Quel cinema così serio



Cannes 2008. Due i film italiani in concorso: «Gomorra» di Matteo Garrone e «Il divo» di Paolo Sorrentino. Il primo è la trasposizione del romanzo di Roberto Saviano sulla camorra, il secondo racconta un pezzo di vita di Giulio Andreotti.

Venezia 2008. Quattro i film italiani in concorso: «Il papà di Giovanna» di Pupi Avati, «Un giorno perfetto» di Ferzan Ozpetek, «BirdWatchers» di Marco Bechis e «Il seme della discordia» di Pappi Corsicato. Il primo racconta la storia di un pittore fallito che cerca un riscatto personale nell’educazione della figlia timida e insicura, il secondo l’intrecciarsi dei destini di personaggi molto diversi fra loro nell’arco di ventiquattro ore, il terzo la storia di un appassionato dell’osservazione degli uccelli che incontra nella foresta amazzonica una donna rapita dagli Indios quand’era bambina e che è alla ricerca della sua famiglia, il quarto è la rielaborazione del più classico «La Marchesa di O…» di Heinrich Von Kleist.

Tutti film seri, serissimi e sicuramente ben fatti. Tutti film impegnati sul piano sociale o politico, di quelli che fanno pensare, di quelli che hanno un messaggio. Niente a che vedere con le tipiche pellicole americane piene di effetti speciali e di situazioni improbabili se non addirittura del tutto fantastiche. Nel nostro cinema non c’è posto per le favole, e se favole devono essere che abbiano almeno una morale!

Sia chiaro, lungi da me dall’affermare che il nostro non sia del buon cinema, anche se non ho un amore particolare per il modo di recitare di alcuni nostri attori e attrici, a mio avviso troppo sostenuto, falso, lontano da un’espressività convincente. Tuttavia quello che il nostro cinema non comprende e non comprenderà mai è che la gente, al cinema, vuole anche divertirsi, vuole smettere di pensare ai problemi della vita per regalarsi un sogno di un paio d’ore.

Ma questo, il nostro cinema e i nostri registi, proprio non lo capiscono. Da noi, uno Spielberg o un Lucas avrebbero fatto la fame, avrebbero chiuso loro le porte in faccia. Eppure Steven Allan Spielberg non è solo il regista de «Lo squalo», «E.T. l’extra-terrestre» e le trilogie su «Indiana Jones» e «Jurassic Park». Spielber ha diretto anche film come «Il colore viola», «Schindler’s List» e «Salvate il soldato Ryan». Non si può dire che non siano film "impegnati", oltre che impegnativi! Ma Spielberg, come tanti altri registi americani, è un uomo che sa sognare e che non ha paura di ammetterlo e di portare i suoi sogni sul grande schermo per far sognare anche tutti gli altri.

Film come «Dracula di Bram Stoker» di Francis Ford Coppola e «Mission: Impossible» di Brian De Palma, o trilogie come «Il Signore degli Anelli» o «Matrix» non solo il nostro cinema non ha mai saputo produrle ma le snobba come prodotti commerciali, per le masse. Beh, magari li avessimo noi film "commerciali" di quel livello! I nostri arrivano al massimo alle varie «Vacanze di Natale» o di Pasqua, ovvero filmetti da quattro soldi che si reggono su battute già vecchie quando io andavo alle elementari e sulle immancabili tettone di turno pronte a mostrare di tutto e di più per la gioia di grandi e piccoli guardoni.

Il nostro cinema è così: da una parte pellicole come quelle interpretate da Christian De Sica, Massimo Boldi e Neri Parenti, decisamente di infimo livello; dall’altra prodotti impegnati o comunque "intellettuali", spesso a sfondo sociale o ispirati a fatti della cronaca e della politica italiana, a volte pure troppo noiosi e scontati. In mezzo, il nulla. Il concetto di puro intrattenimento nello scenario della cinematografia italiana è pura eresia!

Nessun grande regista italiano ha mai avuto il coraggio di girare una pellicola di fantascienza di alto livello, se si esclude Gabriele Salvatores con il suo «Nirvana», caduto comunque presto nel dimenticatoio. In quanto alla narrativa fantastica, che sia per adulti o per bambini, neanche a pensarci. Un film come «La bussola d’oro» da noi sarebbe impensabile, men che meno una serie come quella dedicata ad «Harry Potter». E non che non si abbiano le risorse o le competenze: alcuni fra i più grandi esperti nel campo degli effetti speciali sono proprio italiani, e lo stesso dicasi per i costumi e la fotografia.

