Una questione di scelte



Prendendo spunto da una recente sentenza del TAR del Lazio che ha stabilito come non ci siano «ragioni scientifiche da giustificare, con sufficiente ragionevolezza, l’uso necessitato di animali vivi per esperimenti a scopo didattico su nuove tecnologie in chirurgia mininvasiva robotica», la rivista di divulgazione scientifica «Focus» propone ai suoi lettori il delicato problema se sia giusto o meno usare animali vivi per esperimenti di laboratorio in campo medico («Quei test sulla pelle delle cavie…»).

Attualmente in Italia il numero di animali impiegati ogni anno per scopi sperimentali si aggira sui 900.000 esemplari, di cui solo lo 0,3% a scopo didattico. Secondo molti animalisti, soprattutto quelli più estremisti, queste sperimentazioni dovrebbero cessare del tutto. Ma è possibile? Quali sarebbero le conseguenze? Proviamo a ragionarci sopra cercando innanzi tutto di capire perché si sperimenta su esseri viventi.

Il primo punto, fondamentale, da comprendere, è che qualunque sia la procedura applicata, sia essa farmacologica, genetica o chirurgica, prima o poi, per definizione, sarà applicata comunque a un essere vivente: l’uomo. Prima di partire in quarta con l’accusa all’umanità di sottomettere ai propri bisogni il resto del pianeta, pensate un attimo alla persona che più amate, al vostro compagno o alla vostra compagna, ai vostri figli o ai vostri genitori, a un fratello, una sorella, ai vostri amici. Chiudete gli occhi e immaginateli come sono ora. Quindi immaginateli malati di un male incurabile, di una malattia che li fa soffrire terribilmente come purtroppo ce ne sono ancora tante. Poi pensate all’animale che amate o che avete amato di più. Al più dolce, al vostro cucciolo preferito. E ora domandate a voi stessi: se dovessi uccidere quell’animale, farlo anche soffrire, per salvare la persona che amo di più di ogni altra, lo farei? Certo, a sangue freddo magari sarete tentati a rispondere di no, a dire «Ehi, così non vale! Se dico di sì poi mi tocca giustificare l’uso di cavie e io sono un animalista convinto!» Beh, se volete, rispondete pure di no, ma io credo che non abbiate immaginato seriamente di trovarvi in quella situazione, per cui provateci di nuovo. Lo so che è difficile. A tutti piacerebbe non essere mai messi di fronte a scelte simili, ma c’è di peggio. Ci sono state, e ci sono ogni giorno, persone a cui è chiesto di scegliere tra salvare una sola tra due persone, o di lasciarne morire alcune per salvarne altre. Chi si trova in posizioni di responsabilità può trovarsi ad affrontare decisioni simili, ma può capitare a ognuno di noi. Chi tiro fuori dalla macchina in fiamme? Mia moglie o mio figlio? Ho solo una scelta e non ho neanche il tempo di dire «Non è giusto!»…

Perché ho fatto questa premessa? Non certo per giustificare a priori sempre e comunque l’uso di cavie viventi, ma perché è importante comprendere ed accettare questo punto se si vuole capire quanto sia complesso il problema, quanto la soluzione più bella, quella da «e tutti vissero felici e contenti, compresi i topi», non sempre è possibile.

Ma andiamo avanti. Stavo dicendo che una procedura medica alla fine ha l’obiettivo di essere applicata a un essere umano. Il problema è che un essere vivente è così complicato che non è possibile partire dalla teoria o da normali esperimenti in laboratorio per prevedere tutte le possibili reazioni di un organismo a una certa terapia o a un particolare intervento chirurgico. Se prendete il foglietto illustrativo che si trova in qualunque farmaco vedrete quasi sempre una lunga lista di controindicazioni. La stessa medicina che cura alcuni può non far nulla ad altri o essere addirittura dannosa ad altri ancora, per fortuna, in genere, a una piccola percentuale. Eppure ci sono persone che non possono prendere neppure un’aspirina, nonostante che l’acido acetilsalicilico sia una delle molecole più comunemente utilizzate in autoprescrizione. Non è un limite della Medicina, o meglio, non si può imputare tutto ad essa. La vita è qualcosa di intrinsecamente complesso e le reazioni che avvengono in un organismo sono spesso collegate in modi non sempre facilmente individuabili. Così l’unica è provare.

