Minuto di silenzio



Ho appena letto un articolo sul blog Leonardo nel quale l’autore si interroga sul significato del cosiddetto «minuto di silenzio» usato di solito per commemorare un fatto di una certa rilevanza, generalmente luttuoso.

Per Leonardo, come si firma l’autore del pezzo, «non c’è cosa più assurda di chiedere un minuto di silenzio a scuola» perché «c’è qualcosa di assurdo nel celebrare un fatto eccezionale con un gesto (il silenzio) che a scuola dovrebbe essere la norma» e «se chiedo un minuto di silenzio ai ragazzi, proprio come si fa allo stadio, è come se li autorizzassi a fare altri 59 minuti di stadio».

L’articolo conclude che il minuto di silenzio è «un rito sostanzialmente laico, tutto in negativo» e che «è anche un modo elegante e novecentista per dire che quando ci raccogliamo in noi stessi… non ci troviamo niente: il vuoto, il silenzio, a volte una cattiva coscienza che conta i secondi – e che tra noi non abbiamo niente di profondamente Sacro da dirci: tra chi crede nella Patria e chi crede nel Progresso, o nella Pace, l’unico discorso comune è appunto un discorso senza parole». In pratica, «il minuto di silenzio è il rito laico più simile a una preghiera; però non è una preghiera, allo stesso modo in cui una bottiglia vuota non è una bottiglia di Valpolicella».

Considerazioni interessanti, anche se personalmente non me la sento di condividerle, tranne forse là dove l’articolo afferma, verso la fine, che «andrebbe anche bene il minuto di silenzio, purché preceduto da sessanta minuti di spiegazione». In verità non sempre tale spiegazione sarebbe necessaria, ma far precedere una riflessione dai motivi che stanno alla base della stessa, è cosa buona e giusta, a mio avviso.

Personalmente ritengo che il minuto di silenzio sia davvero il rito laico più simile a una preghiera che sia mai stato inventato. Che poi il minuto sia davvero un minuto, 30 secondi o 5 minuti poco importa, così come poco importa che si faccia in un luogo già di per sé adibito al silenzio. Il significato non è ovviamente quello di stare zitti — il nome è assolutamente fuorviante a riguardo — bensì quello di riflettere sul motivo del silenzio, ovvero sull’evento che si sta commemorando. Il silenzio è solo conseguente.

Quindi, quando si chiede un minuto di silenzio si sta in realtà chiedendo di riflettere un minimo — questo è in effetti il significato di minuto, non certo temporale — su qualcosa d’importante per poi riprendere la vita di tutti i giorni. Naturalmente è un rito collettivo: uno può comunque riflettere da solo a casa anche 10 ore, come d’altra parte può anche pregare 10 ore da solo, se vuole. La condivisione dell’atto serve a rafforzarlo, come in tutti i riti.

Su una cosa tuttavia concordo con l’autore, e che oggi sempre più il nostro cuore è vuoto di fronte a eventi drammatici, e non solo quello dei laici, ma molto spesso anche quello di chi ha una fede. Forse è perché siamo consapevoli che c’è molta più sofferenza nel mondo di quanto possiamo sopportare, o forse perché l’informazione puntuale e quotidiana dei media la sta rendendo un rumore di fondo al quale ci stiamo inconsapevolmente abituando. Così quella riflessione, che dovrebbe richiedere un tempo fisiologico ben più lungo di un minuto, si riduce a 60 secondi per metterci l’anima in pace e permetterci di continuare a fare quello che stavamo facendo. Forse, nelle scuole almeno, servirebbe ben più di un minuto e ben più che una semplice riflessione silenziosa. Ma, come ho già detto, è un rito, e i riti non devono necessariamente essere né pratici né logici.

Alla fine, il fatto che il mondo si fermi un minuto a pensare è sempre meglio di niente in un mondo che oramai sembra non essere più capace di fermarsi di fronte a nulla, neppure al dolore più profondo.

Commenti (1) a «Minuto di silenzio»

  1. paol84 ha detto:

    Io non l’avrei fatto osservare

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