Il cinema italiano: specchio di un Paese senza fantasia



Il cinema italiano: specchio di un Paese senza fantasia
di Daniel Galfré

Il cinema italiano contempla due generi: la commedia volgare o la commedia drammatica nevrotico intimista con pretese filosofiche. Manca la magia, il surrealismo, l’avventura, il brio. Pensiamo a quello che stanno facendo le altre nazioni europee che non hanno comunque i mezzi o i finanziamenti di Hollywood. Spagna, Francia, Scandinavia, Germania. Ci stanno superando tutti.

Pensiamo a film come «Lasciami Entrare», «Il Labirinto del Fauno», «Orphanage», «Il Fantastico Mondo di Amelie». Amelie è il perfetto esempio di come si possa parlare di quotidianità usando anche la fantasia e la magia. Sono tutti film magnifici costati molto poco. Non menziono apposta il cinema americano, perchè voglio sottolineare come l’Italia perda il confronto con altre realtà europee non grandissime e non ricchissime.

Anche le commedie francesi per esempio hanno quel surrealismo e quel senso di azione in più che le rende più interessanti, meno terra a terra e più cinematografiche. Penso a film come «Le Petit Nicolas» o «Taxi». Anche la commedia scandinava «Fuckin Amal» dimostra l’importanza dell’irriverenza, della stravaganza, nel raccontare storie di vita moderne, non il solito perbenismo tradizionalista moralista all’italiana.

In Italia non riusciamo a creare un fantasy, un film d’avventura, un film di fantascienza ma nemmeno un qualcosa di minimamente surreale. C’è soltanto la realtà noiosa, cruda e nuda girata spesso con la telecamera a braccio. Tra l’altro in Italia, in modo particolare se il film è girato al Sud, c’è sempre una forte enfasi sul far parlare tutti in dialetto e sul calcare l’accento del luogo; un’altra concezione provinciale del cinema che ne diminuisce l’appeal per un pubblico più vasto e internazionale.

Non credo affatto che il cinema debba essere sempre e solo impegnato (che poi è soltanto una ruffianeria) ma può e deve anche intrattenere nella maniera più pura: raccontando storie innocue che catturano l’attenzione e stimolano la fantasia. Il cinema è anche intrattenimento, così come in teatro oltre a Shakespeare c’è anche il musical, e questo l’Italia non l’ha capito visto il folle amore che c’è nel nostro paese per lo pseudointellettualismo.

Un film ad esempio che ho apprezzato molto è il francese «Arthur e il Popolo dei Minimei». Una semplice avventura, senza pretese, senza impegno, soltanto una bella fiaba da gustare fino in fondo. La cosa che mi colpì quando guardai uno speciale su Arthur fu quanto il regista si fosse divertito a girarlo, tanto che aveva cancellato la pellicola per girarlo ancora dall’inizio. Spudorato divertimento! Quanto spesso questo succede da noi? In qualsiasi campo quanti nel nostro Paese ammettono di divertirsi veramente a fare quello che fanno? Penso pochi visto che ormai l’unica arte che viene veramente promossa è la cervellotica avanguardia di pochi, emozionalmente inibiti, intellettuali che amano fare conferenze su conferenze nei palazzi antichi delle nostre città per poter affermare che l’Italia è terreno fertile per l’arte.

Il vero problema penso che stia a monte. Di tutti i paesi industrializzati e ricchi in Europa l’Italia è il meno moderno. Certo abbiamo i MediaWorld pieni con persone che cambiano il cellullare ogni settimana; ma questo fa parte della contraddizzione. In realtà siamo un Paese dove spesso impera una mentalità bacchettona dell’800, dove non si abbandonano tradizioni e stereotipi sociali arretrati, dove il finto moralismo di chi si scandalizza per tutto fa da padrone, dove l’inventiva e l’impegno per raggiungere uno scopo non vengono mai premiati e dove non ci si apre ne al nuovo nel al resto del mondo.

Pensiamo alla musica. In Italia non c’è un barlume di musica moderna. Piacciano o meno all’estero ci sono tanti cantanti che rappresentano bene il fatto che nell’era moderna abbiamo conquistato una maggiore libertà di espressione. Penso a Gwen Stefany, agli Scissor Sisters, agli Evanences, ai Carpark North, ai Black Eyed Peas. Molti italiani, e questo li marchia a fuoco come “italiani”, innoridiscono a sentire questi nomi, che suggeriscono mentalità moderne e anti-conformiste così lontano dal tradizionalismo italiano e la sua musica leggera con sonorità vecchie di 50 anni.

In Italia i cantanti di ventanni cantano canzoni per pensionati, che trattano argomenti da pensionati; cioè da persone che hanno deciso di considerarsi “arrivate” e che hanno già pianificato la loro vita rinunciando al rischio, al mistero e al dinamismo della loro gioventù. Ma anche questo è uno specchio della cultura, visto che in Italia sono tantissimi i ventenni o trentenni che vivono gia da pensionati. Siamo uno dei pochi Paesi dove i ragazzi vogliono assomigliare ai loro genitori, comportarsi come loro, vestirsi come loro invece di comprendere l’opportunità che offre il progresso culturale e la libertà di espressione conquistata negli anni.

