La Repubblica che vorrei



Si è parlato molto di legge elettorale in questi ultimi tempi. Durante il dibattito, ognuna delle parti in causa ha cercato di far credere agli elettori come in effetti fosse possibile definire un sistema elettorale equo, ovvero, che non favorisse nessuna delle parti in causa. Come ho già spiegato in un precedente articolo, «Il Paradosso Elettorale», è stato dimostrato matematicamente che è impossibile definire un tale sistema quando ci sono più di due partiti o di due candidati in gioco. In pratica, quando gli elettori devono fare una scelta fra più di due alternative, qualsiasi sistema si definisca, favorisce di fatto una delle parti.

Detto questo, la mia opinione è che il problema non è tanto quello di riformare la legge elettorale, quanto di riformare lo Stato nel suo complesso. Un’eventuale ridefinizione della legge elettorale ne sarebbe conseguente, ovviamente, ma non sarebbe centrale alla soluzione.

Quando si ipotizza una riforma, a mio avviso, bisogna innanzitutto definire quali siano gli obiettivi che si intendono raggiungere. Io ne ho individuati tre.

  • «Garantire una corretta separazione fra i poteri dello Stato»
  • «Massimizzare la rappresentatività delle cariche all’interno di tali poteri»
  • «Semplificare al massimo la struttura delle istituzioni»

Come ho già scritto in passato, in un altro articolo, «La nostra è veramente una Democrazia compiuta?», la nostra non è una democrazia nel pieno significato del termine, in quanto una percentuale significativa di potere non è controllata direttamente o indirettamente dal popolo. Democrazia deriva infatti dalle parole greche dêmos, popolo, e kratos, potere, ed è quella forma di governo in cui il popolo esercita il potere direttamente o attraverso suoi rappresentanti regolarmente eletti. Sappiamo che questo è vero solo per alcune cariche e, con la recente legge elettorale, ormai neppure per quelle, dato che deputati e senatori non sono stati eletti dal popolo nelle ultime elezioni, ma dai partiti a cui il popolo ha dato il proprio voto. Insomma, con la recente legge elettorale, si è arrivati a una situazione in cui anche deputati e senatori sono oramai rappresentanti di secondo grado, non più di primo. Per un potere dello Stato, poi, ovvero quello giudiziario, non esiste neppure il concetto di rappresentatività, dato che i giudici non vengono eletti.

Esiste poi il problema della separazione dei poteri dello Stato, ovvero quello legislativo, esecutivo e giudiziario. Anche di questo ho già parlato, nell’articolo «Separiamo i Poteri dello Stato», dimostrando come non solo a livello di istituzioni, ma anche e soprattutto sul piano culturale, esista una forte confusione tra potere legislativo e potere escutivo, tanto che in una situazione come quella che si è presentata recentemente, ovvero la possibilità che ognuna delle Camere andasse a una coalizione differente, c’è chi ha parlato di ingovernabilità. In realtà, nei Paesi dove questa separazione esiste veramente, non è raro che il potere esecutivo vada a una parte e quello legislativo a un’altra, magari anche opposta, senza che questo crei alcun problema specifico per il Paese.

Veniamo dunque a un’ipotesi di riforma. Premetto che si tratta di una mia personale opinione. Ognuno potrebbe, a fronte dei suddetti obiettivi, proporre soluzioni alternative altrettanto valide. Io mi limiterò qui a esporre quale dovrebbe essere a mio avviso la struttura statale ideale per il nostro Paese, fermo restando poi che qualunque organizzazione si definisca, il suo corretto funzionamento dipenderà comunque dall’onestà, dalla buona fede e dalla competenza delle persone che saranno chiamate ad assumere posizioni di responsabilità a livello istituzionale.

Innanzi tutto ritengo che il nostro Paese abbia bisogno di un Governo forte, per cui credo che il vero cambiamento dovrebbe essere quello di passare a una Repubblica Presidenziale, ovvero a una struttura nella quale il Presidente della Repubblica è anche il Capo del Governo. In questo modo si ridurrebbe anche il numero di cariche all’interno delle istituzioni, con un conseguente risparmio per lo Stato e una semplificazione delle relazioni istituzionali.

