Oltre la democrazia



Si dice spesso che la democrazia non sia perfetta ma resti tuttavia il miglior sistema politico possibile. Vivendo da quando sono nato in un sistema democratico, penso di poter affermare come ciò non sia del tutto vero, specialmente se consideriamo questa affermazione all’interno di un quadro realistico di quella che è di fatto la nostra società.

Il principio fondante di una democrazia è infatti che il potere è del popolo, il quale lo esercita direttamente o, più frequentemente, attraverso i suoi rappresentanti. Quando il potere non è accompagnato da senso del dovere e impegno civico, tuttavia, ovvero quando non è gestito con responsabilità a fronte di valori condivisi, diventa quasi sempre strumento di interessi particolari, il più delle volte a scapito della stessa società. Lo abbiamo visto spesso in altri sistemi politici dove questo meccanismo è quasi fisiologico, ovvero le monarchie assolute e le dittature.

Una democrazia, quindi, funziona solo quando il livello di maturità, ovvero di civiltà di una società, abbia superato una certa soglia. La nostra società, tuttavia, sebbene si sia sviluppata moltissimo sul piano tecnologico nell’ultimo millennio, non ha fatto altrettanto sul piano dei valori civili e delle relazioni sociali. Basti pensare come fino a pochi secoli fa, persino nelle nazioni più evolute, la schiavitù era ancora considerata del tutto legale e le discriminazioni nei confronti di particolari religioni, etnie o classi sociali, come ad esempio le donne, erano la norma piuttosto che l’eccezione. Non solo: tali discriminazioni esistono tuttora in molti Paesi meno sviluppati e, sebbene ufficialmente non siano più accettate in quelli più avanzati, continuano in parte a sussistere anche negli altri.


Vignetta gentilmente concessa da Quino © 2012

In pratica, il fallimento della democrazia non è fisiologico al sistema in sé, quanto al fatto che questo sistema politico richiede un livello di maturità sociale che semplicemente ancora non abbiamo. L’esempio più eclatante lo troviamo nel voto. Questo diritto rappresenta una delle colonne portanti della democrazia ed è costato la vita a molti uomini e donne che hanno lottato a lungo per ottenerlo e a farlo riconoscere a tutti i cittadini qualunque fosse la loro etnia, fede politica e religiosa o genere. Il problema è che chi questo diritto se l’è guadagnato davvero non c’è più, mentre chi oggi lo esercita non se l’è guadagnato affatto.

La superficialità con la quale la maggior parte di noi esercita il diritto al voto è semplicemente il riflesso dell’immaturità della nostra società. D’altra parte, una cosa ha valore solo quando abbiamo dovuto faticare per ottenerla. In effetti, più è stato lo sforzo per conquistarci qualcosa, più ci è costato in termini di impegno e sacrificio, più quel qualcosa ha giustamente un valore per noi e quindi ci teniamo a farne buon uso.

Quando invece qualcosa ci viene dato senza che si sia fatto alcunché per guadagnarcela, essa finisce per non avere per noi alcun valore, salvo lamentarcene se ci viene tolta. La diamo per scontata, la pretendiamo ma poi, quando l’abbiamo, la usiamo con superficialità e spesso ignavia, un po’ come un bambino viziato che, abituato a veder soddisfatto ogni suo desiderio, perde, rompe o, semplicemente, dopo un po’ si dimentica del giocattolo per cui aveva tanto insistito, lasciandolo abbandonato in un angolo per inseguire un altro capriccio.

Dobbiamo dunque abbandonare la speranza di poter vivere appieno i benefici di un sistema democratico? E verso dove dovremmo dirigerci? Con quale sistema sostituirlo, sempre che esso esista?

