Il lato oscuro del Buddismo



Si qualifica come integralismo in senso lato qualunque ideologia con cui si miri alla costituzione di un sistema omogeneo in cui non esista pluralità di ideologie e programmi, conciliando e unificando tutte le posizioni esistenti, oppure rigettando e delegittimando tutte le posizioni diverse dalla propria, in pratica rifiutando qualunque compromesso affinché quest’ultima prevalga su tutte le altre.

Wikipedia, versione italiana, 14 luglio 2013

Quando sentiamo il termine “integralista”, soprattutto se legato ad aspetti religiosi, la prima cosa che nei Paesi occidentali viene in mente è l’integralismo islamico. Dalla proibizione per le donne saudite di guidare l’automobile o anche semplicemente una bicicletta, fino all’applicazione della pena di morte in Iran per gli omosessuali, con tutto quello che sta in mezzo, infibulazione e lapidazione incluse.

Quelli che hanno un minimo di conoscenza della storia, tuttavia, sanno che anche da noi la religione giunse ad estremi oggi inconcepibili. Basti pensare alla Santa Inquisizione e alla persecuzione dei catari, che vide nel solo 1209 ben 20.000 uomini e donne giustiziate, spesso sommariamente, dai credenti della “vera fede”.

Naturalmente non furono solo i cattolici a rendersi responsabili di veri e propri genocidi. Spesso si fa riferimento alle “radici cristiane dell’Europa”, ma si tratta di un’affermazione quantomeno discutibile se non del tutto falsa. L’Europa fu spesso evangelizzata con il fuoco e con la spada e non certo con le parole e l’amore per il prossimo.

Un esempio è stata la cristianizzazione della Polonia che è avvenuta in modo tutt’altro che pacifico. Furono centinaia i villaggi messi a ferro e fuoco dai Cavalieri Teutonici e decine di migliaia le vittime, inclusi vecchi e bambini. Persino dopo che re Mieszko I e sua moglie, Dobrawa di Bohemia, si convertirono al Cattolicesimo nel 966 dC, la religione cristiana continuò ad essere avversata, soprattutto nelle campagne dove il risentimento del popolo polacco sfociò nella ribellione del terzo decennio dopo l’anno Mille che vide, soprattutto dal 1035 al 1037, scorrere veri fiumi di sangue sul territorio polacco.

Molti tuttavia non sanno che l’integralismo è presente tuttora anche nel mondo cristiano, sia cattolico che ortodosso. Un esempio è decisamente recente: nel giugno del 2005, a Tanacu, 350 chilometri a nord-est di Bucarest, in Romania, una giovane monaca, Irina Cornici, di soli 23 anni, è stata crocifissa dalle sorelle del monastero su ordine di un prete ortodosso, Daniel Corogeanu, convinto che fosse posseduta dal demonio.

Da un punto di vista storico, si potrebbe affermare che l’atteggiamento intransigente e violento della Chiesa nel Basso medioevo sia da inquadrare all’interno di una società comunque primitiva e violenta; tuttavia movimenti integralisti all’interno della Chiesa Cattolica si svilupparono anche intorno agli anni ’30 in Spagna, Portogallo, Brasile e Italia. Fra questi, l’intransigentismo, arroccato nella difesa della tradizione cattolica di fronte a ogni tentativo di rinnovamento religioso.

Nel mondo protestante abbiamo le dottrine fondamentaliste, ovvero intese a interpretare i testi sacri in modo assolutamente letterale e dogmatico. D’altra parte il termine “fondamentalismo” nacque negli Stati Uniti d’America tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento e venne usato per indicare una specifica corrente protestante il cui obiettivo era il ritorno ai principi fondamentali del Cristianesimo, attraverso la sola e infallibile parola di Dio.

Una particolare forma di fondamentalismo che attraversa diverse religioni, non solo quelle monoteiste, è il creazionismo, in aperto conflitto con l’evoluzionismo scientifico. In particolare il creazionismo cattolico e soprattutto quello protestante, hanno cercato più volte di portare la loro ideologia in ambito scolastico, spesso ricorrendo anche ai tribunali.

