Verità e fatti



Pino Scaccia

Recentemente, in un articolo di Pino Scaccia sul blog «::DOSSIER::» ho letto questa affermazione, particolarmente cara al giornalista:

«La verità assoluta non esiste: esistono i fatti, ma non la Verità.»

Un’affermazione in prima approssimazione assoluamente condivisibile. Tuttavia, dopo un po’ ci ho pensato su e ho voluto rianalizzarla criticamente. Così è venuto fuori questo articolo che, ovviamente, non pretende di essere verità assoluta, ma semplice spunto di riflessione.

Partiamo dai fatti. Cos’è un fatto? Consideriamo un incidente aereo o un avvenimento come quello che ha coinvolto la giornalista Giuliana Sgrena in Iraq. Nel primo caso abbiamo dei rottami, una scatola nera, e quindi le registrazioni delle comunicazioni fra la torre di controllo e i piloti e tutta una serie di dati sul velivolo prima e al momento dell’incidente. Nel secondo caso abbiamo la macchina crivellata di colpi, le trascrizioni delle comunicazioni al cellulare degli agenti dei servizi segreti italiani, lo stesso luogo dove è avvenuto l’accaduto è a sua volta un fatto. Inoltre, in entrambi i casi, abbiamo le testimonianze dei sopravvissuti o di altre persone che hanno assistito ai due eventi.

Ora la domanda è: quali sono i fatti? Una lamiera contorta è un fatto? I dati della scatola nera che riportano il comportamento del velivolo durante l’incidente sono fatti? La carrozzeria della macchina su cui viaggiavano la Sgrena e Calipari crivellata di colpi è un fatto? La risposta sembrerebbe ovvia: sì, certo, è evidente che sono fatti. Ma è proprio così? Qual’è il fatto? Prendo un pezzo di alettone piegato e lo guardo. Dov’è il fatto qui? Il fatto che sia piegato? E perché è stato piegato? E quando? C’è una bella differenza fra un alettone che si piega in volo e uno che si piega nello schianto. Comprenderlo può permettere di capire cosa è successo e soprattutto perché è successo. Ecco allora che perché un fatto sia realmente tale, deve avere un qualche significato. Questo non vuol dire che si debba costruire sul fatto una qualche ipotesi più o meno fantasiosa, ma il fatto inteso come dato è del tutto inutile. 12 è un dato, rosso è un dato, pesante è un dato. Questi sono tutti dati. Che stanotte ci siano stati 12 gradi centigradi di minima, che la macchina del mio vicino di casa sia rossa e che l’alito del suddetto sia pesante sono invece informazioni.

Ebbene i fatti, per avere un senso, un’utilità pratica, devono essere informazioni, non dati. E per passare da un dato ad una informazione è necessario applicare un processo di contestualizzazione, un processo che solitamente richiede l’intervento di un essere umano, di un esperto, di un perito. Ecco allora che quella lamiera contorta, che per noi è solo appunto una lamiera piegata in modo strano, a un esperto dirà un certo numero di cose, specialmente se correlata ad altri dati. Il buco di un proiettile nella carrozzeria non sarà più un semplice foro, ma sarà il foro d’ingresso o di uscita del proiettile entrato con una certa angolazione e dotato di certe caratteristiche. È quindi dall’analisi dello specialista che il semplice dato dicenta un fatto.

Ci sono poi le testimonianze. Sono fatti? Sostanzialmente sì, ma che significato hanno? Se un testimone ha detto di aver sentito prima un boato e poi di aver visto l’aereo precipitare in fiamme, possiamo dire che è un fatto che l’aereo sia esploso in volo? In realtà no. Il fatto è che tutto ciò che osserviamo, che udiamo, che percepiamo, subisce un complesso processo di filtraggio che dipende da innumerevoli fattori. Alcuni sono strettamente legati alla nostra capacità di osservazione e di prestare attenzione, alle nostre peculiari attitudini e ovviamente alle nostre caratteristiche fisiche, quali difetti di vista o di udito. Altri sono legati a fattori psicologici o relazionali, a quelle che sono le nostre credenze e convinzioni, al nostro modo di porci nei confronti di ciò che ci circonda. Ognuno vede le stesse cose in modo diverso, senza contare il fatto che spesso le vediamo fisicamente da prospettive differenti, il che a sua volta ne modifica la percezione.