Solo nel campo dei cartoni animati l’Italia è riuscita negli ultimi anni a fare qualcosa di valido e competitivo sul piano internazionale. Nulla del livello delle pellicole della Pixar, sia inteso, ma comunque di buona qualità e realizzazione, come «La Gabbianella e il Gatto» e «Johan Padan e la descoverta de le Americhe».

Ma perché in America, Gran Bretagna e adesso persino Australia e Nuova Zelanda, grandissimi registi e attori accettano la sfida del film fantastico, mentre da noi il solo pensiero di fare un film del genere fa rabbrividire l’intelighentia della nostra industria cinematografica?

Personalmente credo che i motivi siano due, uno pratico e uno fisiologico.

Quello pratico: il nostro non è un sistema meritocratico, dove ha successo chi vale, ma clientelare, dove se non hai un angelo non dico in Paradiso ma quantomeno in Parlamento o anche solo in Regione o in Comune, non vai da nessuna parte. È evidente che un film impegnato ha più possibilità di essere strumentalizzato politicamente, di essere usato da questa o da quell’altra parte per mandare messaggi, forgiare opinioni. Un film fantastico si presta di meno, non tanto perché non ci possa essere all’interno un qualche messaggio o una qualche morale, quanto perché chi lo guarda è più rilassato, meno incline a porsi delle domande e di più a divertirsi, a godersi il momento. Quindi non serve, non è utile e sicuramente non riceverà mai alcun finanziamento, anche perché alla fine dietro a questo genere di decisioni stanno i partiti e i gruppi industriali. C’è da considerare come l’aspetto economico sia decisamente importante per un film fantastico o d’avventura perché questi generi richiedono investimenti notevoli a causa dei molti effetti speciali.

Quello fisiologico: non siamo dei sognatori. L’italiano è cinico, incapace di sognare, di volare. Facciamo i seriosi per nascondere la nostra incapacità di dare alla vita un significato che vada oltre il semplice successo economico o sociale. Non siamo più veramente capaci di divertirci come bambini. Da una parte continuiamo a fare i bambinoni rimanendo a casa dei genitori fino a trent’anni, dall’altra abbiamo perso quella semplicità, quella gioiosità che hanno i veri bambini. I nostri critici cinematografici e letterari, inoltre, sono "persone estremamente serie", che trovano nel criticare film impegnati e possibilmente di successo un modo di acquisire di riflesso quella visibilità che altrimenti, dovessero basarla solo sulla loro competenza, non avrebbero. Avete mai letto un famoso critico letterario recensire un romanzo semisconosciuto? Non lo fa nessuno. Parlare di chi sta in cima vuol dire in qualche modo aggrapparvisi a quella cima e lì penzolare, a un passo dalla fama, avendo fatto peraltro il minimo sforzo necessario.

Così continuiamo a fare film idioti da una parte, noiosi dall’altra. Se non altro quest’ultimi sono ben curati, ma non per questo ispirano di più. Non è così? Un sistema per verificarlo ci sarebbe, ovvero guardare le classifiche che i vari film americani e italiani hanno in Italia. E questo senza dimenticare che i film americani sono visti in tutto il mondo, quelli italiani no. Provateci voi, ma vi avverto: non sarà facile. L’industria cinematografica in Italia non ci tiene particolarmente a fornire dati attendibili e statistiche sugli incassi e il numero di spettatori relativi alle pellicole italiane. Chissà perché… magari è solo una questione di modestia… fiscale.

Commenti (13) a «Quel cinema così serio»

  1. utente anonimo ha detto:

    sono foxylady79 del forum di pigrecoemme (livello?…pivella!!!)

    ho inviato il mio commento sul forum,ma dato che solo ad una seconda lettura del tuo intervento

    mi sono resa conto che sulla parola blog si potesse cliccare ed entrarci(hem..il pc non è il mio pane quotidiano)andrò ad integrare la mia

    risposta sempre lì!

  2. utente anonimo ha detto:

    Scusa, ma quanti film italiani l’anno vedi?

    Giusto per…..

    Non puoi paragonare certe produzioni americane, perchè produzioni ad alto budget, con qualsiasi film italiano, perchè manca proprio una industria minimamente paragonabile.

    Tra parentesi, il Divo è sommamente divertente

  3. Dario de Judicibus ha detto:

    Film ne vedo molti, sia italiani che esteri (americani, francesi e spagnoli). Può sembrare strano, ma nonostante ogni film abbia registi diversi, si potrebbe dire quasi ad occhi chiusi, viste poche scene, se un film è, ad esempio, francese o spagnolo, italiano o americano. La struttura dei dialogi, i tempi, la fotografia, hanno un qualcosa di caratteristico, come se parlassimo di rock, blues, jazz o pop. Tutta musica, eppure ognuno ha uno stiel diverso.

