Homo scriptoris



Lo ammetto. Ebbene sì: sono uno scrittore. Non uno di quelli famosi, intendiamoci, né di quelli che si possono permettere il lusso di farlo a tempo pieno piuttosto che negli spiragli di tempo, ma neanche uno di quelli che si sono dovuti pubblicare i propri libri da soli o che hanno finito per regalarli in rete in forma elettronica. Sono un esponente di quella anonima massa di scrittori che di giorno lavora, di notte scrive e qualche libro è riuscito a pubblicarlo, anche se con quelli che sono chiamati «piccoli editori», ovvero quelli che tirano qualche migliaio di copie e non hanno soldi o risorse per promuovere la tua opera ma che almeno ti danno un’opportunità… e dobbiamo solo ringraziare che ci siano.

In Italia più del 60% della popolazione legge meno di un libro all’anno e solo l’8% legge quasi un libro al mese. Tuttavia la maggior parte dei libri distribuiti sono editi dai grandi gruppi editoriali, gruppi che pubblicano sotto diversi marchi ma che hanno monopolizzato non solo la produzione ma anche la distribuzione.

Se scrivi per Mondadori, Rizzoli o uno dei tanti marchi delle Messaggerie Italiane — lascio fuori De Agostini avendo il gruppo una linea editoriale non orientata a saggi e narrativa — allora anche il testo più insignificante (e ce ne sono) venderà diverse migliaia di copie, anche decine di migliaia; ma se la tua casa editrice è una di quelle piccole, è già molto se ti trovano in qualche libreria a Roma o Milano, qualche volta a Torino. E se non sei sugli scaffali delle librerie, è anche ben difficile che tu possa vendere qualcosa.

Inutile spedire i manoscritti. O già ti conoscono, o hai la spinta giusta, oppure neanche la leggono la tua opera. Certo, puoi rivolgerti alle agenzie letterarie, ma anche qui, ormai, quelle più importanti hanno creato un sistema a due binari: uno privilegiato, se hai la giusta presentazione, e uno per gli sfigati, quelli senza «santi in Paradiso», ovvero quelli che «se c’è un po’ di tempo ci diamo un’occhiata a questo manoscritto».

E se anche vieni letto, se anche sei bravo, ecco che su di te pendono due spade di Damocle, specialmente nella narrativa: primo, sei italiano, quindi, se vuoi pubblicare, meglio che ti scegli un bello pseudonimo straniero, magari americano, perché altrimenti non tira; secondo, sei sconosciuto, e perché mai una grande casa editrice dovrebbe puntare su uno sconosciuto? Perché rischiare?

E per non rischiare la soluzione è semplice: la maggioranza dei libri di narrativa pubblicati in Italia sono traduzioni di testi stranieri, in gran parte statunitensi. Tradurre costa meno, si rischia di meno. Così un discreto scrittore americano ha più possibilità di essere letto in Italia di un buon scrittore italiano (al quale peraltro si chiede di cambiar nome). Se tuttavia il tuo bel faccino — un eufemismo per alcuni personaggi — è comparso in televisione, anche in un programma demenziale, se sei un politico, un calciatore, un giornalista, un presentatore, un attore o semplicemente un parente stretto di questa casta di fornitori ufficiali di gossip alle riviste patinate da parrucchiere, allora nessun problema: puoi scrivere anche una cretinata e sarà venduta su tutto il territorio nazionale. Anzi, più demenziale è il libro, maggiori possibilità avrà di essere venduto. Magari ci metti dentro un po’ di sesso, qualche malignità su questo o quel VIP, o semplicemente un po’ di buona vecchia dietrologia su qualcuno dei tanti misteri che si sono accumulati nella storia del nostro Paese. C’è solo l’imbarazzo della scelta.

In quanto agli altri, ai piccoli, c’è una categoria che ancora sfugge a questo meccanismo, ma non per questo c’è da rallegrarsene: sono gli intellettuali, possibilmente di sinistra, ma non necessariamente (la destra avanza anche qui). Tanti piccoli uomini e donne impegnati che passano la vita a parlarsi addosso e a premiarsi a vicenda o a elargire premi letterari a questo o quel politico che, a tempo perso, si fa scrivere un libro e poi lo pubblica con il suo nome.

Meno male che almeno la passione di scrivere rimane, perché altrimenti ce ne sarebbe abbastanza da appendere la penna al chiodo.

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Commenti (10) a «Homo scriptoris»

  1. blogchance ha detto:

    Non perdere la passione e continua a credere nella scrittura…piuttosto perchè non ci dai qualche indizio, così veniamo a sbirciare tra le tue pagine? un saluto, fra

  2. Dario de Judicibus ha detto:

    Beh, le schede dei miei libri le puoi vedere qui a sinistra. Due sono di informatica e mi sono serviti per “entrare nel giro”, due di psicologia, dei quali uno uscirà a luglio. Sto finendo il mio primo romanzo e ho nel cassetto un saggio di sociologia e il piano editoriale di una collana di racconti per ragazzi. Purtroppo per quest’ultimi è una strada in salita perché è difficilissimo entrare in quel giro.

  3. blogchance ha detto:

    Non demordere…ehm, ma quante notte passi in bianco? ;)fra

  4. Dario de Judicibus ha detto:

    Beh, guardo poco la televisione – solo quando c’è veramente qualcosa che mi interessa – e poi vado a dormire verso le 2 di notte, in genere. Quindi, 5 o 6 ore le dormo… 😉

  5. FuoriTempo ha detto:

    sottoscrivo

  6. utente anonimo ha detto:

    non ho ancora scritto libri … ma uno è in progetto. scrivo racconti e partecipo a concorsi, sputando sangue … che tristezza! sapere di avere doti e non poter metterle a disposizione di nessuno se non su un blog (ben vengano i blog…) concordo e sottoscrivo. Quanti libri insulsi pubblicati e quanti nascosti in cassetti di speranza … saluti! giorgia

  7. Stufa ha detto:

    Così mi demoralizzi di brutto…

    Ero al corrente di una parte di quello che dici, il resto mi ha dato il colpo di grazia…

    Pure le agenzie letterarie non servono…

    Annamo bene.

  8. utente anonimo ha detto:

    Pubblicare un mio libro è un sogno.

    Che qualcuno lo legga poi (e magari ci si rifugi) è qualcosa che va al di là di un sogno.

    Ti capisco.

    Ma non mollare.

    Intanto una lettrice in più ce l’hai: me.

    E lo sarò con piacere.

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