Tokyo (Web 2.0) Underground Map



Come mi capita sempre più spesso da un po’ di tempo a questa parte, colgo l’occasione offertami da un fatto specifico per fare una serie di considerazioni di carattere generale e navigare così, di concetto in concetto, fino ad approdare a un’isola diversa. Non me ne vogliate. Quello che conta è il viaggio, non la meta.

Poco prima che metà Paese partisse per le sempre meno tradizionali vacanze estive, ovvero più o meno verso la fine di luglio, il sito giapponese Information Architects ha rilasciato l’ultima versione, la 2.0, della Web Trend Map, conosciuta anche come Tokyo (Web 2.0) Underground Map perché in qualche modo utilizza come schema base la cartina topografica della metropolitana di Tokyo.

Si tratta sostanzialmente di una rappresentazione grafica dei maggiori siti web e di come siano interconnessi l’uno con l’altro. Siti ben conosciuti anche in Italia come Google o YouTube, ad esempio, ma anche meno conosciuti da noi ma molto popolari nei Paesi di lingua inglese come Twitter o Flickr. Come si può facilmente vedere, la maggior parte dei siti riportati possono ricadere nella classificazione Web 2.0 o addirittura Web 2.5, qualunque cosa voglia dire; molti, tuttavia, sono ancora quelli classificati come Web 1.5 o addirittura Web 1.0, ossia web tradizionale. Ad ogni modo, i siti della nuova rete, quelli cioè che hanno fatto della collaborazione e cogenerazione di contenuti il loro fattore di successo, sono sempre di più e sempre più importanti. Fra questi anche operatori apparentemente tradizionali, come Amazon, che ha riconvertito il suo sistema da un sito di vendita diretta in rete di libri, CD e altri prodotti analoghi, a una vera e propria piattaforma di vendita cooperativa per librerie e persino per singoli privati.

Non è tanto sul Web 2.0, tuttavia, che vorrei attirare l’attenzione, quanto sul fatto che gli unici siti italiani presenti sulla mappa siano quello di Beppe Grillo e quello del quotidiano La Repubblica. Prima di tirare un sospiro di sollievo per questa pur minima presenza italiana, tuttavia, è opportuno fare alcune precisazioni:

  1. entrambi i siti sono presenti più che altro per l’elevata frequenza di visitatori e per il fatto di avere molti riferimenti in altri siti, soprattutto blog — la loro presenza nella mappa non è quindi legata a una profonda integrazione nella rete Web 2.0 tant’è che sono posti in una posizione periferica e sono tagliati fuori dai collegamenti con i maggiori siti del nuovo ecosistema che si sta sviluppando;
  2. il sito di Beppe Grillo, essendo un blog, è considerato Web 1.5, ma non essendo realmente un sito collaborativo non può essere davvero compreso nella rete Web 2.0 — di fatto il suo successo è dovuto sostanzialmente alla popolarità del noto comico, non alle caratteristiche del sito stesso, mentre i siti Web 2.0 veri e propri, come ad esempio Wikipedia, non sono legati a una singola figura ma al lavoro di centinaia, migliaia di singoli individui che collaborano in modo autonomo e del tutto volontario;
  3. lo stesso si può dire per il sito de «La Repubblica» che non è neanche considerato di nuova generazione, pur essendo basato su una piattaforma blog, dato che l’elemento collaborativo è sostanzialmente inesistente, mentre almeno il sito di Beppe Grillo ha quantomeno fatto da punto di raccordo per i club di fan — i cosiddetti grillini — che operano attivamente su tutto il territorio nazionale.

Di altri siti italiani neanche l’ombra. Ovviamente siti come la Wikipedia italiana, sono inclusi nel blocco Wikipedia.org e quindi sono in effetti presenti ma come parte di un’iniziativa internazionale più ampia. Tuttavia questo vale solo per Wikipedia, eBay e pochi altri: in generale si può dire che di iniziative Web 2.0 tutte Made in Italy, almeno su questa mappa, neanche l’ombra.