Nella religione ebraica, l’integralismo è ben rappresentato dagli ultra-ortodossi, gli haredim, una vasta galassia di gruppi religiosi che formano il cosiddetto “fondamentalismo ebraico”. Meno rigidi ma comunque tradizionalisti sono i datiim, i masortiim e gli hilonim. Nei confronti delle donne, l’atteggiamento degli haredim ricorda molto i talebani.

Fin qui nulla di nuovo. Che nelle tre grandi religione monoteistiche ci siano gruppi integralisti è cosa risaputa, così come si sa che forme violente e intolleranti esistano anche in molte religioni politeiste come, ad esempio, l’ideologia nazionalista hindutva nell’induismo.

Quello che però molti non sanno, e sono sicuro rimarrebbero stupiti nel venirlo a sapere, è che l’integralismo, soprattutto quello violento, non è esclusiva solo delle religioni monoteistiche o di qualche antica religione politeista, ma anche di una religione che tutti noi siamo soliti associare alla pace, alla pazienza e alla comprensione: il Buddhismo.

È il 23 ottobre 2012, siamo in Birmania e precisamente nel villaggio di Yin Thei, abitato per lo più da musulmani Rohingya, poco meno che 2.500 persone. Nel villaggio ci sono anche alcune decine di buddisti Rakhine. Sono un paio di giorni che la regione vede scontrarsi vari gruppi etnici, spesso in modo molto violento.

Quella mattina un gruppo formato da alcune migliaia di buddisti Rakhine, tutti uomini, arriva al villaggio facendo scappare i pochi poliziotti presenti. Iniziano a dar fuoco alle case con la benzina, poi si danno al massacro. Uomini, donne, bambini, senza alcuna distinzione. Una bambina di soli diciotto mesi, Guzar Bibi, sfugge di mano alla madre che sta scappando, viene afferrata da un uomo e sgozzata senza pietà. Un’altra, di soli otto mesi, Sarjida, viene trapassata da una spada insieme alla madre, una ragazza di soli vent’anni. Altri sei bambini vengono massacrati, i corpi gettati in mezzo alle fiamme.

Quello di Yin Thei è stato solo uno dei tanti episodi che hanno visto i musulmani Rohingya vittime di una vera e propria pulizia etnica. Già nel giugno dello stesso anno erano 650 i Rohingya rimasti uccisi negli scontri, 1.200 quelli dispersi e più di 80.000 gli sfollati. A peggiorare la situazione, lo stesso governo birmano ha dichiarato il coprifuoco nella regione. Si parla di violenze e torture sia da parte dell’esercito che della polizia, ma la cosa peggiore è che le varie organizzazioni di monaci buddisti della regione hanno ostacolato in tutti i modi possibili gli aiuti umanitari alla comunità dei musulmani fuggiti dal Bangladesh nel 1982 e rifugiatisi nel Myanmar. Per il governo quei musulmani sono degli apolidi, senza cittadinanza e senza alcun diritto, per i buddisti un nemico da eliminare con qualsiasi mezzo.

In effetti la cosa non dovrebbe poi stupirci così tanto, visto che siamo abituati all’integralismo in una religione come quella cristiana, che ci chiede di amare il prossimo nostro e di porgere l’altra guancia, o quella islamica, dove Allah è detto il Misericordioso. Perché non allora anche nel Buddismo? È davvero difficile comprendere come possa, chi afferma di credere in religioni che dicono di fondarsi su tutta una serie di principi elevati, lasciarsi andare ad atti di violenza inaudita come quelli qui raccontati, giustificandoli proprio con quella religione che li aborre!

Il punto è che la violenza non è nella religione in sé ma nella natura umana, la quale ipocritamente veste di alti principi la propria brama di sangue e il desiderio di distruggere tutto ciò che è diverso da sé.

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