Libera disinformazione



La democrazia di un Paese non si giudica dal numero di partiti
ma dalla presenza di una libera informazione.

Dario de Judicibus, Roma, 4 agosto 2008

Libera informazione: due parole che fanno fatica a stare assieme. La società moderna potrà anche prendere forme molto diverse da quelle che l’hanno preceduta, ma condivide con esse più caratteristiche di quanto si possa pensare. I principi democratici che affermano che sia il popolo ad avere il potere sono spesso nelle democrazie moderne una sorta di illusione collettiva che giustifica in modo più sottile e sofisticato una realtà che esiste da sempre, ovvero che il potere è in mano a gruppi più o meno grandi che se lo contendono con guerre oggi sempre meno visibili ai più.

Una volta tali gruppi si chiamavano nobili, mercanti, clero. Oggi hanno altri nomi e a volte non hanno neppure un nome. A volte neppure sappiamo che esistono, tanto che molti uomini e donne di potere hanno nomi sconosciuti all’opinione pubblica che raramente compaiono sui giornali o sulle riviste di gossip.

Una differenza c’è, tuttavia, col passato. Al contrario di quanto succedeva nelle società antiche, molti di questi gruppi giustificano oggi formalmente la loro esistenza con il consenso. Partiti, sindacati, ordini professionali, associazioni, affermano di esercitare il potere per conto di chi ha dato loro il consenso e quindi elettori, lavoratori, professionisti, cittadini comuni. Ma esiste davvero questo consenso, e se esiste, come viene ottenuto?

E qui entra in gioco l’informazione. Ognuno di noi decide in base a due fattori, principalmente: le informazioni che ha a disposizione e gli obiettivi che si prefigge. Quest’ultimo fattore prende il nome di interesse. Di per sé non è detto che l’interesse sia un fattore negativo. Se ad esempio sono il responsabile di un’associazione di volontari, il mio interesse è poter perseguire gli obiettivi umanitari della mia associazione e quindi assicurarmi che possa operare efficacemente. Ovviamente fare il proprio interesse può contrastare con gli interessi di altri; da qui nasce il conflitto. Non è un caso se associazioni nate per scopi umanitari e di salvaguardia dei diritti dei cittadini a volte abbiano perso di vista i loro obiettivi principali diventando a loro volta gruppi di potere disposti a tutto o quasi pur di rafforzare la propria posizione. Un esempio è stato il conflitto fra sindacati confederati e CoBas.

Se l’interesse stabilisce gli obiettivi da raggiungere, l’informazione determina la strategia atta a raggiungerli. Maggiore e più accurata è l’informazione, maggiori sono le possibilità di stabilire una strategia vincente. Questo principio riguarda tutti, dal singolo individuo al grosso trust industriale. Chi controlla l’informazione, quindi, di fatto condiziona le decisioni degli altri, comprese e soprattutto quelle prese in buonafede. La decisione è alla base del consenso e quindi del sostegno. Ecco perché la base di una democrazia non è il pluralismo ma un’informazione indipendente e, ovviamente, professionale e accurata.

Ricapitolando: il potere è in mano a gruppi che se lo contendono. La misura di tale potere è il consenso, dato che a un maggiore consenso corrisponde una maggiore possibilità di fare pressione sugli avversari muovendo masse di maggiore o minore entità. La forza di un sindacato quindi si misura sulla capacità di portare in piazza un numero elevato di manifestanti; di un partito di ottenere un numero rilevante di voti alle elezioni; di un’impresa, di fidelizzare un numero elevato di consumatori. Il consenso si ottiene operando su entrambi i fattori decisionali: da una parte manipolando l’informazione, dall’altra facendo credere che gli interessi del gruppo sono gli stessi di chi deve dare il consenso. Si può pensare che questo secondo aspetto sia difficile da simulare, ma bisogna ricordare che anche la verifica se poi il gruppo abbia o meno mantenuto le sue promesse si basa sulla disponibilità di informazione veritiera, per cui manipolandola si può mantenere anche a lungo la convinzione di aver dato il consenso al gruppo giusto.