Ci sono poi una serie di fattori che rendono ancora più delicato l’utilizzo di testimonianze ai fini della comprensione di un evento. Alcuni studi effettuati negli Stati Uniti hanno dimostrato come durante gli interrogatori di un testimone vengano quasi sempre inseriti involontariamente da parte di chi interroga tutta una serie di falsi ricordi o di alterazioni. È un meccanismo ormai ben conosciuto e particolarmente complesso che porta spesso il testimone a collaborare con l’investigatore nel sostenere una tesi particolarmente verosimile ma fondamentalmente autopoietica, ovvero sostenuta su sé stessa.

Così, da una parte abbiamo fatti che comunque devono passare attraverso l’analisi di uno specialista prima di poter essere considerati tali, dall’altra abbiamo testimonianze che comunque sono soggette a una sorta di Principio di Heisemberg della realtà, ovvero subordinate al fatto che non è possibile acquisire una testimonianza senza in effetti in parte alterarla.

E la verità? Cos’è la verità in tutto ciò? La mia opinione è che la verità non sia altro che un modello, esattamente come lo sono le teorie nell’ambito scientifico. Nelle discipline scientifiche, infatti, non si parla più di Verità o di Realtà, come si faceva all’epoca dell’Illuminismo, ma di Modelli. Un modello è una costruzione logica che è in grado di spiegare le osservazioni e permette di fare previsioni verificabili attraverso ulteriori esperimenti. Se un modello risponde a questi requisiti allora diciamo che quel modello rappresenta la realtà, o più semplicemente che la realtà segue le leggi che stanno alla base di quel modello. Qui il discorso è lo stesso. Abbiamo tutta una serie di fatti, ovvero di informazioni, sotto forma sia di risultanze delle investigazioni sul campo e in laboratorio, sia di testimonianze. L’insieme di queste informazioni, combinate con l’esperienza e le competenze di chi investiga porta alla costruzione di un’ipotesi, ovvero di un modello, il cui obiettivo è spiegare ogni singolo fatto, ovvero incastrare ogni elemento al suo posto. Non è tuttavia sufficiente. Perché un buon modello sia tale è necessario che da esso si possano dedurre tutta una serie di considerazioni, ovvero ipotizzare ulteriori fatti che tuttavia non sono stati acquisiti. Se nuove investigazioni dovessero dimostrare che i fatti ipotizzati sono effettivamente avvenuti, allora il modello è affidabile. Non vero, non sicuro, ma semplicemente affidabile, il migliore allo stato attuale delle cose.

Esiste quindi la verità assoluta? Certamente no, fosse solo perché la conoscenza — se fosse sfuggito, come ho assimilato i fatti alle informazioni, ho anche assimilato la verità alla conoscenza — è sempre e comunque parziale nella realtà. A scuola eravamo abituati ai classici problemi di matematica dove i dati iniziali erano forniti in modo esaustivo e quindi era sempre possibile risolvere il problema e c’era una ed una sola soluzione. Nella realtà la conoscenza è sempre parziale, ovvero i dati del problema non sono un insieme definito e completo. Spesso molti dati mancano, altri sono errati, altri ancora sono del tutto fantasiosi o non hanno nulla a che vedere con il problema in oggetto. Basta un dato inutile a volte per confondere le idee e rendere complesso risolvere un problema altrimenti semplice. Un piccolo esempio banale è il classico problema dei nove punti (vedi sotto).

Questo tuttavia che non vuol dire che non si possa arrivare a una verità. In questo non concordo con Pino. A mio avviso un giornalista non può limitarsi a esporre i fatti che ha acquisito, perché così non fa altro che postporre il problema, scaricare su chi legge l’inevitabile tentativo di generare da tale insieme di fatti un’ipotesi di verità. Personalmente penso sia importante che chi ha la possibilità di accedere agli esperti, agli specialisti, chi ha potuto entrare in contatto più direttamente con il problema, abbia il dovere di provare a ipotizzare un modello, una verità, perché non facendolo lascia l’opinione pubblica in balia di chi invece non ha scrupoli a costruire a tavolino verità funzionali a specifici interessi politici ed economici, magari vestendole in modo tale da essere particolarmente intriganti, suggestive, e così, attraverso tali verità manipolare l’opinione pubblica a proprio uso e consumo.


Problema

Senza mai sollevare la matita disegnare una spezzata formata da quattro rette che passi attraverso tutti e nove i punti:

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