Eppure siti italiani Web 2.0 esistono e l’Italia è ai primissimi posti in termini di numero di blog, ovvero fra le prime 10 lingue al mondo, sebbene il divario fra i siti inglesi e cinesi da una parte e quelli di tutte le altre lingue dall’altra, è tuttora notevole. E allora?

La prima cosa da dire è che questa è solo una visione parziale, ovvero si tratta del lavoro fatto da un certo numero di persone in Giappone, non certo di una Bibbia ispirata dallo Spirito Santo, per cui va presa con pinze e contropinze. La seconda cosa da dire è che si tratta comunque di un punto di vista condiviso da gran parte della rete, ovvero quella che parla inglese, che sia nativo o come seconda lingua poco importa, e che ormai ignora del tutto la presenza, peraltro limitata, di altre lingue e culture. Attenzione, vorrei che fosse chiaro: questi sono fatti, non sto facendo considerazioni di carattere etico, non sto cioè dicendo che la scarsa attenzione del mondo nei confronti della nostra ma anche di altre culture sia colpa nostra — non lo sto dicendo ancora, almeno — o di chi invece ci ignora. Ma che siamo ignorati è un fatto. Non è necessaria la rete per capirlo, ma il web riesce a darne un’evidenza immediata. Chi è abituato a viaggiare sa benissimo quanto spazio venga dedicato sui giornali stranieri al nostro Paese. Per anni ho potuto verificare come, mentre in Italia si scatenavano polemiche di ogni genere che sembravano assolutamente vitali non solo per noi, ma per il mondo intero, quello stesso mondo si occupava di tutt’altre cose lasciano i nostri politici e opinionisti a sbraitare in un totale isolamento mediatico. Un piccolo microcosmo chiuso in se stesso e che vive solo di sé anche quando parla degli altri.

La rete evidenzia solo meglio tutto ciò, ma il problema non è sicuramente di recente data. Parliamo di cinema: è un po’ di tempo che quello italiano non riceve riconoscimenti significativi a livello internazionale, neanche in casa, come dimostra la recente Mostra del Cinema di Venezia dove ormai riusciamo a tener la testa fuori dall’acqua solo grazie a qualche riconoscimento alla carriera come quello al regista Bertolucci. Il fatto è che anche il nostro cinema subisce quelli che sono i maggiori limiti della nostra cultura: clientelismo, campanilismo, provincialismo, una certa boria intellettuale, analfabetismo scientifico, incapacità a rischiare e a vedere oltre, di essere visionari nell’accezione anglosassone del termine.

Clientelismo, ovvero non va avanti chi merita ma chi ha gli agganci giusti. Esiste in tutto il mondo, addirittura in modo istituzionalizzato attraverso il meccanismo delle lobby, ma da noi è talmente pervasivo da fare da barriera d’ingresso a chi comunque valga. E questo alla lunga si paga. All’interno dei nostri confini potrà anche funzionare, ma non è certo con le raccomandazioni, i club, le logge, che si acquisisce e si sostiene la competitività nei confronti del resto del mondo. Vale per il cinema come per l’imprenditoria, per la politica come per lo sport: se si è troppo protetti, se non si deve dimostrare il proprio valore perché tanto si hanno le spalle coperte, quando poi è necessario non si sa competere con gli altri. Anche questo è un fatto.

