You’ll get the war you want!



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Esistono delle guerre che non fanno notizia, combattute silenziosamente da singoli cittadini contro un sistema stupido e superficiale, contro l’ignoranza e i pregiudizi di chi dovrebbe garantire i diritti più elementari, contro interessi economici e corporativi che non rispettano alcuna deontologia professionale né hanno alcuna pietà per chi si oppone loro.

Esistono delle guerre che non si combattono per ideologia o per la bandiera, ma con la consapevolezza dei propri diritti e doveri e con la dignità di chi non accetta né potrà mai accettare alcuna ingiustizia, qualunque sia il prezzo da pagare, guerre che durano anni, e lacrime, e sangue, e denaro, e tempo, e che ti spezzano il cuore e ti strappano l’anima.

Esistono delle guerre in cui sei veramente solo, e il nemico non ha volto o ne ha mille, e ti guardi le mani e scopri di essere disarmato, mentre è il tuo nemico che fa le armi e le regole, che decide come e dove si deve svolgere la partita, e se non stai al suo gioco sei tu il criminale, perché la legge e solo uno strumento in mano a chi la sa usare, la giustizia una vuota parola che nasconde solo ignoranza e disinteresse.

Esistono guerre che non hanno voce, in cui le grida si perdono nel vuoto, dove solo la curiosità estemporanea per il buffo o il curioso, per l’atto inconsulto o il dramma finale, ti portano per un attimo sotto la luce dei riflettori, salvo poi spostarsi su ben altri interessi, dove lo spettacolo è luci e colori e trucchi da illusionista pur portando il falso nome di «realtà». Così ti guardi intorno e non vedi alcuna simpatia, alcuna solidarietà: solo il cieco egoismo di chi non vuole sentire e non vuole vedere, l’imbarazzo di chi non riesce neppure a capire. Dall’altra parte gli occhi freddi di chi sa come spezzarti le gambe e strapparti la voce dalla gola, perché questo è un Paese dove si è liberi di dire qualunque cosa, purché non si cerchi di dimostrarlo.

Io sto combattendo una di queste guerre. La sto combattendo da nove anni. La combatto per la mia bambina e per me, la combatto per ciò in cui credo e per coloro che amo. La combatto per la dignità di essere uomo e padre, senza aspettarmi nulla ma senza smettere di riuscire un giorno ad avere giustizia, quella vera, che non è nella legge né nelle istituzioni, ma nei valori di civiltà in cui credo.

Finora questa guerra l’ho combattuta in silenzio, dedicando la mia voce a una guerra più grande, quella di tutti coloro a cui, come a me, hanno tolto senza colpa il diritto e il dovere di essere un genitore. Ora però ho deciso che tutto ciò non può continuare e non sono più disposto a stare alle regole di un gioco dove non è possibile vincere se non rompendo quelle stesse regole. Ho deciso che non combatterò più in silenzio, ma griderò forte, e attaccherò, e colpirò, e lo farò senza alcuna remora di indicare nomi e fatti, ingiustizie e falsità. Forse all’inizio la mia voce non andrà lontano, perché a nessuno interessa la verità, ma solo la notizia, a ben pochi la giustizia ma di fatto solo il privilegio. Tuttavia non mi lascerò abbattere, non mi tirerò indietro. Adesso basta. Se deve essere guerra, che lo sia sul serio, fino in fondo.

Comments (3) to «You’ll get the war you want!»

  1. eleida says:

    Non so immaginare cosa significhi vivere la tua situazione. Non sono madre e fortunatamente non sono figlia di genitori separati, ma vedo troppo spesso delle madri che sventolano troppi diritti e troppo pochi doveri… soprattutto quando si tratta di ammettere che un figlio non è solo di chi l’ha portato in grembo ma c’è anche un’altra metà, e negando quella metà al proprio figlio, gli si lascia un vuoto che anche la migliore delle madri non sarebbe in grado di colmare. La società di oggi è talmente assuefatta al finto femminismo che per non affidare un figlio alla madre, questa dovrebbe proprio essere una criminale… mentre un padre per avere l’affidamento non sa a che santo votarsi. Il luogo comune è che nella coppia il cattivo sia “lui”, il gioco preferito è “dagli addosso al marito” e se uno osa dire che ci tiene al proprio figlio pensano che c’è-qualcosa-sotto.
    Quindi sì, è una cosa per cui si deve combattere.
    Non mollare 🙂

  2. Ti ringrazio di cuore per il tuo messaggio. Il problema, come hai giustamente detto, è in questa società. Alla fin fine non sono certo le madri i nostri nemici, anzi, sono tante le madri che ci appoggiano perché i loro ex non si occupano assolutamente dei figli. Noi crediamo invece nella bigenitorialità, nel diritto dei bambini di continuare ad avere un rapporto costruttivo con entrambi i genitori, anche se separati.

    Il fatto è che un genitore può anche essere egoista, persino incattivito nei confronti dell’altro: questo è umano, lo posso accettare anche se non lo condivido. Quello che invece non accetto è che esista un sistema che alimenta il conflitto perché sul conflitto ha costruito un giro d’affari miliardario; quello che non acetto è che i giudici, che dovrebbero essere i primi a sostenere veramente l’interesse dei minori, dimostrano ignavia, pregiudizi, spesso e volentieri addirittura ignoranza e menefreghismo. Questo io combatto, e contro questo ho lottato finora.

    Adesso, tuttavia, c’è chi ha deciso di colpirmi personalmente per il mio impegno, utilizzando in modo strumentale il potere di cui è stato insignito, e la legge non mi mette a disposizione gli strumenti per lottare contro questo. Sto per iniziare una battaglia che perderò, lo so, ma la combatterò ugualmente. Spero solo che la gente capisca, sempre che lo venga a sapere… cosa su cui non metterei la mano sul fuoco.

  3. Dario,

    se posso, sono con te. Anche io separato, da due anni, e vessato dalla mamma di mia figlia e dalla sua famiglia anche da prima. E come dicevi, la tragedia nella tragedia e’ che a noi padri non e’ data alcuna possibilita’. Dov’e’ la giustizia, se deve passare forse un anno prima che venga fissata una prima udienza? Mancano i giudici, ma mancano del tutto dei servizi di sostegno, di aiuto nella gestione dei conflitti. Conto di tornare a leggerti, intanto complimenti: io ancora non ho trovato il coraggio di disotterrare l’ascia.

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