Tutto questo sistema funziona fintanto che ogni canale di informazione è controllato da un gruppo di potere. Che poi ci siano fonti opposte che fanno affermazioni opposte, per assurdo, non ha alcuna influenza. Ad esempio, chi è convinto che il centrodestra abbia ragione, leggerà prevalentemente giornali di centrodestra, mentre chi crede nel centrosinistra, leggerà quasi solo giornali controllati dal centrosinistra. Che quindi questi diano informazioni opposte non modifica la situazione. Il problema sorge nel momento in cui compare sul campo un canale informativo davvero indipendente. Un canale del genere sconvolge tutto lo schema e diventa una frattura in un sistema altrimenti ben collaudato.

Nel nostro Paese questo canale non esiste. Ogni giornale, rivista, canale televisivo è legato in qualche modo a un gruppo di potere, politico, economico o religioso. Questo crea una serie di schieramenti che interessano verticalmente tutte le fasce sociali. Ogni schieramento ha la sua informazione e la utilizza per rafforzare il consenso della sua base ed erodere quello degli schieramenti affini. Questo meccanismo funziona perché ben difficilmente chi ha dato il consenso allo schieramento opposto modificherà di colpo la propria posizione, mentre sono proprio gli schieramenti affini quelli più pericolosi, proprio perché è più facile che la base venga condizionata da canali informativi ai quali è più propensa ad accedere in quanto meno distanti dal proprio modo di pensare. Quindi, per un partito di sinistra, ad esempio, è più pericoloso un partito di estrema sinistra o di centrosinistra moderato che uno di destra; sono i canali informativi di quelle aree che rappresentano la minaccia più grave.

Senza un’informazione indipendente il sistema funziona. Anche così, tuttavia, esiste un rischio: l’alfabetizzazione ha portato a una maggiore cultura diffusa a tutti i livelli nel nostro Paese e quindi a un maggior spirito critico. Questo è un rischio per il sistema. Uno spirito critico, tuttavia, si alimenta di informazione. Senza di essa, senza cioè un’informazione affidabile, la sola logica non basta. Ecco allora che non è sufficiente manipolare l’informazione. Bisogna dare meno dati possibili senza tuttavia dare l’impressione di censurare l’informazione. Come si fa? Basta non dare mai l’informazione in sé ma solo ciò che è stato detto sulla stessa.

Facciamo qualche esempio: supponiamo che venga organizzata una manifestazione di piazza antigovernativa. Il governo ha l’interesse che risulti un numero limitato di manifestanti, mentre per gli organizzatori un gran numero rappresenta un successo. Il giornalista dà la notizia e afferma che l’organizzazione che ha coordinato la manifestazione ha affermato di aver portato in piazza oltre un milione di manifestanti, mentre il Ministero degli Interni ha comunicato che non sono stati più di centomila. Così facendo il giornalista ha dato un’informazione corretta, ovvero i dati forniti dalle due parti, ma in realtà non ha dato l’informazione vera e propria, ovvero quanti fossero stati in effetti i manifestanti.

In pratica, in questo modo, ognuno crederà alla parte alla quale ha già deciso di credere e utilizzerà le informazioni corrispondenti come giustificazione per una scelta in realtà già fatta. Così facendo si crea un effetto di feedback positivo difficile da spezzare. Chi ha dato il consenso non è propenso a criticare le scelte di chi l’ha ricevuto perché facendolo dovrebbe ammettere di aver sbagliato e quindi accetta in modo acritico le informazioni che riceve dato che legittimano la sua stessa scelta. Lo stesso si può fare con una proposta di legge: si riporta cosa ha detto la maggioranza e cosa l’opposizione, ma non si riporta il decreto in sé, per cui il cittadino medio non ha modo di ragionare su dati concreti ma solo su dati indiretti, quasi certamente ritoccati a uso e consumo delle parti in gioco. Il sistema protegge se stesso ancora prima di dare la possibilità alle parti di giocarsi la partita. Nel peggiore dei casi queste faranno fronte comune pur di evitare che il meccanismo qui descritto possa essere violato. Nascono così patti trasversali e cartelli fra coloro che in pratica si contendono il potere.