E torniamo così alla vostra bambina di due anni malata, o al vostro compagno in un letto d’ospedale. Che direste se un medico provasse su di loro una nuova cura mai sperimentata prima su un essere vivente? Di nuovo: siate onesti. Acconsentireste? E per favore, non ditemi che li curereste con i Fiori di Bach. E allora? Allora non ci sono storie: quella cura va provata prima su un altro essere vivente, uno che possa anche morire per quanto ci possa dispiacere, e poi, solo poi, sul vostro caro. Va provata su una cavia. Brutto nome, vero? Fa venire in mente esperimenti sadici e scienziati pazzi… Si chiama Sindrome di Frankenstein e nasce dalla paura dell’ignoto, di ciò che non si capisce, soprattutto se altri sembrano capirlo. C’è sempre stata. La specie umana sembra riuscire a confrontarsi più facilmente con la magia che con la scienza quando si tratta di curare qualcuno. Peccato che la magia non abbia mai curato nessuno e quelli che ad essa si sono rivolti si sono solo ridotti sul lastrico per niente. E non parlatemi di Medicina ufficiale e Medicina alternativa. La Medicina, quella con la emme maiuscola, è solamente una: quella che riesce a curare davvero. Nessun medico complotta per discriminare le medicine alternative, ma nessun scienziato serio è disposto ad accettare una terapia se prima non è stato stabilito e verificato con estrema cura un protocollo opportuno: ci sono in gioco vite umane, non si possono fare le cose in modo superficiale. Se non siete convinti, continuate a mantenere a mente l’immagine di cui sopra, del vostro caro malato, e mettete alla prova le vostre convinzioni assumendo di applicarle a quel caso e non a quello di un generico anonimo paziente.

Ci sto andando pesante? Mi spiace. Io amo gli animali, tutti. Oddio, i ragni mi fanno un po’ schifo, ma se parliamo di pesci, anfibi, rettili, uccelli e soprattutto mammiferi — scusate la preferenza per quest’ultimi, ma chissà com’è li sento più vicini a me — ogni animale, ogni vita, inclusa quella delle piante, è per me importante. Lo dovrebbe essere per tutti noi, almeno penso. Ma se dovessi fare una scelta fra un animale e un essere umano, mi spiace, ma non avrei dubbi, sempre che, e questo è il vero nodo della faccenda, fare quella scelta sia veramente necessario.

Comunque, tornando alla nostra povera cavia: purtroppo, una, non basta. Ne servono tante. Primo perché bisogna fare più di una prova e secondo perché, come ho già detto, ogni organismo è differente e quindi bisogna avere un campione statisticamente valido. E se questo vi dà fastidio, non dimenticatevi che una volta finiti gli esperimenti con gli animali bisogna purtroppo farne un certo numero sugli esseri umani. Non è detto infatti che un farmaco provato sugli animali, ad esempio, non possa avere effetti anche devastanti sull’uomo. Eh, già, perché alla fine un topo o una scimmia sono simili a noi, ma fino a un certo punto. Il che vuol dire che prima di applicare la terapia al vostro bambino o a vostra sorella, va applicata a persone che volontariamente rischiano anche la vita per verificare la validità di una cura. Certo, la maggior parte sono pagati, anche se molti sono anche malati terminali, ma perché non dovrebbero esserlo? Dopotutto corrono dei rischi non indifferenti. Prendereste il loro posto gratuitamente, voi? Io no.

E allora? Per concludere? Va bene così? È giusto usare gli animali negli esperimenti scientifici? Beh, grazie al Cielo la vita non è fatta solo di bianchi e neri, ci sono anche i grigi. Quello che intendo dire è che se credo sia ormai chiaro come sia necessario utilizzare esseri viventi per sperimentare nuove terapie, è pur vero che è nostro preciso dovere ridurre al minimo tale necessità. Questo vuol dire

  1. non utilizzare un essere vivente a meno che non esista una qualsiasi altra alternativa;
  2. ridurre al minimo sia il numero di animali per ogni sperimentazione che il numero di test necessari;
  3. adottare ogni possibile mezzo per evitare alle cavie sofferenze inutili;
  4. adottare ogni possibile mezzo per limitare comunque danni al loro organismo, se possibile;
  5. utilizzarli solo ed esclusivamente per ricerche volte alla scoperta di nuove terapie.

In particolare ci può aiutare qui la manipolazione genetica, pratica anch’essa esecrata da una certa pseudocultura naturista, ma che tanto può fare invece per risolvere molti dei problemi che l’umanità del Terzo Millennio deve affrontare. Creando infatti dei cloni, è possibile avere un campione statisticamente valido formato da un numero minimo di animali. In pratica, grazie alla clonazione, si potrebbe ridure fino a dieci volte tanto il numero di cavie necessarie. Se poi neanche questo dovesse soddisfarvi, se ancora ritenete che si debbano fermare una volta per tutte gli esperimenti sugli animali e se ritenete che chi la pensa come me sia un mostro di insensibilità, non vi resta che sperare di non essere mai messi alla prova sul serio. Non ve lo auguro, ovviamente, ma vi do un consiglio: prima di affermare le vostre convinzioni davanti a qualcuno, assicuratevi che lui non si trovi in quella situazione, con una persona cara irrimediabilmente malata di un male incurabile. Potrebbe non apprezzare in quel momento la vostra posizione. E reagire di conseguenza.