Secondo: il Presidente della Repubblica dovrebbe essere eletto direttamente dai cittadini attraverso il meccanismo del ballottaggio nel seguente modo: nella prima fase i cittadini votano fra tre o più candidati, che si presenteranno ognuno con il proprio Programma di Governo. I due candidati che riceveranno più voti passeranno quindi alla seconda fase. Prima, però, che gli elettori facciano una scelta, ed è qui la novità, i due candidati avranno l’obbligo di definire il Governo che guiderà il Paese nel caso dovessero essere eletti, ovvero i Ministeri e i Ministri, con tanto di nome e cognome, che sceglieranno. Se eletto, il Capo del Governo avrà la possibilità di cambiare non più del 30% dei Ministri nel corso del suo mandato, pena la restituzione del mandato e il ritorno alle elezioni. In questo modo non solo il Presidente della Repubblica sarà a tutti gli effetti rappresentativo del volere della maggioranza degli elettori, ma lo saranno di fatto anche i singoli Ministri.

Terzo: deputati e senatori verranno eletti indipendentemente dall’elezioni del Capo del Governo e con regole differenti, ovvero con una legge proporzionale in cui i cittadini dovranno fornire obbligatoriamente almeno una preferenza. Inoltre la Camera e il Senato avranno ruoli e responsabilità differenti. La Camera si occuperà di legiferare, il Senato di controllare che le leggi proposte dalla Camera siano corrette dal punto di vista formale e abbiano la necessaria copertura finanziaria. Il Senato non entrerà più quindi in merito dei contenuti della legge, ma solo della sua correttezza formale, attività che oggi in parte svolge il nostro Presidente della Repubblica. Sarà dunque il Senato ad essere garante della Costituzione e non più il Presidente della Repubblica. Questo velocizzerà l’iter delle singole leggi. Inoltre la Camera sarà eletta su base nazionale, il Senato su base regionale, ovvero avrà un carattere federale.

Per quanto riguarda la Magistratura, la separazione fra magistrato inquirente e magistrato giudicante sarà ancora più netta, dato che il primo continuerà a essere scelto come avviene oggi, ovvero a fronte di un concorso statale, mentre il secondo sarà anch’esso eletto dai cittadini durante le elezioni a carattere amministrativo. In questo modo colui che giudica e che quindi deve essere super partes, rispecchierà quello che è il comune senso della Giustizia per la maggioranza dei cittadini della divisione amministrativa nella quale opererà, riducendo così quel divario che si è accentuato sempre di più negli ultimi anni fra modo di intendere la Giustizia della Magistratura e percezione della Giustizia da parte dei cittadini.

Con questa struttura sarà possibile, a mio avviso, raggiungere tutti e tre gli obiettivi prefissati. L’aver definito elezioni distinte per i tre poteri, infatti, porterà a una netta separazione delle cariche dello Stato là dove attengono al legislativo, all’esecutivo e al giudiziario, evitando quella commistione fisiologica che oggi esiste, essendo il potere esecutivo scelto in base ai risultati delle elezioni relative al potere legislativo ed essendo quello giudiziario del tutto assente a livello di scelta popolare. Tali elezioni garantiranno inoltre una vera rappresentatività in tutti e tre i poteri dello Stato, dato che i cittadini voteranno indipendentemente le cariche principali inerenti a tali poteri. Infine la nuova organizzazione, grazie a una ridefinizione dei ruoli e delle cariche, rappresenterà una semplificazione e garantirà maggiore trasparenza e chiarezza nei rapporti fra le varie istituzioni.

Questa è la Repubblica che vorrei. Ovviamente ci sarebbero ancora molti dettagli da definire, ma questa sarebbe veramente una riforma radicale dello Stato, non le proposte ridicole come eleggere direttamente un Presidente della Repubblica che da noi è poco più che una carica rappresentativa e la cui elezione diretta non tocca i giochi di potere che l’attuale partitocrazia continua a fare alle nostre spalle.

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