Prove tecniche di genocidio



Delle stragi naziste sono pieni i libri di Storia e ci sono migliaia di siti in rete che trattano l’argomento in tutti i suoi aspetti. Pochi tuttavia sanno che ben trent’anni prima che Hitler diventasse Führer, la Prussia adottò un comportamento simile nei confronti di una popolazione africana in una sperduta regione della Namibia. La similitudine con quella che fu poi chiamata Shoah sono impressionanti: dai campi di concentramento agli esperimenti di eugenetica, dalle leggi razziali alle metodologie di sterminio. Il genocidio degli Herero fu una vera e propria prova sul campo di quanto oltre trentacinque anni più tardi i nazisti avrebbero adottato contro gli ebrei e altri “esseri inferiori”.

Gli Herero vivevano nel nord della Namibia, in Africa, in una regione chiamata Damaraland. Come molte tribù africane erano allevatori di bestiame. Quando nel 1894 la Namibia divenne un protettorato tedesco, per gli Herero e altre popolazioni locali iniziò un calvario che si concluse con un vero e proprio genocidio. Il primo passo fu la colonizzazione del territorio. Essendo a quell’epoca gli Herero nomadi, infatti, come buona parte delle popolazioni che vivono tuttora di bestiame in Africa, non avevano villaggi stabili ma si spostavano in continuazione da un pascolo all’altro. Così per i coloni fu facile impossessarsi progressivamente del territorio, arrivando addirittura a schiavizzare le popolazioni locali per utilizzarle sia nelle loro piantagioni che, soprattutto, nelle ricche miniere di diamanti.

Oltre agli Herero la Namibia era abitata da altre popolazioni fra le quali le più importanti erano i Khoikhoi e i Nama. Furono proprio quest’ultimi, all’epoca nemici degli Herero, i primi a dare vita a una vera e propria rivolta organizzata, nel 1903, sotto la guida di Hendrik Witbooi. Ben presto ai Nama si aggiunsero ribelli di altre popolazioni, soprattutto Herero, e presto la rivolta si trasformò in una guerra a tutti gli effetti. Da una parte le popolazioni locali, ora guidate dal capo herero Samuel Maharero; dall’altra le truppe coloniali imperiali prussiane, le Schutztruppe, guidate dal generale Adrian Dietrich Lothar von Trotha.

Fu proprio con von Trotha che i prussiani iniziarono una politica di epurazione pianificata, adottando le direttive del Vernichtungsbefehl, ovvero l’ordine di sterminio: gli uomini dovevano essere subito passati per le armi, sia che fossero armati o no, mentre le donne e i bambini dovevano essere spinti verso il deserto dove finivano per morire di sete perché nel frattempo i tedeschi avevano avvelenato sistematicamente tutti i pozzi d’acqua dolce della regione.

Tale comportamento venne giustificato con il fatto che gli Herero non erano davvero esseri umani, ma subumani. I ribelli massacrati negli scontri a fuoco, in effetti, furono non più di 5.000, molti di meno dei 23.000 che morirono nel solo tentativo di attraversare il deserto Kalahari. Tutti coloro che si arresero, invece, furono condotti in campi di concentramento, soprattutto nelle isole Shark, dove morirono di malattie e stenti. Quelli che sopravvissero anche a questa ennesima prova, i più forti, vennero venduti come schiavi ai coloni tedeschi che li trattarono con tanta crudeltà che la maggior parte di loro morì comunque nei campi e nelle miniere. Alcuni vennero addirittura usati per esperimenti medici dall’eugenista Eugen Fisher, maestro del ben più noto Josef Mengele.

In soli quattro anni, dal 1904 al 1908, morirono fra i 30.000 e i 75.000 individui, ovvero fra il 50% e il 70% degli Herero e il 50% dei Nama. Solo i Khoikhoi si salvarono, avendo stipulato un accordo con i tedeschi fin dal 1894 e essendo pochissimi i ribelli di questa etnia che avevano partecipato alla ribellione. In un censimento del 1911, solo 15.000 herero risultarono essere sopravvissuti alla strage.

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