Se la manipolazione dell’informazione avviene quindi con tutta una serie di tecniche che servono a orientare il consenso in una direzione ben precisa, la mancanza di informazione diretta, di fatti verificati direttamente dal giornalista e non semplicemente riportati dalle parti in gioco, serve ad evitare che comunque i cittadini si facciano una propria opinione indipendentemente dall’informazione addomesticata. Il sistema funziona tanto bene che le parti arrivano nel nostro Paese addirittura a scambiarsi i ruoli e ad affermare l’uno quello che fino a poco prima affermava l’altro, senza perdere significativamente i propri consensi.

Facendo poi leva sulla cultura contradaiola tipica italiana, sviluppando una fidelizzazione che sta a metà fra la fede religiosa e il tifo calcistico, i vari gruppi di potere riescono ad evitare che sempre più persone si rendano conto di essere intrappolate in un meccanismo studiato a tavolino e continuino invece a confrontarsi in una guerra fra "poveri" che avvantaggia solo chi sta invece competendo per il vero potere.

Questa la situazione. Quanti se ne rendano conto è difficile dirlo. Pochi di fatto conoscono le tecniche di disinformazione usate. Molti credono che la disinformazione sia basata sulla menzogna, mentre invece essa si basa sulla verità. La verità è la migliore menzogna. Certo, va tagliata, riordinata, presentata nel modo giusto, ma è una menzogna robusta in quanto se la si cerca di confutare è di fatto inattaccabile. Solo cercando di mostrare il quadro complessivo la si può svelare, ma non è impresa alla portata di tutti, dato che richiede una competenza notevole nella materia in oggetto, qualsiasi essa sia. A volte basta semplicemente affiancare due notizie o riportarle molto distanti fra loro, per ottenere l’effetto desiderato. In ambito televisivo poi i trucchi sono infiniti: basta tagliare una scena, prenderla da un’angolazione piuttosto che un’altra, introdurre in un filmato recente scene di repertorio accuratamente scelte, il tutto ovviamente contornato da un commento studiato ad hoc, e il gioco è fatto. Anche il critico più smaliziato ci cadrà, perché non è questione di intelligenza, ma di disponibilità di informazione. Se non lo sai non ci puoi ragionare sopra; se quello che sai è stato manipolato, qualunque ragionamento, per quanto corretto, porterà alle conclusioni sbagliate.

L’unica soluzione, di nuovo, sarebbe un’informazione indipendente, anche un solo giornale, un solo canale televisivo. Ne basterebbe uno solo, sempre che non lo facciano fallire o non trovino il modo di imbrigliarlo. Ma non c’è, non ancora, almeno, e fino a quando non ci sarà, parlare di democrazia nel nostro Paese sarà solo una pietosa farsa.

Commenti (4) a «Libera disinformazione»

  1. latorredibabele ha detto:

    Libera disinformazione

    [..] La democrazia di un Paese non si giudica dal numero di partiti ma dalla presenza di una libera informazione. Dario de Judicibus, Roma, 4 agosto 2008 Libera informazione: due parole che fanno fatica a stare assieme. La società moderna pot [..]

  2. FreeLanceLou ha detto:

    http://freel

    [..] Era da un pò che volevo trattare il tema della disinformazione. Da non confondere con la più innocua assenza di informazione, senz’altro meno subdola perchè non intacca la consapevolezza di non sapere (tanto cara a tutti noi stude [..]

  3. FreeLanceLou ha detto:

    http://freel

    [..] Era da un pò che volevo trattare il tema della disinformazione. Da non confondere con la più innocua assenza di informazione, senz’altro meno subdola perchè non intacca la consapevolezza di non sapere (tanto cara a tutti noi stud [..]

  4. utente anonimo ha detto:

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