In realtà, proprio perché il problema non sta nel principio democratico in sé quanto nei requisiti necessari affinché esso funzioni, non è veramente necessario definire un nuovo sistema politico, quanto piuttosto stabilire alcune regole inerenti quello attuale. Nella maggior parte delle democrazie, infatti, l’accesso al potere, ovvero il diritto al voto, è incondizionato, o meglio, è legato a un elemento solo superficialmente associabile a un certo livello di maturità e responsabilità che è appunto l’età. Se un cittadino ha almeno sedici, diciotto, ventuno o venticinque anni, a seconda del Paese o dell’istituzione da eleggere, allora può votare.

Il problema è tutto lì: il voto viene dato a tutti coloro che hanno raggiunto una certa età — e questo sicuramente non è un merito — e tutti i voti hanno lo stesso valore, qualunque sia il livello di maturità conseguito. Attenzione: sto parlando di maturità, di senso civico, di responsabilità, non di cultura o istruzione. L’essere più o meno istruito è importante quando si deve prendere una decisione, e il voto è di fatto una decisione, ma non è essenziale, tanto più che ognuno di noi, per quanto esperto sia in un settore, è di fatto del tutto ignorante in moltissimi altri. Un operaio con la terza elementare può avere una conoscenza di determinati argomenti che il professionista con due lauree non ha, e sebbene molte elezioni si giocano su programmi che trattano di argomenti anche complessi, come economia e finanza, ad esempio, non si può pretendere che il voto venga dato solo a chi dovesse dimostrare competenza in tali materie.

Diverso è il discorso per il senso di responsabilità. Daremmo noi un’arma a una persona immatura e totalmente irresponsabile? Potremmo sicuramente darla a una persona che non la sappia usare, perché se è davvero responsabile non ci sarà neppure bisogno di chiederle di fare un corso per imparare a usarla. Viceversa, mettere una pistola in mano, ad esempio, a uno psicopatico, soprattutto se la dovesse davvero saper usare, sarebbe un gesto del tutto sconsiderato.

Il voto è come un’arma. Per quanto noi si sia tentati di sottovalutare il singolo voto rispetto alla massa dei voti necessari per un’elezione, ogni voto è importante. Votare vuol dire delegare quella parte di potere che la democrazia attribuisce a ciascuno di noi a una singola persona o istituzione, la quale poi la potrà usare per prendere decisioni che condizioneranno la vita di tutti noi e dei nostri figli. Votare in modo irresponsabile o immaturo porta a una classe politica irresponsabile e immatura, che è poi quello che stiamo sperimentando nel nostro Paese.

Esiste solo un modo per uscire da questa situazione ed è quello di rompere un assunto fondamentale delle democrazie moderne, ovvero che il voto debba essere dato a tutti incondizionatamente. Probabilmente, di fronte a questa affermazione molti di voi saranno inorriditi, eppure, se ci pensate bene, non è così scandalosa o improponibile, specialmente se la condizione sine qua non per votare venga stabilita essere appunto il senso civico.

Ma come si misura il senso civico di un individuo? Non si può farlo, e comunque non si può subordinare il voto all’esame di una qualche commissione perché sarebbe facile degenerare in una selezione ideologica e discriminante sulla base di pregiudizi legati a una specifica cultura o religione. Se tuttavia non è possibile misurare il senso civico che un individuo ha al momento, è possibile identificare un percorso di crescita capace di sviluppare nella maggior parte dei casi un buon livello di senso civico in un individuo: dedicare parte del proprio tempo a fare volontariato, ovvero al servizio degli altri.

Che sia di supporto alla cura di malati, disabili o anziani, in un reparto della Protezione Civile o della Croce Rossa, in una missione di pace all’estero, vuoi tra le fila dell’esercito o in un’organizzazione non governativa, dedicarsi agli altri è il miglior sistema di crescere. Si viene in contatto con realtà dure da digerire, ci si confronta con la sofferenza, si finisce per sviluppare un senso di solidarietà che ci fa crescere dentro e ci permette di diventare uomini e donne migliori. Certo, non sempre succede e non a tutti, ma chiunque abbia fatto almeno un paio d’anni in un servizio di volontariato sa che se ne esce trasformati. Garanzie assolute, poi, nessun sistema o metodo le può dare, per cui non ha neppure senso cercarle.

