Harry Potter e i Doni della Morte, Parte Seconda – Recensione



Mercoledì sono andato a vedere, assieme a mia figlia, la seconda parte del film «Harry Potter e i Doni della Morte». Da un punto di vista cinematografico, niente da dire: un bel film, ben costruito, con effetti speciali decenti e una buona gestione della fotografia. Quello che mi ha deluso un po’, tuttavia, è stato il confronto con il libro.

La Rowling ha scritto una fiaba moderna che, come tutte le fiabe serie che si rispettino, non ha remore a mostrare in un mondo fantastico la crudeltà e la durezza della realtà in modo da far sì che i bambini e, perché no, anche gli adulti, acquisiscano una maggiore consapevolezza del mondo in cui viviamo tutti i giorni e ad accettarlo per quello che è. L’universo di Harry Potter, infatti, è magico ma questo non impedisce ai maghi, così come avviene ai normali esseri umani, ovvero ai babbani, di essere egoisti, falsi, stupidi, crudeli, persino malvagi. E non sto parlando di dividere il mondo in buoni o cattivi, ma di scoprire sia il male che il bene che è in tutti noi e in tutti coloro che ci circondano, inclusi coloro che amiamo, se non addirittura arrivare a comprendere come persino giudicare cosa sia male e cosa bene sia a volte difficile se non impossibile.

Così, nell’ultimo libro della saga si scopre come Albus Silente non fosse esente da critiche, di quanto avesse saputo esser bastardo il padre di Harry, e di come Severus Piton fosse animato da profondi sentimenti di affetto per Harry così come per sua madre, un amore impossibile eppure a suo modo puro. Nel settimo volume della saga, più che in ogni altro, ci si deve confrontare con la morte: la morte di parenti, amici e compagni, una Morte che falcia ciecamente senza fare distinzioni fra eroi e vigliacchi, fra buoni e cattivi. La battaglia nel castello di Hogwarts è una vera battaglia, dove ragazzi e ragazze giovanissimi si trovano ad affrontare bruscamente una realtà fatta di dolore e morte per proteggere principi e valori in cui credono. Non è fantasia, perché ogni giorno ragazzini che da noi si ha persino paura a lasciar andare da soli a prendere un gelato al bar, in altri Paesi vivono con il fucile in mano e un passato di violenza e di morte fatto di bombardamenti, rappresaglie, mine antiuomo e molto altro ancora.

Nel film tutto questo non si vede: a parte la scena di una ragazza azzannata da un vampiro e qualche cadavere sparso qua e là in secondo piano, la maggior parte dei danni che la battaglia sembra fare è alle mura del castello e a un esercito di statue di pietra animate. Non si vedono sangue, ferite, mutilazioni di alcun genere: è una rappresentazione asettica, dominata dagli effetti speciali ma scevra di qualsiasi reale emozione umana. Persino Hagrid, quando porta in braccio Harry, presunto morto, sembra non mostrare alcuna emozione. Quella avrebbe dovuto essere una scena molto più curata e invece rimane in secondo piano rispetto ad altre oggettivamente meno importanti. Il libro della Rowling invece è vivo, pervaso di sentimenti, di emozioni, tanto che diventa difficile non sentirsi coinvolti dalla trasformazione di quella che sembrava poco più che la cronaca della vita di un adolescente un po’ speciale in una scuola un po’ fuori dalla norma, in un vero e proprio dramma epico, una guerra per la sopravvivenza che coinvolge un intero mondo: un crescendo che ricorda un po’ la battaglia al Fosso di Helm del «Signore degli Anelli» di Tolkien.

Il film che porta sullo schermo la seconda parte del settimo libro della saga, avrebbe dovuto essere intenso, definitivo, e avrebbe dovuto chiarire tutta una serie di punti che fino a quel momento erano rimasti oscuri o comunque ambigui. Lo fa decisamente poco e male: certo, alcune cose vengono spiegate, ma altre, come il rapporto fra Albus Silente, la sorella Ariana e il fratello Aberforth, o quello fra Severus Piton, James Potter e Lily Evans, rimangono vaghi, confusi, annebbiati. Eppure è proprio nei rapporti umani e nei sentimenti che sta la vera forza della Rowling rispetto ad altri scrittori. Quella di Potter non è solo una storia di magia, di buoni e di cattivi, ma di sentimenti, di errori, di odio e di amore, soprattutto una storia di esseri umani ai quali l’essere magici non dà alcun vantaggio sulla vita rispetto a qualsiasi altro essere umano, non almeno sul piano dei sentimenti.

In questo il film è carente. Alla fine ci si rende conto che è un prodotto commerciale nel senso più negativo del termine, probabilmente orientato soprattutto al pubblico americano, che ha sempre paura di traumatizzare i propri figli mostrandogli la realtà per quella che è. In una società dove gli adolescenti si preoccupano più del ballo di fine anno e di non far parte della tribù sfigati a scuola in perfetto stile Glee o Disney Channel, mostrare cosa siano davvero la violenza e la guerra è argomento tabù, soprattutto nel grande cinema per le famiglie. Non c’è da stupirsi se poi questi figli di un’America a lieto fine rimangano poi scioccati quando vengono mandati a combattere una vera guerra in qualche sperduta parte del globo.

La Rowling ha scritto una saga di ottima qualità e l’ultimo libro è sicuramente fra i migliori se non il migliore: a mio avviso, il film non le ha reso giustizia.

Commenti (3) a «Harry Potter e i Doni della Morte, Parte Seconda – Recensione»

  1. utente anonimo ha detto:

    Ciao! Condivido appieno il tuo giudizio sul film, come ho scritto nel mio blog. Grazie per il tuo contributo!
    Caterina

  2. Dario de Judicibus ha detto:

    @Caterina Qual è il tuo blog? Così vado a darci un'occhiata… Grazie.

  3. utente anonimo ha detto:

    Ciao, sono Antonio. Condivido anch'io pienamente la tua recensione, è l'unica che ho trovato sul web che collima al 100% con i sentimenti che ho provato vedendo il film.
     

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