Campanilismo: non sappiamo fare squadra, siamo individualisti ai limiti dell’anarchismo e dell’egoismo, ci leghiamo solo a chi la pensa come noi in modo totalmente acritico e solo per ragioni opportunistiche, mentre ci opponiamo a chi non la pensa come noi in modo fortemente pregiudiziale e aprioristico. Non esiste confronto, non ci sono avversari: solo scontro e nemici da attaccare in ogni modo possibile, incluso e soprattutto quello sul piano personale. Siamo talmente frazionati in fazioni, partitini, sette e associazioni di ogni tipo, che quando dobbiamo confrontarci con i grandi movimenti economici, politici, culturali e artistici che caratterizzano il resto del mondo, semplicemente scompariamo. La nostra voce non ha alcun peso, le nostre opinioni alcuna rilevanza. Ci parliamo addosso e non ci accorgiamo che nessuno, al di fuori dei nostri confini, ci sente. Tre italiani, quattro opinioni, quattro partiti e, ovviamente, quattro poltrone.

Provincialismo: siamo quelli che all’estero si lamentano di non trovare la pastasciutta e che il caffé fa schifo. E allora? Anche fosse? Popolo di poeti, di navigatori, di eroi e quant’altro… Ognuno ha la sua versione. Ma le cose stanno in modo molto differente. Se andiamo a vedere i riconoscimenti internazionali dati a italiani nel campo scientifico, letterario, artistico e giornalistico negli ultimi decenni, lo scenario è disarmante. Pochi, pochissimi rispetto ad altri Paesi, e non parlo solo degli Stati Uniti. E quei pochi spesso ottenuti lavorando all’estero o in realtà internazionali tanto che, in alcuni casi, certi personaggi da noi non sono neanche considerati fino a che non arriva il riconoscimento in questione. Scopriamo cioè i nostri poeti, navigatori ed eroi solo perché ce lo dicono gli altri. Quelli che da noi sono su tutte le copertine dei giornali, viceversa, all’estero sono nessuno, assolutamente nessuno. Se va bene, al di fuori dell’Italia sono conosciuti alcuni calciatori, un paio di politici e forse un intellettuale o due. Per lo più confondono i nomi o mescolano il presente con il passato — quando si parla di calciatori si parla ancora di Paolo Rossi, di cantanti, Domenico Modugno — il tutto condito con i soliti luoghi comuni: pizza, spaghetti, mafia e canzonette, se va bene, l’opera lirica. Un po’ poco, direi. Politica estera? Ricerca scientifica? Giornalismo? Letteratura? Ormai ci hanno sorpassato pure quei Paesi che fino all’altroieri erano terzo Mondo e che, grazie all’aver adottato l’inglese come seconda lingua o addirittura lingua madre, stanno conquistando un passo alla volta l’attenzione del pianeta. Noi stiamo ancora a bisticciare sul Ponte sullo Stretto di Messina mentre nel mondo le opere architettoniche più imponenti e di spessore si costruiscono in Malesia, Cina, Taiwan, Dubai. Danesi e svedesi hanno unito i loro Paesi con un’opera spettacolare lunga ben 40 chilometri: il ponte di Oresund. La Finlandia, un Paese estremamente attento all’ambiente, ha potenziato il suo programma di sviluppo del nucleare e ha consolidato la sua posizione di leader nel campo della telefonia mobile. Gli svizzeri stanno costruendo due fra le più lunghe gallerie del mondo, il cosiddetto Megatraforo del San Gottardo: due gallerie di 57 chilometri, separate per i due sensi di marcia, progettate per l’alta velocità e cioè per treni che potranno viaggiare fino a 250 chilometri all’ora. E noi qui a discutere TAV sì TAV no… Il mondo avanza, noi no.

