Povera guerra



È di questi giorni la notizia di un inasprimento del conflitto alla frontiera fra Ciad e Sudan.

Lo scorso ottobre, infatti, un numero imprecisato di militari aveva abbandonato le fila dell’esercito regolare ciadiano per aderire allo SCUS (Socle pour le changemente, l’unité nationale et la démocratie), un gruppo ribelle sorto con lo scopo dichiarato di deporre l’attuale presidente Idriss Deby.

Alcuni giorni fa, poi, il presidente ciadiano aveva espresso dure critiche nei confronti dell’esercito sudanese, accusandolo di aiutare i ribelli fornendo loro veicoli, materiale logistico e per le comunicazioni. Un’accusa molto simile era stata rivolta la settimana precedente dal Sudan al Ciad, colpevole, secondo Khartoum, di sostenere i ribelli del Darfur.

Se si pensa che Ciad e Sudan sono fra i Paesi più poveri del mondo, c’è da rimanere veramente perplessi.

Negli anni Ottanta, infatti, il Ciad era stato classificato come la nazione più povera del mondo. Ancora oggi è fra i dieci Paesi più poveri del mondo, ma più per il peggioramento della situazione economica di altri Paesi che per un effettivo miglioramento di quella del Ciad. Il clima rigido, l’isolamento geografico, l’esiguità delle risorse e la mancanza di infrastrutture concorrono infatti a creare un’economia debole e particolarmente vulnerabile ai disordini politici.

Il Sudan, invece, rispetto al Ciad può essere quasi considerato un Paese ricco, dato che, oltre ad avere un’economia agricola di buon livello, tanto da esportare cotone, gomma arabica e sorgo, dall’agosto 1999 ha iniziato anche l’esportazione di petrolio, con una capacità produttiva di 200.000 barili al giorno e una stima di circa tre miliardi di barili in riserve. Purtroppo gran parte di queste ricchezze non va alla popolazione, che quindi rimane comunque fra le più povere del mondo. In realtà, nel Sudan, il vero problema sono i diritti umani e i conflitti interni di carattere religioso.

Spesso sui giornali si leggono di accuse più o meno esplicite ai Paesi industrializzati per il fatto di sprecare molte risorse e una quantità enorme di denaro in armamenti, denaro che potrebbe aiutare a risolvere gli innumerevoli problemi che affliggono il mondo. Sudan e Ciad sembrano dimostrare come questa follia non sia in realtà esclusiva solo dei Paesi più ricchi, ma anzi interessi quelli più poveri quanto e anche di più di quelli industrializzati. Nel loro piccolo, questi Paesi, come peraltro molti altri Stati dell’Africa e dell’Asia, perseguono una politica di conflitto che violenta economie già disastrate e provoca centinaia di migliaia di morti e di rifugiati ogni anno.

Di fronte a tanta insensatezza viene da domandarsi cosa potrebbero fare questi governi se fossero veramente più ricchi. Probabilmente, invece di costruire scuole, curare e dare da mangiare alle loro popolazioni, sarebbero magari capaci solo di sviluppare una politica pro-nucleare come sta facendo l’Iran. So che può sembrare un discorso duro, perché davanti a tanta sofferenza viene voglia solo di aiutare queste popolazioni, ma se non si metterà in piedi contemporaneamente ad eventuali aiuti economici anche una strategia intesa a riportare in quei Paesi la democrazia e il rispetto dei diritti civili, se non si lavorerà anche su un cambiamento culturale che elimini le discriminazioni, attenui le faide fra clan, tribù, etnie, se non si agirà anche sul piano sociale, ogni euro donato a quei governi servirà solo a comprare nuove armi, nuove munizioni, per permettere a piccoli dittatori da quattro soldi di giocare alla guerra, di scimmiottare le grandi potenze in conflitti che avrebbero quasi del ridicolo per le dimensioni economiche in gioco, se non fosse che sono tragicamente seri per la sofferenza e le morti che finiscono per produrre.

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