L’origine della vita



Spesso mi sento chiedere: ma come è possibile che da un insieme di molecole organiche e inorganiche a un certo punto si sia sviluppata la vita? Come può tutto ciò non essere ascritto all’intervento di un qualche ente superiore, a un dio creatore? In effetti quando osserviamo un gatto e un pezzo di roccia, risulta alquanto difficile pensare come alla fine essi siano fatti entrambi di atomi e molecole, seppure combinati in modi differenti. Lo stesso se osserviamo un fiore o un cristallo di quarzo. Certo, un essere vivente è immensamente più complesso di un cristallo; le molecole organiche del quale è composto sono infatti spesso molto complicate e in genere hanno la capacità di compiere operazioni molto articolate. Basti pensare agli enzimi o a come determinate proteine attivino o disattivino specifici geni nel nostro DNA.

Il punto è, come è avvenuto questo passaggio? Possibile che sia potuto accadere senza un intervento esterno?

Ho ragionato molto su questa domanda e alla fine mi sono reso conto che essa ha un difetto di fondo, ovvero assume che nel passare da un insieme di molecole non vivente a un essere vivente ci debba essere stato un cambiamento essenziale, significativo, determinante. Questa assunzione nasce dal fatto che quando pensiamo a un sistema non vivente ci vengono in mente pietre, oggetti, strutture comunque relativamente semplici o scomponibili in sottostrutture semplici, mentre una delle caratteristiche essenziali della vita sta nella difficoltà a considerare vivo un sottosistema di un essere vivente.

Non basta infatti che un essere vivente sia composto da materia organica per essere tale: quando pensiamo alla vita ci riferiamo quasi sempre a un sistema complesso non scomponibile in parti che potrebbero esistere autonomamente. Un braccio, un fegato, un pezzo di pelle, non vivono particolarmente a lungo staccati dall’organismo principale, anche se in effetti esistono casi, come le planarie o le idre, dove un pezzo di organismo può dar luogo a un nuovo organismo intero. Ma qui il punto non è cosa sia la vita, ma come la percepiamo, ovvero il fatto che le diamo una valenza diversa rispetto alla materia inorganica e quindi che abbiamo difficoltà a concepire come si possa passare dall’una all’altra.

Analogamente, è pur vero che esistono agglomerati di esseri viventi che possono essere separati, come ad esempio i film batterici, le colonie di coralli, alcune meduse e i sistemi simbiotici come i licheni, ma anche in questi casi al più possiamo effettuare una singola scomposizione e ritrovarci comunque con esemplari di quella che chiamiamo vita, precedentemente aggregati per convenienza o semplice sopravvivenza.

Ma allora, perché la domanda è sbagliata o meglio, ha in sé la ragione per cui sembra tanto difficile darle una risposta? Per dimostrarlo, per quanto possa sembrare assurdo, non abbiamo in realtà bisogno di definire cosa sia la vita e in effetti non lo faremo, anche se utilizzeremo una meta-definizione.

L’esperimento delle palline

Possiamo infatti affermare che un essere si dice vivente quando presenta determinate caratteristiche. Ai fini di questo articolo, tuttavia, non è importante quali esse siano ma semplicemente che siano definibili e che siano limitate nel numero. Diciamo allora che un sistema è vivo se ha N caratteristiche e chiamiamo queste caratteristiche con i simboli V1, V2, V3, … VN. Immaginiamo ora un pianeta in cui gli elementi si leghino fra loro a formare molecole sempre più complesse, di ogni possibile composizione e forma. Queste molecole a loro volta si legheranno a formare strutture di vario tipo che interagiranno con l’ambiente esterno in vari modi. Preso uno qualunque di questi sistemi potremmo dire che ha determinate caratteristiche che chiameremo S1, S2, S3, … SM, con M che è estremamente variabile struttura per struttura.

A questo punto, avendo sufficiente tempo e un numero abbastanza grande di strutture, possiamo pensare che alcune di esse possano iniziare ad avere alcune delle caratteristiche che noi associamo alla vita, ad esempio V3 o V7. All’inizio alcune di queste caratteristiche compariranno in modo isolato, ma con il passare del tempo e il complicarsi delle strutture avremo sistemi che presenteranno due o più di queste caratteristiche, finché arriverà un punto che comparirà una struttura che le avrà tutte meno una, diciamo VN, tanto è ininfluente il numero. A questo punto cosa succederà quando anche l’ultimo tassello sarà andato al suo posto? Avremo la vita ovviamente, ma potremo affermare che si sia trattato di un evento più significativo del posizionamento dei tasselli precedenti?

Un’evoluzione di questo tipo è abbastanza semplice da dimostrare e non c’è bisogno di un supercalcolatore per farlo ma bastano delle palline colorate. Supponiamo, per semplicità, che N sia 10. Non cambierebbe nulla se fosse 20, 100 o 1.000, se non che ci vorrebbe più tempo per fare l’esperimento. Si prendono quindi un centinaio di palline bianche e si iniziano a numerare da 1 a 10, in modo da avere dieci palline con il numero 1, dieci con il numero 2 e così via. Quindi si mettono in una cassa. Poi si versano nella cassa qualche migliaio di palline di diversi colori. Diciamo cento rosse, duecento blu, cinquecento gialle e via dicendo. Queste non avremo bisogno di numerarle.