    Non contesto il fatto chemolti film italiani siano belli. Lo sono, ma il problema è che nel nostro cinema c’è un vuoto, ovvero il film “fantastico”, slegato dalla realtà. Noi abbiamo una valida scuola di realismo che tuttavia ha fatto sì che il nostro cinema in qualche modo rifiuti il fantastico.

    Non è un problema di budget. Si possono fare film fantastici con budget molti risicati, giocando sullo piscologico, ad esempio. E poi oggi la computer graphics costa molto poco. Costa di più una trasferta in un’altro Paese. I soldi ci sono, e pure i finanziamenti ch eperò spesso sono deviati su film di interesse “politico”.

    Non è un problema solo del cinema. Quanti scrittori italiani conosci che scrivono fantascienza o fantasy? E quanti vengono promossi dai media come invece si fa per i libri “impegnati”? Quanti hanno vinto un Campiello o un premio Strega? Pensaci. Perché?

  4. utente anonimo ha detto:

    Ah, allora la tua è una crociata a favore e per il fantasy. Il fatto che un genere particolare non sia presente in una cinematografia o in una letteratura nazionale può essere un fatto culturale, ma anche imprenditoriale (sui film continuo a dire impossibile fare paragoni fra due industrie sideralmente differenti, una cosa poi è il fantastico, una cosa il fantasy, una cosa la fantascienza).

    Esistono titoli italiani di fantasy in letteratura, la sensibilità a certi generi cambia con il tempo e con le contaminazioni.

    Non riesco a capire il bisogno però di dare legittimazione a un genere attraverso la vittoria di un premio, come se questa certificazione fosse necessaria, in un’epoca poi in cui tutto ciò

    ha perso enormemente valore, oltretutto. Per quanto riguarda i media è un discorso a parte, quali media? Tv? Pubblicazioni? Internet?

    In ultima analisi poi si deve valutare il prodotto per quello che è, non c’è un valore aggiunto al fatto di far parte di un genere, un fantasy può anche essere non valido, e ce ne sono molti. Il vincere un premio è un fatto molto particolare in cui concorrono una infinità di variabili non riducibili all’appartennza ad un genere.

  5. Dario de Judicibus ha detto:

    La classificazione di un film sotto un genere è a mio avviso una semplificazione non sempre necessaria. Io parlo di cinema del fantastico in genere per indicare quel cinema che utilizza al suo interno elementi fantastici.

    Ti faccio un esempio: prendi il «Labirinto del Fauno» Inutile dire che si tratti di un film che tratta un argomento molto delicato come la guerra civile spagnola, eppure l’elemnto fantastico presente gli dà un tono assolutamente originale. È uno splendido esempio di cinema fantastico “impegnato”.

    Mi piacerebbe vedere film del genere in Italia. In fondo, anche la famosa partita a scacchi con la morte nel «Settimo Sigillo» ne fa un film fantastico.

    Oltre al film di fantascienza o fantasy puro, esiste la possibilità di contaminare con elementi fantastici film che parlano di problematiche reali. Questo è appunto «il sogno» di cui parlo. la capacità del cinema di andare oltre al reale. Di far divertire e pensare allo stesso tempo.

    Credo che fra i nostri registi non ci sia la capacità di sognare. Forse si prendono troppo sul serio. Per sognare, bisogna accettare il fatto di essere un po’ bambini, che non vuol dire essere infantili, ma aperti a ogni possibilità.

  6. Dario de Judicibus ha detto:

    In quanto al discorso dei premi, il fatto che sia in letteratura che in cinematografia in Italia non si prenda neppure in considerazione la possibilità di premiare un romanzo o un film fantastico, la dice lunga sulla mentalità della nostra intellighentia che poi controlla e gestisce buona parte dei vari premi letterari e cinematografici. Oggi un Calvino non avrebbe alcuna possibilità di ricevere un premio con le sue straordinarie «favole».

  7. Dario de Judicibus ha detto:

    Purtroppo Splinder ha perso i miei ultimi due commenti. Ci riprovo.

    Innanzi tutto credo che la classificazione di una pellicola all’interno di un genere sia una semplificazione non sempre applicabile. Ti faccio un esempio. Prendi «Il Labirinto del Fauno». È forse una pellicola di fantasy? A mio avviso non ha senso porsi la domanda. È un film fantastico e allo stesso tempo è sicuramente un film che tratta di un argomento molto delicato come la guerra civile spagnola. Uno splendido esempio di come un film impegnato possa inglobare elementi fantastici senza perdere nulla, anzi, guadagnandone.