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Commenti (5) a «Una questione di scelte»

  1. utente anonimo ha detto:

    Mi trovo assolutamente d’accordo con quanto affermi.

    Credo che la demagogia su quest’argomento abbia ormai raggiuto livelli secondi solo all’ipocrisia di chi fa professa un animalismo massimalista alle spalle di “quelli” che soffrono e attendono una cura (e parlo da amante nonché devoto proprietario di animali, trattati in casa come membri della famiglia – del resto, gli stessi farmaci per uso veterinario sono sviluppati esattamente nello stesso modo o derivano immediatamente da quelli usati sulle persone-). E’ disarmante, constatare come spesso si faccia di tutta l’erba un fascio, mettendo sullo stesso piano la sperimentazione a scopo cosmetico e quella a scopo terapeutico, creando confusione nelle persone.

    Spesso, poi, si adduce come argomento il fatto che alcuni farmaci non abbiano prodotto sugli animali effetti nocivi che si sono poi manifestati sull’uomo: ancora demagogia: come correttamente fai notare, nel lungo processo di sviluppo del farmaco intervengono diverse fasi, tese ad affinare la consapevolezza delle proprietà di un principio attivo, e la sperimentazione su “cavie” non è che uno di questi passaggi, necessari ad arrivare ad una (imprescindibile)sperimentazione sull’uomo priva di rischi, per quanto possibile.

    O sarebbe forse meglio sottoporre persone, anziché cavie, a rischi che sulla base dei semplici esperimenti di laboratorio non possono essere previsti?

    Invito chi sia disposto a rispondere affermativamente alla domanda, a non sindacare ulteriormente sulla moralità e insensibilità di chi crede in una ricerca scientifica al servizio della vita.

  2. jeebo ha detto:

    Mi spiace, ma non sono d’accordo. La cavia la facciamo lo stesso noi umani (ed è giusto sia così) perchè gli esami sulle cavie animali altro non sono che il nulla osta per la commercializzazione di un prodotto, ma non ne garantiscono nè l’efficacia nè tantomeno le ventuali controindicazioni. La sperimentazione animale è come la marca da bollo obbligatoria, una comoda strada per molte aziende farmaceutiche. Tu stesso ammetti che persino tra esseri umani non c’è una stessa risposta immunitaria e farmacologica, figurati tra umani e cavie, organismi completamente diversi.

  3. jeebo ha detto:

    le ventuali=le eventuali

    ========================

  4. Dario de Judicibus ha detto:

    No, jeebo, non è così. Lo studio sulle cavie non serve a verificare la risposta generica di un organismo a un farmaco, ma ad analizzare nello specifico il comportamento del farmaco all’interno di un organismo vivente. Ad esempio a verificare se la molecola si lega o meno a un certo recettore o se un enzima è in grado di spezzare un certo legame chimico, se una sostanza influisce o meno sugli impulsi neurali, se aumenta o diminuisce la produzione di una certa sostanza e via dicendo.

    La cavia finiamo per farla anche noi esseri umani, dopo. Ma prima di provare un farmaco su volontari, che comunque corrono dei rischi, lo facciamo su animali per ridurre quei rischi al minimo e soprattutto per evitarli a te che quel farmaco dovrai prendere.

    Tutto ciò con la commercializzazione del farmaco non ha nulla a che vedere. Se anche i farmaci fossero tutti gratuiti, si dovrebbero comunque utilizzare cavie per svilupparli.

    Al momento non esiste alternativa. Solo la clonazione ci ha permesso di ridurre di parecchio il numero di animali coinvolti, ma non purtroppo di eliminare questo passaggio.

    Non è un problema di opinioni, ma tecnico. Se tu conosci un altro modo, dillo, ma deve funzionare sul serio, non essere pura demagogia. Perché c’è in gioco la vita di moltissime persone e, per quanto abbia un grande valore anche quella di un altro animale, un topo, un cane, una scimmia, scusami, ma dovendo mettere su un piatto della bilancia diversi milioni di persone e sull’altro poche decine di animali (è questo il rapporto per ogni farmaco), la scelta mi sembra obbligata.

    Vorrei comprendessi che questo non indica che sia un insensibile e che non ami gli animali, ma ho una certa conoscenza dei metodi scientifici e cerco di essere realista.

  5. jeebo ha detto:

    Certo che va prima sperimentato sull’uomo prima di essere commercializzato ma non prima di farlo sulle cavie.

    Ti lascio un link a report, molto interessante come sempre, secondo me e ben fatto: http://www.report.rai.it/2liv.asp?s=208

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