Ipocrisia o pudore?



Il britannico Martin J. Evans e gli americani Olivier Smithies e Mario Renato Capecchi, quest’ultimo di origini italiane, hanno ricevuto oggi il Nobel per la Medicina per una serie di «scoperte pionieristiche riguardanti il sistema embrionale delle cellule staminali e la ricombinazione del DNA nei mammiferi».

Così hanno riportato la notizia alcuni dei maggiori quotidiani italiani in Rete. A destra della notizia ho stilato in ordine di pubblicazione la lista dei titoli riportati da quegli stessi quotidiani prima di quella del Nobel per la Medicina, ovvero considerati più importanti dell’assegnazione del prestigioso premio. Più sotto, alcune mie considerazioni.

Corriere della Sera

È italiano il Nobel per la medicina

19:27 CRONACHE Vince, insieme ad altri due studiosi, Mario Capecchi, 70enne nato a Verona ma emigrato giovanissimo negli Usa. «Un onore». Premiata la sua ricerca sulle cellule staminali.

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La Repubblica

Medicina, Nobel all’italo-Usa Capecchi per lo studio sulle cellule staminali

Il riconoscimento anche all’americano Smithies e all’inglese Evans. Lo scienziato è nato a Verona nel 1937, dall’eta di 9 anni negli Stati Uniti. Premiati per la ricerca sulle cellule embrionali.

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La Stampa

Italiano premiato: Medicina, il Nobel a Capecchi

Premiato per le ricerche sulle cellule con i colleghi Smithies e Evans. È diventato famoso per il lavoro di sviluppo del «gene targeting».

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Il Giornale

Nobel della medicina all’italiano Capecchi

ore 19:15 Lo scienziato italiano premiato insieme ai colleghi Evans e Smithies per gli studi sulla genetica. Nato a Verona, si è trasferito a 7 anni negli Usa. Si è laureato ad Harvard con il padre del Dna Watson.

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Il Sole 24 Ore

Cellule staminali: Nobel per la medicina all’italo-americano Mario Capecchi

L’americano di origine italiana Mario R. Capecchi è tra i tre vincitori del premio Nobel per la medicina 2007. Insieme a Capecchi, il britannico Martin J.Evans e l’americano Olivier Smithies.

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La prima cosa che salta agli occhi è la scarsa attenzione che tutti i quotidiani hanno dato alla notizia in questione. Passi porla dopo le notizie che arrivano dalla Birmania e persino dopo quelle più nostrane che riguardano l’Alitalia, ma il Corriere arriva addirittura a porla dopo la notizia dell’espulsione dal Clero del parroco-fidanzato di Monterosso, come lo chiama il quotidiano. Per la Repubblica il regista Ettore Scola che all’uscita del liceo Tasso di Roma fa propaganda alla lista «Sinistra per Veltroni» per le primarie del PD viene assolutamente prima.

La Stampa considera solo sei titoli più importanti del Nobel a Capecchi, ma in compenso riesce a dare la notizia senza nominare mai la parola «staminali» parlando genericamente di «ricerche sulle cellule» mentre nell’articolo vero e proprio parla di cellule embrionali. Anche il Giornale parla genericamente di studi sulla genetica, pur posizionando solo quattro titoli prima di quello in questione. Per il Sole 24 Ore, infine, la notizia non è degna neppure di un titolo principale, ma viene relegata a latere sullo stesso piano del calcio e del Caso Dida.

Già questo dovrebbe far riflettere. Ma quello che più lascia perplessi è l’enfasi data al fatto che Capecchi sia italiano, nonostante abbia sempre vissuto, studiato e lavorato negli Stati Uniti fin dalla tenera età di nove anni. Sembra quasi che una parte del merito per il Nobel allo studioso in questione sia del nostro Paese e che, come italiani, si debba essere orgogliosi che un premio tanto prestigioso sia stato dato a un italiano.

Sinceramente trovo che tutto ciò sia l’apoteosi dell’ipocrisia. Certo, Capecchi è nato a Verona, ma il nostro Paese con questo Nobel non ha proprio nulla a che vedere, e non solo perché l’Italia non ha mai investito seriamente nella ricerca scientifica, ma perché addirittura la ostacola in tutti i modi possibili. Se fosse rimasto in Italia non solo Capecchi, peraltro sconosciuto ai più da noi, non avrebbe mai preso il Nobel, ma non avrebbe neanche potuto iniziare quelle ricerche che l’hanno portato a un tale traguardo. Da noi quelle ricerche sarebbero state ostacolate, come vengono ostacolate quelle sugli OGM o come viene osteggiato il nucleare. Schiacciati fra un mondo accademico isolato dal resto della società e governato dai baroni e una società impregnata di analfabetismo scientifico e ostile a priori a tutto ciò che è Scienza, pur drogata di gadget tecnologici fino al delirio, le nostre giovani promesse della Scienza hanno una sola scelta: andarsene. E quando te ne vai, quando sei costretto ad andartene, non per i soldi, non per la gloria, ma perché nel tuo Paese ciò che fai viene visto con sospetto e sei messo all’indice ogni giorno quale novello Dr. Frankenstein, allora è il Paese che ti accoglie la tua nuova casa, è chi ti dà un’opportunità e riconosce i tuoi meriti la tua nuova famiglia. Per questo Capecchi è americano, come furono americani Albert Einstein e Wernher von Braun (Germania), Enrico Fermi (Italia), Alexander Graham Bell (Scozia), Nikola Tesla (Croazia), Albert B. Sabin (Russia), C. Neils Bohr (Danimarca) e molti altri ancora, solo per nominarne alcuni fra i più famosi. E sono quindi gli statunitensi a dover essere orgogliosi del fatto che altri due americani, Smithies e Capecchi, si sono meritati il Nobel, non noi.

Nel 2000 la percentuale di scienziati e ingegneri che hanno conseguito un Ph.D. negli Stati Uniti ma che sono nati in altri Paesi è arrivato al 37%, al 45% se si considerano solo i fisici e a oltre il 50% se si prendono in considerazione i soli ingegneri. Gli USA hanno dato a questi uomini e donne un’opportunità che era stata loro negata nei Paesi d’origine e questo ha fatto degli Stati Uniti la loro nuova patria perché, non dimentichiamolo, questo è vero per quasi tutti i cittdini americani, esclusi quelli che discendono direttamente dai nativi d’America, i cosiddetti indiani. Tutto gli altri vengono dall’Europa, dall’Asia, dall’Africa, dal Sudamerica, dall’America Centrale, dall’Oceania.

Ma forse è per questo che i media nostrani non hanno dato poi alla notizia quella evidenza che meritava. Forse, sotto sotto, magari inconsciamente, lo sanno che noi con tutto questo non c’entriamo nulla e che i successi dei nostri ex-connazionali sono soprattutto merito loro e del Paese che li ha accolti. Forse, sotto sotto, un po’ di pudore è rimasto.

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Commenti (1) a «Ipocrisia o pudore?»

  1. utente anonimo ha detto:

    perché non hai citato i vari TG, se no era peggio…

    Ax

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