    A parte i film di fantascienza e di fantasy “puri”, la contaminazione di elementi fantastici all’interno di un film è un elemento arricchente che viene totalmente ignorato dalla nostra industria cinematografica. Pensa alla partita a scacchi con la morte del «Settimo Sigillo». Questo è «il sogno» di cui parlo, la capacità di far leva sul bambino che esiste in noi senza cadere nell’infantile ma arricchendo l’adulto della capacità di trascendere la realtà.

    Dalla commedia leggera al film di impegno sociale, ogni pellicola può introdurre elementi fantastici. Non sto parlando solo di film come «Matrix» o «Jurassic Park», che comunque, più che per gli effetti speciali, hanno il merito di aver introdotto elementi nuovi, di creare un confronto con qualcosa che non c’era prima. Sto parlando di solleticare la fantasia delle persone, sfruttare il fantastico per provocare, rompere tabù, stimolare l’immaginazione.

    La mia è una crociata per il diritto a sognare, non per un particolare genere cinematografico.

    In quanto alla questione dei premi, è un fatto che fra gli addetti ai lavori in Italia neppure si prende in considerazione la possibilità di poter premiare o anche solo candidare a un premio un romanzo o una pellicola fantastica. Da noi, oggi, un Italo Calvino verrebbe del tutto ignorato. Il nostro mondo artistico è arido dal punto di vista della capacità di sognare. Non abbiamo fantasia, siamo diventati un popolo di cinici e la nostra cinematografia lo rispecchia.

    Non pretendo che un giorno un grande regista italiano possa dimostrare abbastanza coraggio da dirigere la trasposizione cinematografica di un romanzo fantastico scritto magari da un altro italiano (quello sì che sarebbe un sogno), ma almeno una pennellata di fantasia che ammorbidisca i contorni di quadri iperrealistici sarebbe auspicabile. Abbiamo bisogno di sogni. Di realtà ne abbiamo fin troppa.

  8. utente anonimo ha detto:

    Scusa, ma c’è troppa confusione.

    La tua di idea di sogno è unidirezionale. Annoveriamo il genio cinematografico che ha più mischiato le carte con il sogno e l’irrealtà ed è Fellini, abbiamo un Nichetti che prima di sparire ha sparigliato le acque della fantasia più incondizionata, abbiamo un Lucchetti che agli esordi ha contaminato tutti i generi ammorbidendo i suoi tocchi sarcastici e iperrealistici con un assoluto piacere per l’assurdo, oggi abbiamo un Crialese che dilata la realtà storica nella totale creatività soggettivistica.

    Mai capitato a vedere Ferrario? Ok documentari, poi si inventa una Torino notturna e totalmente irreale in cui tutti i personaggi sono folli e ti invita a sognare

    Se pure Olmi così preso dall’amore per il documentario si butta in sequenze completamente oniriche!

    Non credo ci sia cinismo, abbiamo una storia recente di cinema mediocre, eppure qualcosa si muove…le nostre radici rimandano al realismo, questo è sicuramente vero, storicamente, il nostro cinema è stato grandissimo quando ha guardato alla realtà ed oggi riprende da quel punto, con modalità decisamente differenti, ma sempre guardando alla realtà. E’ appena uscito Pranzo di ferragosto, una cosina accennata e pur molto bella, una cinepresa che si muove con lo sguardo dello spettatore, un piccolo racconto fugace capace di consolare e contemporaneamente problematizzare l’attualità, ottimo.

    Probabilmente cerchi un cinema diverso, ti chiedi perchè non ci sia in italia, probabilmente capiterà anche a noi un individuo alla Del Toro, una voce fuori dagli schemi anche in Spagna, ma il sogno non è solo Spielberg & c. (tendenzialmente un uomo che raconta sempre la stessa storia, un talento visivo infinito castrato da una retorica insopportabile).

    Non abbiamo troppa realtà, è questo il problema sia della nostra letteratura sia del nostro cinema, l’aver abdicato alla missione di ridisegnare e riprodurre, indagare e spiegare, metaforizzare e confrontarsi con la realtà.

    Il problema non sono i premi, è la mancanza di un Calvino semmai, noi non riconoscerremmo Calvino oggi? No, il problema è che Calvino non c’è oggi.