Vogliamo fare un esempio pratico? Prendiamo i premi Nobel. Dal 1906 ad oggi solo quattordici italiani sono stati insigniti del prestigioso riconoscimento: cinque per la letteratura (Carducci, Pirandello, Quasimodo, Montale, Fo), quattro per la fisica (Fermi, Segrè, Rubbia, Giacconi), due per la medicina (Dulbecco, Levi Montalcini), uno rispettivamente per la chimica (Natta), l’economia (Modigliani) e la pace (Moneta). Siamo all’ottavo posto in classifica. Non male? Forse, ma guardiamo i primi: a parte gli Stati Uniti che ne hanno ben 270, in Europa ci troviamo a confrontarci con i 100 del Regno Unito, i 77 della Germania, i 49 della Francia e persino i 30 della Svezia e i 22 della Svizzera. È vero: anche questo non è un riferimento assoluto, del tutto scevro da parzialità e da una visione troppo occidentale e angolofila della cultura, ma resta un fatto: il mondo sta andando in una direzione e noi siamo rimasti a terra. Non ci muoviamo neppure e se lo facciamo nessuno se ne accorge. Non è tutta nostra la responsabilità? Siamo vittime di pregiudizi, di una cultura dominante che ci sta emarginando? Può essere, ma il problema è comunque nostro, sta a noi cambiare le cose e perché questo avvenga prima ancora della volontà serve la consapevolezza. Non ci si cura se non si sa di essere malati e continuare a ignorare il problema vuol dire non risolverlo mai, almeno fino a quando non potremo più far finta di nulla: allora sarà troppo tardi, però.

Boria intellettuale: se non è impegnato sul piano sociale e magari anche su quello politico, non conta, non vale. Cosa? Tutto! Libri, pellicole, articoli, spettacoli televisivi. Il concetto di intrattenimento puro di qualità da noi non esiste. Si passa dalla Corazzata Potemkin alle Vacanze di Natale, dall’impegno più rigoroso e possibilmente ideologico al demenziale puro. In mezzo, il nulla. Da noi uno Spielberg, capace di dirigere film come E.T. l’extra-terrestre, I predatori dell’Arca perduta, Hook – Capitan Uncino e Jurassic Park , ma anche Il colore viola, Schindler’s List, Salvate il soldato Ryan e Munich, non avrebbe avuto alcuna possibilità. I nostri grandi registi storcerebbero il naso al solo pensiero di portare sullo schermo un romanzo di fantasy o una sceneggiatura di fantascienza, e se da un lato questi generi, ad esempio, sono letterature di serie B in Italia, dall’altro un qualunque film o un libro di qualsivoglia genere non potrà mai vincere alcun premio se non ha un profondo carattere di impegno sociale e soprattutto se non è sponsorizzato dalla fazione politica giusta. Se si vuole avere successo bisogna rientrare in una serie di stereotipi che vivono e si alimentano all’interno di club ristretti di intellettuali e di una intelligentia che si ritiene unica depositaria dei valori culturali e artistici del nostro Paese. In quanto ai premi letterari o musicali, è tutta una facciata. Sono come molti concorsi ministeriali: fatti per far vincere questo o quello. Chi oggi è giudice, domani sarà partecipante, e ci si premia a vicenda in un’apoteosi di autocompiacimento culturale. La qualità, lo stile, l’originalità sono solo orpelli inutili. Il merito una colpa.

Analfabetismo scientifico, o della Sindrome di Frankenstein. Un popolo dopato dai gadget tecnologici che vede nella Scienza un potere occulto che va tenuto sotto controllo a causa del "suo continuo complottare contro l’uomo comune". OGM, energia nucleare, biotecnologie… Vogliamo mettere con l’omeopatia o il creazionismo? Un misto di religione e demagogia, condito da una buona dose di ignoranza… e poi ci si domanda perché i nostri cervelli scappano all’estero? Ma è semplice: proprio perché loro un cervello ce l’hanno! Non è una questione di soldi o di potere: ma come si fa a rimanere in un Paese in cui tutto quello che si fa, o meglio, quel poco che ti permettono di fare, viene visto con sospetto e ostracizzato. Perché qualcuno dovrebbe spendere le notti per aiutare chi non fa altro che svilire il suo lavoro in un Paese in cui non c’è rivista che non abbia una sezione dedicata all’astrologia e maghi e stregoni riempono le pagine dei quotidiani di pubblicità spillando sistematicamente e impunemente soldi a persone di ogni ceto ed età? Per non parlare delle aziende, solo una minima parte delle quali investe in ricerca e sviluppo. Siamo nella preistoria, poveri selvaggi che si fanno spaventare dai fulmini e da quello che non conoscono e non capiscono. I selvaggi, tuttavia, almeno cercavano di imparare. Noi invece ci riteniamo civilizzati perché abbiamo in tasca l’ultimo modello di videofonino con cui seguire tutta la serie A, B, fino alla Z e ritorno.