A questo punto avrete capito la mia proposta: a qualunque cittadino che abbia più di quattordici anni deve essere data la possibilità di effettuare una qualche forma di volontariato ed accumulare così un certo numero di ore di servizio. Non è necessario che tale servizio sia continuativo né che venga effettuato sempre con la stessa organizzazione. Ognuno di noi affronta nella vita molti impegni: lo studio, il lavoro, una famiglia da mantenere. Un ragazzo che studia e deve anche lavorare per aiutare la famiglia a mantenere una sorella disabile, ad esempio, ha già abbastanza da fare e certo non ha ore da poter dedicare ad altro. È solo una questione di tempo, tuttavia: qualcuno ci metterà due anni, qualcuno tre, altri potranno decidere di metterci di più e dare nel frattempo priorità ad altro. Nessuna preclusione od obbligo. In teoria nulla osta che uno possa metterci dieci anni ad accumulare le ore richieste per guadagnarsi il diritto al voto, ma tutti, nessuno escluso, avranno l’opportunità di riuscirci. Dovrà essere una scelta personale, se vogliamo essa stessa indice di un certo livello di consapevolezza e maturità.

Qualcuno potrà far notare che una persona con un’elevata disabilità fisica o mentale potrebbe non essere in grado di fare una qualche attività atta a guadagnarsi il diritto al voto, ma non è così. Certo, se una persona non è in grado di intendere né di volere, non potrà neppure svolgere una qualsivoglia attività, ma allora non ha neppure senso che voti. Diversamente, anche un individuo con una patologia fortemente disabilitante come ad esempio Stephen William Hawking, è perfettamente in grado, tanto per dirne una, di insegnare. In questo caso non verrebbe premiato l’impegno al servizio degli altri ma quello a non lasciarsi condizionare completamente dalla disabilità e a conquistarsi un grado seppure minimo di autonomia.

È chiaro a questo punto come vada definita una lista delle attività e delle organizzazioni certificate a rilasciare un attestato delle ore di servizio accumulate valide per guadagnarsi il diritto al voto e come vadano chiariti i criteri da applicare ai disabili o ad altri cittadini che abbiano difficoltà oggettive a svolgere tali attività. Ci saranno punti da chiarire, regole da definire, controlli da prevedere e molto altro, ma il principio resta valido: il voto bisogna guadagnarselo. I tempi e i modi saranno decisi a quel punto autonomamente da ogni singolo cittadino e anche questo sarà indicatore di quanto effettivamente ci terrà ognuno a ottenere questo diritto. Non mi stupirebbe scoprire a posteriori che una percentuale non indifferente della popolazione potrebbe decidere di rinunciarvi del tutto. Ci sono già Paesi in cui il 70% della popolazione non vota per scelta. Non c’è niente di male, finché è una scelta e non un’imposizione.

Probabilmente alla fine una gran parte dei cittadini deciderà di non impegnarsi in un’attività di volontariato e usare il tempo libero per se stessi o per i propri familiari, rinunciando alla possibilità di votare. Dato che tale rinuncia non coinvolgerà alcuno degli altri diritti e doveri stabiliti dalla Costituzione, in effetti, non ne verranno in alcun modo penalizzati. Unica eccezione, ovviamente: chi non vota non potrà neppure candidarsi per essere eletto.

In pratica tutti potranno usufruire dei benefici di una democrazia costruita tuttavia su un fondamento maturo e responsabile che garantirà un maggior senso civico sia nell’esercizio del voto che nell’attività al servizio del popolo di chi sarà eletto, senza dimenticare un’importante effetto collaterale: un maggiore sostegno a tutti coloro che ne hanno bisogno dato che il numero di individui che si dedicheranno al volontariato sarà comunque più alto di quello attuale. In pratica una democrazia davvero costruita sulla solidarietà.

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