  9. Dario de Judicibus ha detto:

    Mi va benissimo Fellini, e sull’onorico anche Olmi, ma è un onirico tradizionale, comunque realista. L’onirico dei sogni della letteratura classica. Ma oggi il fantastico va oltre l’onirico: si muove da una parte verso il magico di origine celtica e finnica, dall’altra sul tecnologico e cyberpunk, passando per le fantasie animate di un SinCity o di un Final Fantasy, fino ad arrivare al web e al virtuale. Tutto ciò è inorato dai nostri registi, troppo legati a una visione rigorosamente umanistica e aliena a tutto ciò che è tecnologia e scienza.

  10. Dario de Judicibus ha detto:

    I Calvino ci sono, ma non vengono pubblicati. Oggi tutte le grandi case editrici NON sono disponibili a pubblicare letteratura fantastica che non sia anglosassone. Ma hai idea di quanti scrittori italiani hanno dovuto pubblicare con pseudonimi inglese e americani per farsi pubblicare? Prova a chiedere a un’agenzia letteraria seria in Italia se sia disposta a patrocinare uno scrittore italiano di fantasy o fantascienza: la risposta sarà no, senza neanche dare un’occhiata al manoscritto. Non parliamo poi delle sceneggiature. Il nostro è un sistema clientelare dove ha successo solo chi ha le spalle “coperte”.

  11. utente anonimo ha detto:

    tendenzialmente tu cerchi un certo tipo di film, che abbia certe ascendenze e certi rimandi, sono gusti.

    Cosa sia di moda oggi è ben evidente, data l’onda che porta la moda qualcosa arriverà anche qui, d’altronde cominciano a proliferare le pubblicazioni fantasy anche in italia, scritte da italiani.

    Tendenzialmente apprezzo maggiormente ciò che si discosta dalla moda.

  12. utente anonimo ha detto:

    Scusa se dissento, i Calvino non ci sono, la sua grandezza è nella prosa, nella capacità analitica di reinventare la storia e l’attualità, ha reinventato il racconto con la sua asciuttezza linguistica.

    Clavino era un autore culturalmente immane.

    Sulla difficoltà di penetrazione nelle case editrici beh, la difficoltà accomuna molti generi, è un po’ come i nostri registi che facevano i western firmandosi con nomi americani

  13. Dario de Judicibus ha detto:

    Appunto! Vedi che ci siamo? I western fatti dagli italiani hanno finito per diventare famosi in america e alla fine ci hanno copiato. Ma la nostra esterofilia fisiologica ha costretto agli inizi a farli passare per americani. Anche con i cartoni animati c’è voluta un’eternità. Il fatto è che la nostra cultura rifiuta non tanto certi generi (se no le sale dove si proiettano film americani sarebbero sempre vuote) ma il fatto che noi si possa fare anche di meglio. Se il nome è straniero siamo tutti pronti a sbavare, se è italiano storciamo la bocca. Non crediamo in noi stessi e continuiamo a fare solo quello che abbiamo già fatto.

    Per quanto riguarda quella che tu chiami «moda», beh, non è moda a mio avviso. Alla gente piace divertirsi e i film americani sono costruiti da professionisti che sanno esattamente come questo funziona. Prendi un Ice Age e un personaggio come Scrat. Non è americano, è globale. Ho visto persone di ogni Paese e cultura schiattare dalle risate davanti a certe scene. La comicità vera supera le barriere culturali.

    Insomma, qui in Italia ci vogliono decenni per far capire a chi produce e a chi pubblica che possiamo fare le stesse cose e anche meglio. Non è un caso che alla fine chi vale in quei campi, poi lo perdiamo e va a cercare fortuna all’estero, specialmente chi opera negli effetti speciali e nella computer graphics.

    Questo Paese è vecchio, in ogni cosa che fa. Non ha vision, non sa innovarsi, non sa sognare. E il cinema ne è solo lo specchio. Così le migliori menti della scienza le abbiamo già perse da tempo. Molti cantanti in gamba ormai vanno all’estero e cantano in inglese. Presto ci saranno scrittori italiani che scriveranno in inglese e pittori che lasceranno questo Paese per trovare fortuna all’estero. Questo è il Paese delle Non Opportunità. Chi vale lo lascia. Gli altri si parlano addosso e si premiano a vicenda. Dimentica Venezia e Roma. Guarda i Nobel. Ormai sempre meno italiani vengono premiati. Guada i premi letterari internazionali. Quanti italiani sono conosciuti? Leggi i giornali spagnoli, francesi io tedeschi. Quanto si parla davvero dell’Italia? Una volta, nel Rinascimento, il mondo prendeva noi a modello. Adesso piange la nostra prematura dipartita.

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