Incapacità di rischiare. Da noi tutto deve essere garantito: il lavoro, la casa, la tv al plasma… Ci si preoccupa di salvaguardare il fannullone e il disonesto ignorando volutamente che così facendo chi è in gamba ed è onesto si trova tagliato fuori e penalizzato. D’altra parte perché rischiare? In un Paese in cui i furbi fanno carriera e gli imbroglioni hanno la faccia tosta di ammettere i loro imbrogli e si arrabbiano pure se qualcuno li critica, specie se di mestiere fanno i politici; in un Paese dove essere indagato per un reato può farti diventare un divo e persino guadagnare una barca di soldi vendendo interviste esclusive e partecipando a eventi organizzati; dove la giustizia non esiste e si può andare in galera sulla semplice base di testimonianze, senza neanche uno straccio di riscontri oggettivi, ma dove i criminali escono di galera perché queste sono troppo piene e i truffatori che si possono permettere studi legali costosi se la cavano grazie a cavilli di ogni tipo; in un Paese in cui le denunce di reati da parte dei cittadini vengono ormai regolarmente ignorate e archiviate; in un Paese di scandali scontati e sentenze comprate a tutti i livelli, dagli stadi alle aule dei tribunali; in questo Paese, perché rischiare? Meglio trovarsi uno sponsor di tutto rispetto e mostrare al mondo come quelli di Riace, al confronto di certi personaggi, non possono neppure essere chiamati bronzi!

Visionario? Da noi vuol dire pazzo, o quantomeno un po’ toccato. Avete avuto una buona idea? Provate a farvela finanziare. Da noi le banche d’affari che trovano finanziatori a chi ha in testa un progetto valido ma non ha i soldi per realizzarlo praticamente non esistono. Che poi di soldi se ne diano tanti a gente che ha già dietro alle spalle diversi fallimenti e magari anche qualche bancarotta, è un’altro discorso. Tanti debiti, tanto onore. Non era così? Beh, da noi è proprio così. E la cosa peggiore è che spesso a pagare i debiti di certa gente sono gli altri, quelli onesti, quelli che che se appena stranutiscono li ficcano in galera senza tanti complimenti. In fondo se un Valentino Rossi o un Pavarotti sono degli eroi, come li ha definiti qualcuno, che importanza ha se hanno evaso il fisco per somme tali che non basterebbe a nessuno di noi una vita intera per guadagnarne una minima parte? Ma qualcuno si scandalizza? No di certo. Perché mai? Anzi, tutti pronti lì a osannarli. L’importante è essere un grande calciatore, un grande artista, un presentatore o un cantante di successo, male che vada uno che è stato sull’Isola dei Famosi o ha partecipato al Grande Fratello. O naturalmente, inutile dirlo, un politico. Che come individuo poi sia un pezzo di m…, che come uomo o donna, marito o moglie, genitore o figlio, sia un vero fallimento, cosa conta? Tutto gossip, per la felicità dei clienti di barbieri e parrucchieri. Com’era quell’altra perla di saggezza? Parlate pure male di me purché se ne parli? Beh, per fortuna che esistono i giornalisti. Come farebbe questo baraccone a sostenersi, se no?

