La Cultura del Mantenimento



Pubblicato il 27 settembre 2002 sul forum “Ulivo: famiglia e società” del sito ufficiale dell’Ulivo:

Leggo oggi sul giornale come la Corte Suprema abbia stabilito che il diritto al mantenimento non decada neanche dopo che sono passati vari anni da un divorzio per il quale non era stato previsto alcun assegno di mantenimento. In pratica, se 10 anni dopo il divorzio l’ex coniuge si licenzia, può venire a chiedervi una parte del vostro stipendio.

Trovo questa decisione l’ennesimo esempio di una cultura maschilista e ottocentesca che considera la donna uno stato dell’essere a metà strada fra il bambino e l’adulto, incapace di porsi sullo stesso piano del maschio della stessa specie. Essa, inoltre, è in aperta contraddizione con il principio stesso del divorzio, che stabilisce il diritto di due adulti a concludere definitivamente un rapporto scelto consensualmente. Chiudere un rapporto vuol dire tornare a essere liberi di vivere la propria vita come meglio si crede. Questa libertà però ha e deve avere un costo, ovvero non si può pretendere di essere liberi e allo stesso tempo dipendere dalla persona dalla quale abbiamo deciso di andar via.

La cultura del mantenimento nasceva da una visione del divorzio essenzialmente maschilista, in cui le donne non lavoravano, avevano nel matrimonio la loro unica fonte di sostentamento, e la separazione era spesso causata dal fatto che il marito lasciava il tetto coniugale. In tali condizioni era ragionevole presumere per l’uomo il dovere di non lasciare la moglie in una situazione economica di indigenza. Oggi il divorzio, tuttavia, non è più solo ed esclusivamente questo: ci si lascia per mille motivi, spesso entrambi i coniugi lavorano, e comunque il rapporto è nella maggior parte dei casi paritario, almeno nelle classi medie o medio alte.

Due persone che divorziano devono accettare che il loro nuovo stato sia, non lo stesso, ma comunque analogo a quello che avrebbero avuto se non si fossero sposate. Una persona non sposata, se non è ricca, per mantenersi lavora, uomo o donna che sia. È ragionevole pensare che subito dopo il divorzio, se uno dei due non ha alcun reddito o comunque un reddito non sufficiente a mantenersi, l’ex-coniuge provveda per un certo tempo ad aiutarlo, ma questo solo finché l’altro non abbia sistemato la propria situazione economica. Dopodiché, se uno, cinque o dieci anni dopo si licenzia, va in rovina o si trova nei guai economicamente, ebbene, è un problema suo. D’altra parte, perché il fatto di essere stato sposato dovrebbe meritargli un trattamento differente da chi si trova nella stessa condizione di difficoltà ma non ha mai avuto un ex-coniuge? La legge non deve essere uguale per tutti? O forse dobbiamo vedere il matrimonio come una sorte di pensione a vita? Forse che le madri devono raccomandare alle figlie: “Ragazza mia, sposati, che tanto anche se va male ti sei sistemata per sempre.” Mi sembra umiliante vedere nel mantenimento a vita l’unico futuro possibile per una persona, uomo o donna poco importa, anche se non mi stupisce dato che sempre più figli si fanno mantenere fino a 40 anni dai genitori e le dodicenni confessano che pur di diventare ricche si sposerebbero anche uno con 30 anni più di loro. Il femminismo si rivolta nella tomba, dove vi è stato mandato dalle tante selezioni di Veline e concorsi di bellezza.

E anche ammesso che un aiuto debba essere dato dopo tanti anni, aiuto che dovrebbe nascere dalla solidarietà semmai, non certo da una legge, perché non viene condizionato all’impegno del “mantenuto” a cercarsi al più presto un altro lavoro?

Come si può pensare che una persona oggi si possa sposare sapendo che in caso di divorzio il suo futuro sarà condizionato dalla buona o cattiva sorte dell’ex-coniuge fino alla morte di uno dei due? Come potrà rifarsi una famiglia con questa spada di Damocle sulla testa?

Ancora una volta si evidenzia l’esigenza di uno svecchiamento della Corte Suprema. Forse se nella Corte ci fossero magistrati più giovani, e magari qualche donna in più, possibilmente una vera femminista, di quelle che non accetta l’elemosina ma lotta per la vera parità, queste sentenze allucinanti smetterebbero di essere emesse.

No comments to «La Cultura del Mantenimento»

Trackbacks and pingbacks (1) to «La Cultura del Mantenimento»

  1. […] Questo modo di pensare, purtroppo, è tipico di molti magistrati, primi fra tutti quelli che si occupano di cause di separazione. Sono molte le donne infatti che vivono sulle spalle dell’ex-marito, magari non avendo neppure figli, senza preoccuparsi minimamente di rendersi autonome economicamente, con buona pace del femminismo e del Sessantotto. Una sentenza di questo tipo, per essere equa, dovrebbe stabilire da una parte un temporaneo sostegno economico da parte dell’uomo (o della donna, se questa è la più ricca), dall’altro l’obbligo del coniuge mantenuto di cercarsi un lavoro. Così non è. Si chiama “cultura del mantenimento”. […]

Please use Facebook only for brief comments.
For longer comments you should use the text area at the bottom of the page.

Facebook Comments

Leave a Reply





In compliance with the appropriate provisions of the law I state that this site is no profit, has not a predefined recurrence and is not updated according to a deadline. It may therefore not be considered an editorial product under Italian law #62 of March 7th, 2001. In addition, this site makes use of the right of citation for academic and criticism provided in Article 10 of the Berne Convention on copyright.