Teste coronate



Ha fatto molto scalpore, non solo su quella francese, ma sulla stampa di tutto il mondo, la vicenda conclusasi con la separazione fra Nicolas Sarkozy, attuale presidente della Repubblica Francese, e la moglie Cécilia.

Non è la prima volta che la stampa si occupa delle first lady o dei principi consorti dei capi di Stato e di Governo più in vista nel mondo. Negli Stati Uniti è quasi impossibile essere eletti se non si ha al proprio fianco la moglie o il marito e se non si presenta all’elettorato il quadretto stereotipato della famiglia felice. In Gran Bretagna c’è un intero settore editoriale che vive di gossip incentrati prevalentemente sulla famiglia reale. In Italia i media prestano poca o nulla attenzione alle mogli e ancor meno ai mariti degli uomini e delle donne politiche di spicco, sebbene un certo numero di riviste specializzate in pettegolezzi e scandali ci sia anche da noi.

Pochi tuttavia si rendono conto di come questo interesse per le famiglie di chi ha un ruolo istituzionale significativo nella nostra società abbia origini remote nel tempo e rappresenti di fatto il retaggio di una cultura lontana anni luce dai principi che caratterizano le democrazie moderne, o che almeno dovrebbero caratterizzarle…

Nel mondo antico, infatti, quasi tutte le società erano di tipo monarchico o comunque fondate su un’oligarchia di tipo dinastico. Pochissime deviavano da questo modello: un esempio è lo Stato della Chiesa, sebbene anche lì ci siano stati periodi in cui i Papi venivano eletti prevalentemente da determinate famiglie.

Questo meccanismo dinastico richiedeva ovviamente che il monarca avesse una discendenza e quindi la presenza di una moglie o di un marito, se il monarca era una donna, era fondamentale. La principessa o il principe consorte, in quelle monarchie dove il potere restava al discendente diretto del precedente monarca, erano un elemento fondamentale di continuità oltre a essere spesso il risultato di alleanze disegnate con estrema cura. Se poi la legge prevedeva che il consorte avesse ugual potere o addirittura salisse al trono a tutti gli effetti, è evidente quanta importanza tutti, dal primo dei ministri all’ultimo dei popolani, dessero alla vita privata del monarca.

Oggi le cose sono cambiate, o almeno dovrebbero esserlo: i capi di Stato o di Governo sono eletti dal popolo e di fatto sono dei dipendenti statali, per quanto ben pagati. Il potere che hanno dovrebbero esercitarlo solo in quanto hanno ricevuto mandato dagli elettori e nei limiti previsti dalle rispettive Costituzioni. Eppure, sebbene nella forma buona parte dei Paesi nel mondo siano repubbliche e monarchie costituzionali di tipo democratico, non sono pochi i momenti che vedono i vari potenti della Terra atteggiarsi e venir considerati alla stregua dei monarchi del passato. Cene, incontri, eventi pubblici e privati, e soprattutto il modo con il quale i media si occupano di loro, ne sono un esempio.

Ecco allora che l’interesse che gira attorno alle varie first lady e principi consorti non è altro che una reminiscenza del passato, un segnale di come, nel nostro subconscio, non ci siamo ancora liberati da certi meccanismi che hanno visto governanti e popolo vivere due vite separate, disgiunte: i primi ad occuparsi formalmente dello Stato, ma come cosa propria, ovvero come se amministrassero una loro proprietà; i secondi a lavorare, produrre, e soprattutto pagare le tasse per mantenere i primi.

Se vogliamo davvero essere una democrazia, dobbiamo quindi smettere di ragionare in questi termini e non interessarci ai vari coniugi, conviventi, amanti, figli più o meno naturali e animali domestici dei nostri governanti più di quanto facciamo per quelli di una funzionaria delle Poste o di un dirigente di un Ministero. Sono solo degli impiegati; di alto livello, ben pagati, certamente, ma sono nostri dipendenti e comunque la loro vita privata appartiene solo a loro e nulla ha a che vedere con la loro maggiore o minore capacità di fare il proprio mestiere. Occupiamoci quindi piuttosto di quello che fanno e, soprattutto, di quello che non fanno e che dovrebbero fare.

Commenti (2) a «Teste coronate»

  1. utente anonimo ha detto:

    Ciao, posso suggerirti/chiederti una riflessione sugli eventi di questi giorni che riguardano altre ex-teste_coronate?

    http://www.varesemonarchica.it/news_20071122_restituzione_beni.html

  2. Dario de Judicibus ha detto:

    Posso darti la mia opinione personale, ma prima devo fare due premesse.

    La prima: ho sempre considerato ingiusto il provvedimento che impediva ai discendenti maschi dei Savoia di tornare in Italia. Ritengo infatti che ognuno sia responsabile solo di quanto ha detto o fatto, non di quanto abbiano detto o fatto altri della propria famiglia. Unica eccezione, ovviamente, i genitori che sono responsabili di quanto fanno i figli fintanto che non sono maggiorenni. Un Paese non si può dire civile se poi ammette provvedimenti incivili.

    La seconda: fermo restando che non sono un monarchico, non ritengo una monarchia costituzionale a priori inferiore o peggiore di una repubblica parlamentare, come fanno alcuni; se così fosse, infatti, dovremmo ritenere Paesi come il Regno Unito o la Spagna inferiori all’Italia, il che sarebbe alquanto discutibile.

    Detto questo, mi sembra che ai discendenti dei Savoia manchi quel senso della dignità e della misura che ci si dovrebbe aspettare da una famiglia di alto lignaggio. Il concetto di nobiltà, infatti, nasce con il cavalierato ed è un principio etico: il cavaliere seguiva un codice in cui la pietà, la carità, l’attenzione nei confronti dei più deboli, la nobiltà d’animo, in sintesi, era fondamentale.

    Tale comportamento, tuttavia, non differisce da quello di molti politici italiani, compresi molti dei quali hanno criticato i Savoia per la loro infelice proposta. In questo i Savoia si dimostrano perfetti rappresentanti di un’italianità che grandi attori come Sordi hanno spesso evidenziato: quella “piccolezza” che caratterizza tristemente il nostro Paese e che accomuna politici, imprenditori, uomini di potere e a volte pure alti prelati e della quale, ho paura, non ci libereremo mai.

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