Siamo partiti da lontano e lontano siamo arrivati. In realtà potremmo navigare ancora a lungo, ma meglio riposarci un po’, e per farlo chiudiamo il cerchio: la lingua italiana. Prima o poi sparirà. Ci vorranno cinquanta, forse cento anni. Non credo molto di più. D’altra parte chi parla più, non dico, assiro o fenicio, ma persino molti dialetti e lingue minori? In Svizzera i dialetti sono praticamente tutti scomparsi e da noi sempre meno individui parlano ancora il dialetto locale. Presto rimarrà solo l’accento, la cadenza, la parlata, non di più. Nel mondo ogni anno spariscono decine di lingue, lingue come il Votico, ad esempio, parlato ormai da non più di dieci persone. E un peccato? Certamente lo è, ma è sempre successo. Ci sono state lingue di cui noi non conosciamo neppure l’esistenza semplicemente perché erano solo parlate e non scritte, ormai perse nella notte dei tempi. L’umanità è andata avanti e andrà comunque avanti senza l’italiano. Vorrei che fosse chiaro: io amo l’italiano, è una bellissima lingua e vorrei sopravvivesse, ma non succederà. Mettiamoci l’anima in pace. Il mondo si raggrupperà intorno a pochi idiomi: l’inglese, lo spagnolo, il cinese, l’arabo, o più probabilmente un’evoluzione di queste lingue, un miscuglio di termini nei quali continueranno a sopravvivere l’italiano, il danese, il polacco, lo swahili e l’inuit. Forse. Le ex-potenze coloniali e quegli Stati che riuscirono a spargere nel mondo il seme del loro idioma, come il francese o l’olandese, forse resisteranno un po’ più a lungo, ma fra due o tre secoli cadranno anche loro nel dimenticatoio. Uno scenario drammatico? Può essere, ma il vero dramma non è lo scomparire delle sole lingue, ma delle culture. E torniamo al punto di partenza. Forse un giorno tutti i blog italiani saranno scritti in inglese, ma quello che conta è che mantengano i valori e i principi in cui crediamo, al di là dei limiti e dei nostri difetti dei quali abbiamo già parlato abbondantemente, e qualcuno forse me lo sono pure dimenticato. Perché comunque un nostro contributo lo abbiamo dato e possiamo continuare a darlo. E allora forse, nel 2010, alla mappa della metropolitana di Tokyo potremo aggiungere quella di Roma e di Milano, nella speranza che nel frattempo abbiano aggiunto a quelle vere un paio di linee in più. In fondo il mondo non è solo quello virtuale.

Commenti (4) a «Tokyo (Web 2.0) Underground Map»

  1. mc2033 ha detto:

    Segnalo, per quanto riguarda il discorso sulla ricerca, che nella notte tra il 28 e il 29 settembre per il secondo anno consecutivo si svolgerà anche in Italia la “Notte europea della ricerca 2007” (Researchers’ Night 2007) che coinvolgerà contemporaneamente 40 siti europei.

    Durante la “Notte europea della ricerca 2007″ si prevedono laboratori aperti con percorsi scientifici guidati, dibattiti e conferenze, osservazioni stellari, proiezioni cinematografiche, teatro di ricerca ed eventi musicali. A questi si aggiungerà anche un viaggio nella tradizione eno-gastronomica regionale e una serie di attività ludiche per i bambini.

    In Italia ci saranno eventi nel Lazio, in Campania, in Piemonte e in Puglia.

    La fonte di questa mia segnalazione è: il blog di Archivio Nucleare.

    Maggiori informazioni sul sito ufficiale della manifestazione.

  2. Dario de Judicibus ha detto:

    Ti ringrazio per la segnalazione. Per inciso, durante l’evento in questione, ci sarà una tavola rotonda sul tema della gestione della conoscenza che si terrà sull’isola dell’IBM Italia in Second Life e di cui sono moderatore e, assieme a due professori universitari, relatore. Nei prossimi giorni pubblicherò qui l’annuncio.

  3. bin ha detto:

    Ma chi lavora come fa a leggersi tutto questo ben di dio?

    ora ti metto tra i preferiti rimandandoti a quando farò una pausa che in verità sto già facendo!

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