Una questione di voti



Si parla molto in questi giorni di referendum. D’altra parte, ogni qual volta il dibattito politico si focalizza su una decisione nella quale l’etica ha il primato sui tecnicismi, ovvero quando le scelte sono più dettate dal cuore che dalla ragione, il modo più naturale per affrontare questo tipo di problemi sembra essere quello della consultazione popolare.

Ho detto «naturale» e non giusto o corretto, perché a mio avviso nessun problema dovrebbe essere affrontato solo sul piano etico, ma una certa analisi oggettiva sulle possibili conseguenze delle alternative a disposizione dovrebbe sempre essere fatta. Ne consegue che una consultazione popolare come il referendum dovrebbe portare tutti i cittadini a impegnarsi per apprendere quanto più possibile sul problema in questione, evitando soprattutto di farsi manipolare dalle parti interessate o peggio ancora sostituire tale analisi con un atto di fede (non necessariamente religiosa, ovviamente).

In un mondo ideale, quindi, dove tutti i cittadini sono maturi, impegnati sul piano politico e sociale e soprattutto hanno un livello culturale adeguato ad analizzare varie tipologie di problemi, il referendum è sicuramente la massima espressione di democraticità. Purtroppo la realtà è molto diversa e non solo perché non tutti hanno lo stesso livello culturale e la stessa propensione all’impegno civile, ma anche perché oggettivamente non si possono conoscere e comprendere tutte le discipline e le materie possibili.

C’è inoltre da considerare il fatto che in un referendum abrogativo come il nostro ben pochi strumenti sono dati al legislatore per comprendere quale sia veramente la volontà del popolo. In effetti, a fronte di una certa problematica, un cittadino potrebbe essere a favore di un determinato cambiamento ma non favorevole al modo con il quale si pensa di affrontarlo. In pratica potrebbe essere tentato di votare per abrogare un certo articolo di legge ma poi di fatto spuntare la casella del NO perché in disaccordo con la legge che si pensa di approvare a riguardo.

Nonostante ciò, in certe occasioni, il referendum è preferibile ad altre forme di decisione a livello politico. O meglio, sarebbe preferibile se qualche anno fa non fosse successo qualcosa di inaspettato…

In linea di principio un referendum si basa su due assunti: che la maggioranza dei votanti esprima un certo parere e che a votare sia una percentuale ragionevole degli aventi diritto. Al di là delle varie discussioni su quorum e percentuali, se entrambe questi criteri sono soddisfatti, si può ragionevolmente pensare che la volontà espressa dalle urne debba essere rispettata. Tutto questo funzionerebbe perfettamente se non fosse per un piccolo problema: l’assenteismo. Mentre infatti per l’abrogazione è necessario andare a votare e indicare la propria preferenza per il , per mantenere lo status quo ci sono in effetti due possibilità: o si va a votare e si mette la crocetta sul NO, oppure non si va per niente a votare.

In genere, in Italia, la gente va a votare in buona percentuale, molto di più che in altri Paesi, come ad esempio gli USA dove la percentuale di votanti supera a volte di poco la soglia del 30%. Da noi si vota per le amministrative, per le regionali, per le politiche, per le europee e per i referendum con percentuali che variano dal 60 all’80% in genere, più che onorevoli, quindi. Si tratta, a mio avviso, di un segnale positivo di civiltà e impegno sociale. Tuttavia, se in un referendum, quelle forze politiche e sociali che sono contrarie all’abrogazione dell’articolo in oggetto invitano i propri elettori a non andare a votare, piuttosto che a votare per il NO, allora i voti contrari all’abrogazione si sommano alle astensioni e il referendum viene invalidato per mancato raggiungimento del quorum.

Facciamo un esempio pratico. Si va a votare per abrogare l’articolo X della legge Y. A seguito del dibattito politico si formano due schieramenti. Si prevede che siano favorevoli all’abrogazione poco meno del 60% degli italiani, contrari circa il 40%. Ovviamente ci saranno delle astensioni — si prevede un 20% degli aventi diritto — ma in genere queste si suddividono più o meno proporzionalmente nei due schieramenti, con una leggera propensione per i contrari, per cui si può ragionevolmente pensare che i vinceranno con un certo margine. D’altra parte ci sono due tipi di astensioni: quelle volontarie e quelle involontarie. Quest’ultime "colpiranno" casualmente entrambi gli schieramenti (malattie, motivi di lavoro o personali, problemi dell’ultimo minuto); le astensioni volontarie invece sono dovute o a una forma di protesta oppure a semplice ignavia (dicasi menefreghismo in linguaggio più popolare). In questo caso è ragionevole pensare che chi è convinto della necessità di abrogare un determinato articolo sia meno propenso ad astenersi di chi invece è soddisfatto della situazione attuale. Comunque, si va al voto e alla fine le previsioni sono confermate: 48% a favore, 36% contrari, 16% astenuti. In effetti il 48% in assoluto rappresenta circa il 57% dei voti espressi, come ci si aspettava.

Ma che succede se durante il dibattito i fautori del NO chiedono di astenersi, invece che di andare a votare? Se sommiamo il 36% al 16% ecco che l’astensione supera di due punti la soglia minima affinché il referendum sia valido, ovvero la metà degli aventi diritto più uno. In pratica il referendum è invalidato e le cose restano come sono, ovvero vincono i NO. Così, grazie a questo espediente, a meno che non esista nel Paese una percentuale molto significativa di aventi diritto favorevoli al SÌ, si può ribaltare completamente la logica del referendum facendo vincere la minoranza e non la maggioranza. In pratica si vanifica completamente l’istituzione del referendum.

È già successo e c’è da ritenere che succederà ancora, se si presenteranno le condizioni giuste. Ovviamente chi usa questo meccanismo afferma che l’astenersi è un diritto sancito dalla Costituzione, ma questo cambia poco le cose: è un volgare trucco, eticamente inaccettabile anche se formalmente legale. Così il buon vecchio principio che «la maggioranza ha sempre ragione», più che discutibile, indubbiamente, ma ragionevolmente valido almeno finché non se ne troverà uno migliore, viene del tutto soppiantato da quello sicuramente non accettabile che ad avere ragione è la minoranza, purché si allei con chi di questo Paese non gliene può fregare di meno.

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