Anche i bambini vivono come pensionati qui da noi. Ultimamente all’estero ho visto una ragazzina di 11 anni creare premiati spettacoli di yodel, un giovane cuoco di 8 anni venire premiato al James Beard Award e un’altro di 12 anni pubblicare tre libri di cucina, un giovane di 12 anni cantare splendidamente alla serata tributo per Michael Jackson, un chitarrista di hard rock di solo 8 anni vincere il premio della giuria per la sua performance, un giovane di 10 anni affermarmi come migliore compositore di jazz contemporaneo pianistico dell’anno, un ragazzo di 12 anni venire premiato per i suoi spettacoli nei quali suona il pianoforte acrobaticamente, canta e fa siparietti comici e ancora un gruppo rock di ragazzi di 10-11 anni venire premiato come miglior young rock act dell’anno.

Sono solo alcuni degli esempi di come anche i bambini/ragazzini, come chiunque altro, quando vivono in un ambiente culturale dinamico e moderno, colgono l’opportunità di esprimere se stessi e le loro passioni come mai avevano potuto fare prima d’ora, invece di starsene chiusi in camera a giocare con le macchinine. All’estero i ragazzini che hanno talento musicale producono musica seria, fanno spettacoli e incidono cd. In Italia li mandiamo allo Zecchino d’Oro che è uno gara canora sciocca e infantilizzante di stampo religioso, con retroscena poco chiari fatti di raccomandazioni e favoritismi.

Pensiamo alle nostre città: con la scusa di non volere il progresso perchè genere caos, finisce sempre che le nostre città invece di seguire un piano di rimodernamento pianificato, ospitano qua e la in maniera disordinata ipermercati, multisala, centri multimediali… con il risultato che è molto più caotica una città di provincia italiana che non una metropoli come Chicago. In Italia si ha cioè il caos ma nessuna delle opportunità e dei miglioramenti che lo giustificano. È come vivere in posti che non offrono niente di più di quello che offrirebbe un paesino in collina, ma con gli stessi disagi delle grandi città.

Pensiamo a cosa hanno saputo fare in Spagna con città come Valencia o Bilbao. Valencia era una città in decadimento e sono riusciti a trasformarla in una città culturale sede di uno dei più grandi e moderni complessi architettonici suddiviso per aree tematiche tra natura, scienza e arte. L’architettura italiana moderna è ferma al dopoguerra ed è stata considerata nel 2008 una delle più brutte e deprimenti esistenti.

E che dire di internet? L’Italia anche nella rete rimane isolata dal resto del mondo. Se è vero che su internet si trova tutto, ciò non vale per i siti italiani che sono pochi e trattano pochi argomenti. Inoltre raramente i siti italiani sono scritti in inglese o hanno anche una versione in inglese. Il risultato è che secondo le statistiche web, mentre i siti di tutta Europa sono visitati da una massa globale di utenti, il che rafforza la comunicazione tra culture diverse, i siti italiani sono principalmente visitati dagli italiani e i tratti delle cultura italiana in essi rappresentati, sono conosciuti ai solo italiani.

Infatti a sempre meno persone interessa dell’Italia e di quello che succede in Italia, e questo è palese dall’isolamento in cui la rete italiana si trova. L’Italia conta meno di qualsiasi altro paese sulla scena internazionale e perde sempre più attrattività internazionale in qualsiasi ambito da quello scientifico e artistico fino a quello economico. Rimane soltanto apprezzata per il suo patrimonio artistico ma anche l’interesse verso questo è in calo, data la nostra incapacità di valorizzarlo e salvaguardarlo.

Lo so che sono partito parlando di cinema e sono arrivato alla musica e all’architettura fino a internet. Ma penso che sia impossibile capire il problema del cinema italiano senza analizzare la cultura che lo limita. Il cinema è uno specchio della società. La società italiana deve ancora entrare nel ventunesimo secolo, non ci ha nemmeno messo un piede dentro e il provincialismo e la pochezza del nostro cinema riflettono questa realtà.

Io non auspico un ritorno ai grandi maestri, al cinema d’autore, ai capolavori felliniani per il semplice fatto che non si può guardare indietro e le circostanze sociali che diedero vita a quel cinema ormai non ci sono più, proprio come non ci sono più le circostanze sociali che diedero vita alla musica barocca di Bach o classica di Mozart. Pensare di ritornare a un passato generato da ambienti e circostanze ormai perdute per sempre, significa rimanere in uno stallo culturale.

All’Italia manca il dinamismo, manca l’inventiva, manca la voglia di osare invece di dormire sugli allori. Ecco perché le nostre città sono invivibili e prive di opportunità, ecco perché i ventenni e trentenni vivono come pensionati, ecco perché la nostra musica è rimasta a «Finché la barca va», ecco perché siamo solo superficialmente tecnologici ed ecco perché il nostro cinema fa pena. L’Italia è un Paese fermo e non c’è posto per l’avventura e la magia dove ogni cosa ristagna e non si muove. Quali stimoli o ispirazione può dare un ambiente del genere?

