comitato Intergovenativo delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico (IPCC) ha pubblicato delle conclusioni sempre più allarmanti circa le influenze sul clima da parte delle attività umane che producono anidride carbonica (CO2), un gas non-inquinante che è essenziale per la fotosintesi nelle piante. Mentre comprendiamo quali osservazioni abbiano indotto a considerare le emissioni di CO2 come nocive, le conclusioni dell’IPCC sono proprio inadeguate come giustificazione per mettere in atto delle politiche che diminuiranno considerevolmente la prosperità futura. In particolare, non è ancora chiaro se sia possibile alterare significativamente il clima globale attraverso tagli alle emissioni di gas serra da parte delle attività umane. In aggiunta a ciò, visto che i tentativi di ridurre le emissioni ritarderanno lo sviluppo economico, l’approccio corrente dell’ONU verso la riduzione della C02 è probabile che aumenterà invece che diminuire i danni causati da cambiamenti climatici futuri.

In forte contrasto con la spesso ripetuta asserzione che la scienza del cambiamento climatico sia “stabilita”, una quantità significativa di nuove ricerche pubblicate su riviste scientifiche (peer-reviewed) ha fatto sorgere ancor più dubbi sull’ipotesi di un riscaldamento globale pericoloso e causato dalle attività umane. Ma visto che i gruppi di lavoro dell’IPCC sono stati istruiti generalmente a considerare lavori pubblicati soltanto fino al Maggio 2005, questi risultati importanti non sono inclusi nei loro rapporti; cioè, i rapporti di valutazione dell’IPCC sono già materialmente antiquati.

L’attenzione corrente dell’ONU alla “lotta ai cambiamenti climatici”, come illustrato il 27 novembre scorso nel Rapporto sullo Sviluppo da parte del Programma di Sviluppo Economico dell’ONU, sta distraendo i governi dai piani di adattamento alla minaccia di cambiamenti climatici naturali e inevitabili.

I tentativi di impedire che accada un cambiamento climatico globale sono in ultima analisi inutili e costituiscono un tragico errore nella ripartizione delle risorse, che sarebbero meglio spese su problemi reali ed urgenti dell’umanità.
»

Concludo questo paragrafo riportando il parere espresso dal Presidente della Repubblica Ceca, VÀCLAV HAVEL, nella sua nota per la Conferenza delle Nazioni Unite sui Cambiamenti climatici (2007):

«Noi dobbiamo scegliere. Una risposta razionale dipende — come sempre — dalla dimensione e dalla probabilità del rischio e dalla entità dei costi per evitarlo. Come responsabile politico, come economista e autore di un libro sull’economia del cambiamento climatico, con tutti i dati disponibili e gli argomenti in mente, devo concludere che il rischio è troppo piccolo e i costi per eliminarlo troppo grandi e che l’applicazione di un principio di precauzione interpretato in modo fondamentalista è una strategia sbagliata.»

Conclusioni

Da quanto riferito credo che si possa affermare che non tutti gli scienziati sono d’accordo sulle posizioni catastrofiste degli ambientalisti. Il dubbio deve guidarci nell’affrontare il tema del cambiamento climatico, oggetto di studio di specialisti di varia provenienza disciplinare. Appare abbastanza evidente che le scienze geologiche, in quanto consentono di indagare sulla storia del nostro Pianeta, forniscono dati utili per valutare i cambiamenti climatici: la conoscenza del Passato per tentare di prevedere il Futuro.

È probabile che stiamo assistendo ad un riscaldamento globale; ma questo è di origine naturale, ossia fa parte della naturale evoluzione climatica che sempre in passato è stata registrata sul nostro Pianeta. Se consideriamo le variazioni climatiche degli ultimi 400 mila anni, sulla base dello studio delle carote di ghiaccio prelevate in Antartide, possiamo notare che si sono alternati periodi più freddi della durata di circa 90 mila anni e periodi più caldi della durata di circa 10 mila anni. Attualmente ci troviamo in una fase calda, l’Olocene, iniziata circa 11.500 anni fa. Se la Natura si dovesse comportare come nel passato, siamo prossimi all’esaurimento di questa fase calda e dovremmo entrare nei successivi 90 mila anni circa più freddi. D’altro canto, se consideriamo le variazioni climatiche delle ultime migliaia di anni, tramite i dati che ci forniscono la geoarcheologia e la cronaca storica, rileviamo che nell’ultimo millennio si sono alternate fasi calde e fredde.

In particolare tra il 1110 e 1400 circa è noto e documentato l’optimum climatico medioevale (periodo caldo medioevale) che, dopo un periodo di transizione, è stato sostituito dalla piccola età glaciale sviluppata circa tra il 1600 e il 1850. Successivamente, attraverso un periodo di transizione, siamo entrati in una fase calda, tipo quella medioevale.

Da quanto detto risulta che se facciamo previsioni su un arco di tempo millenario, dovremmo andare verso una fase fredda, se invece limitiamo le nostre previsioni su un arco di tempo centenario, si dovrebbe andare verso una fase calda. Ma è d’obbligo chiedersi: «la Natura si comporterà come nel Passato?» E qui non abbiamo risposte.

Il riscaldamento globale cui pare stiamo assistendo è pertanto un fatto naturale, a giudicare dal comportamento climatico del nostro Pianeta. Pertanto l’applicazione del Protocollo di Kyoto, che si basa su una affermazione che non è affatto certa, ossia che il riscaldamento globale è dovuto all’attività dell’Uomo, appare del tutto inutile e troppo costosa.

I modelli matematici utilizzati per la previsione del riscaldamento globale sono molto contestati. Non possono certamente contenere tutte le variabili che concorrono a determinare il clima. Si basano inoltre su dati relativi agli ultimi 120 anni, troppo pochi per prevedere l’evoluzione climatica del nostro Pianeta che, come ci insegnano le scienze geologiche, ha radici molto antiche, di milioni e milioni di anni Quale deve essere allora il nostro approccio con le variazioni climatiche?

Non c’è dubbio che non possiamo fare nulla per contrastare questi fenomeni naturali che sono regolati da meccanismi soprattutto astronomici di difficile valutazione e di impossibile controllo. L’approccio corretto deve essere come quello che attuiamo nei confronti dei terremoti: non possiamo prevedere quando avverranno, ma possiamo prepararci a contrastarne gli effetti costruendo bene in siti idonei. Così, se questa è la strategia da adottare, dobbiamo prevedere le azioni e i provvedimenti che possiamo prendere per contrastare o mitigare gli effetti delle variazioni climatiche.

Bando al catastrofismo, ma corretta e responsabile azione di prevenzione. Del resto, nel periodo caldo medioevale, l’Uomo ha saputo adattarsi alle nuove condizioni climatiche, addirittura utilizzandole a proprio vantaggio come dimostra l’esempio dei Vichinghi in Groenlandia.

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