Fatto questo, mescoliamo bene e iniziamo a prendere dalla cassa gruppi di tre palline. Potremmo prendere gruppi di un numero variabile di palline o iniziare con due alla volta o con cinque: anche in questo caso non cambierebbe nulla se non il tempo necessario per fare l’esperimento. Prendiamo queste tre palline e uniamole. Ad esempio, se le palline fossero forate potremmo legarle insieme, o le potremmo mettere in dei sacchettini che poi metteremmo in una seconda cassa. Alla fine di questa prima fase abbiamo una cassa piena di triplette di palline. Alcune di queste triplette potrebbero avere una, due o addirittura ben tre palline bianche al loro interno. Ovviamente nessuna di queste triplette avrebbe 10 palline bianche ognuna con un numero diverso.

Ma andiamo avanti. Mescoliamo le triplette nella cassa e peschiamone tre, uniamole e mettiamole nella cassa precedente che avevamo svuotato pescando le singole palline. Il risultato sarà una cassa di nonetti, ovvero di gruppi di nove palline. Anche in questo caso sarà ben difficile che tutte le palline di un nonetto siano bianche e abbiano tutti i numeri diversi, ma in fondo abbiamo fatto solo due passaggi. Credo ormai vi sia evidente come procedere. Continuando a creare strutture sempre più complesse, ovvero gruppi di 27 palline, poi di 81 e così via, prima o poi — è solo una questione di tempo — inizieremo a trovare raggruppamenti con dieci palline bianche o più. Ovviamente molte palline bianche saranno duplicate, ma è alquanto semplice dimostrare come a un certo punto estrarremo un gruppo che conterrà almeno dieci palline bianche con sopra i primi dieci numeri naturali. Basta infatti pensare che per quanto si possa essere sfortunati nella pesca, prima o poi, con questo meccanismo, creeremmo una struttura che conterrebbe tutte le palline originali della scatola e quindi, per come era stata inizialmente riempita, tutti e dieci i gruppi da dieci di palline bianche.

Dalla non-vita alla vita

Il nostro pianeta ha avuto ben più che qualche migliaio di palline con cui giocare e centinaia di milioni di anni per farlo. Qualunque sia l’insieme di caratteristiche che noi associamo alla vita, è stata solo una questione di tempo affinché strutture sempre più complesse arrivassero a presentarle. Immaginatevi il momento: sul pianeta ci sono ora milioni di strutture molecolari complesse, ognuna con una, due, fino ad N-1 caratteristiche tra quelle che noi associamo alla vita. Dunque nessuna di queste strutture può essere chiamata vivente, ma ecco che un’ulteriore combinazione porta a formarsi una struttura che ha anche la caratteristica VN, l’ultima rimasta. In effetti questo evento deve essere successo molte volte e la caratteristica mancante non è detto sia sempre stata la stessa. Inoltre la vita così formatasi probabilmente si è estinta altrettante volte o non è riuscita ad attecchire, ma il pianeta ha continuato il suo rimescolamento chimico, insensibile ai fallimenti, imperturbabile nel suo divenire.

Così, il passaggio dalla non-vita alla vita non ha più quel fascino di mistero che certo lo rende molto allettante alle nostre menti, ma è semplicemente l’ultimo passaggio di una serie di combinazioni che si sono ripetute per milioni di anni. Per noi quel passaggio è fondamentale, ovviamente, perché sennò non saremmo qui a discuterne, ma possiamo dire che in una catena è l’ultimo anello agganciato il più importante, o piuttosto è l’insieme degli anelli a formare la catena? A questo punto è evidente come sia irrilevante al fine di questa discussione di quali o quante siano le caratteristiche che definiscono per noi la vita. Qualunque insieme si dovesse scegliere, il passaggio da un sistema non-vivo a uno vivo è solo una questione di convenzioni. Non ha niente di epocale in sé, più di quanto lo sia mettere l’ultima tegola del tetto sulla cima di una casa per poter affermare che sì, adesso quella è una casa.

Alcuni miliardi di anni fa sul nostro pianeta si è formata la vita ed era molto diversa da quella che esiste oggi sulla Terra. Venne spazzata completamente via per ricomparire in un’altra forma. Successive estinzioni hanno rimodellato la biosfera del nostro pianeta e probabilmente succederà ancora. In qualunque modo noi si definisca la vita, essa ha la stessa origine della materia inorganica, ovvero tutto è nato dalle stelle, che hanno prodotto gli elementi fino al ferro, e dalle supernove, che hanno creato quelli più pesanti, essenziali agli esseri viventi più complessi. Lo stesso probabilmente è successo e sta succedendo tuttora in moltissimi altri sistemi stellari ed esopianeti. La vita è probabilmente molto più comune di quanto pensassimo un tempo ed è solo l’ultimo stadio di un processo iniziato quasi 14 miliardi di anni fa e che durerà per moltissimi miliardi ancora.

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