E ora di smetterla di parlare del passato, bisogna parlare del futuro. Il conservativismo non ha mai portato a niente se non all’arretratezza e al bigottismo.

Ma forse il problema è che l’italiano medio non sogna, che anche nell’era moderna non pensa in grande, che non si rispecchia nel futuro e vive la vita nella maniera più tradizionalista possibile, terra a terra, senza il conforto delle favole, della fantasia, che continua ad avere una concezione romantico ottocentesca dei rapporti umani e che aspira al massimo a trovare una fidanzata o un fidanzato. In Francia, nei giornali come «Le Monde», non c’è ne spazio per la posta del cuore ne per l’astrologia.

Pensiamo al «Piccolo Principe»: quando mai la narrativa italiana ha avuto la sensibilità, dolcezza ed apertura mentale per scrivere una storia così profonda, semplice e magica?

Se pensiamo ad altre nazioni scopriamo che hanno tutte quante una tradizione di narrativa surreale e fantastica, rincuorante e magica. Dai fratelli Grimm a Michael Ende, da Perrault, Andersen, Ibsen e Tolkien fino alla moderna Rowling. Ma tale tradizione è completamente assente in Italia. Pensiamo ad un creativo visionario come Steve Jobs, amministratore delegato della Pixar. Nelle interviste è sempre nel suo studio, circondato da pupazzetti, giocattoli, poster colorati; indossa sempre una camicia colorata con disegni di buffi animali e va in giro per gli studi della Pixar in monopattino. Che opportunità avrebbe una persona del genere in Italia? Oltre a non trovare terreno fertile per la sua immaginazione e nessuna possibilità di concretizzare i suoi obiettivi — per quanto porterebbero ricchezza — che possibilità avrebbe di sentirsi integrato con una cultura che la fantasia e la magia non riesce a concepirli?

Quanti si rendono conto che le storie non-italiane che si vedono nei film, nei libri, negli anime giapponesi e alle quali ci appassioniamo, non potrebbero facilmente avere luogo nella cultura italiana tra individui italiani perchè spesso ancora troppo legati ad un modo di concepire i rapporti umani tradizionalista e forse maschilista? Non a caso in Italia ancora forte è il concetto della femmina che vuole il maschio forte, insensibile che la protegga e la massima aspirazione per molte donne è usare l’oroscopo per capire dove si trova l’uomo “adatto”.

In questo giorni i cinema italiani sono stati presi d’assalto per la proiezione dell’ultimo film di Harry Potter. Ma in quanti ci rendiamo conto, per quanto siamo attratti da quel modo di concepire l’amicizia, la fantasia e la magia, come quella realtà sia fortemente estranea al provincialismo, tradizionalismo e bigottismo italiano e che storie del genere sarebbero ancora poco credibili se avessero luogo in italia con personaggi italiani?

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Commenti (7) a «Il cinema italiano: specchio di un Paese senza fantasia»

  1. utente anonimo ha detto:

    Splendido articolo, bravissimo Dario .. o Daniel ? chi devo ringraziare ? comunque sia continua così, ti leggo sempre e lo faccio sempre con immenso piacere.

    Alexandro

  2. Dario de Judicibus ha detto:

    Daniel. Gli articoli con il titolo e l’autore sono di collaboratori esterni de «L’Indipendente» e sono sempre caratterizzati da una barra laterale a sinistra riportante una grafica diversa per ogni autore.

  3. utente anonimo ha detto:

    Sono assolutamente, imprescindibilmente d’accordo con voi!! Spero che questo paese si apra e si espanda dal punto di vista artistico in generale, perchè, potenzialmente, potrebbe arrivare (se non superare) anche la “fucina artistica x eccellenza” (USA). Una volta (taaaaanto tempo fa) era l’Italia la patria dell’Arte. In ogni sua manifestazione.

    Silvia

  4. utente anonimo ha detto:

    Grazie a Daniel quindi. Ma anche a te che ci hai proposto l’articolo!

    Alexandro

  5. Dario de Judicibus ha detto:

    Grazie. Il mio blog è sempre aperto a contributi interessanti.

  6. utente anonimo ha detto:

    ogni giorno che passa l’italia mi fa sempre più schifo. Spero che la cultura italiana muoia, che la nostra lingua madre venga convertita all’inglese e che l’italiano venga dimenticato da tutti. Tanto l’italia è un paese inutile che non si riprenderà più!

  7. utente anonimo ha detto:

    Sono d’accordo con molto di quello che scrive Daniel nel suo bell’articolo.

    Ricordiamoci però che i capolavori del cinema italiano ci vengono invidiati da tutto il mondo e fanno parte della nostra storia. Peccato che fino a poco tempo fa non fossero disponibili in dvd in Italia e bisognasse ordinarli all’estero (in Francia o in Giappone).

    Forse se la cultura italiana anche cinematografica fosse più conosciuta e apprezzata dai giovani italiani sarebbe di stimolo per una maggiore creatività. Piangersi addosso e ripetere “mi vergogno di essere italiano” sono un modo sicuro per ammazzare qualunque sogno, rimane solo il Superenalotto.

    Ciao

    Franca

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