Danni collaterali



Stavo leggendo una notizia riportata su «La Torre di Babele», il blog di Pino Scaccia, in relazione a un attacco compiuto dagli americani su un villaggio nel Pakistan settentrionale che ha causato la morte di almeno diciotto pachistani fra cui donne e bambini.

Come capita spesso con questo genere di notizie, si è sviluppata subito una discussione fra chi ritiene che questi attacchi siano necessari per colpire i terroristi e chi li ritiene assolutamente inaccettabili in quanto provocano pesanti perdite di vite umane fra civili innocenti.

Tipicamente, in queste discussioni, ognuno ritiene le posizioni dell’altro assolutamente inconcepibili, ovvero, è uno di quei temi sui quali le parti hanno una visione completamente opposta del problema e dove la contrapposizione è forte, rispetto ad altri temi dove è più facile trovare una maggiore varietà di posizioni.

Sul blog di Pino, la contrapposizione si svolge in modo molto civile e con rispetto reciproco, ma spesso questo genere di questioni porta a scontri abbastanza accesi che, purtroppo, tendono a colorarsi di connotazioni politiche e finiscono per degenerare in attacchi personali, spesso offensivi. Basta fare un giro su alcuni gruppi di discussione per rendersene conto.

In definitiva il problema nasce dalla valutazione sulla legittimità o meno di effettuare azioni nei confronti del nemico che provocano una serie di effetti collaterali dei quali, il più discusso, appunto, è il coinvolgimento di civili innocenti.

Chiariamo subito un punto: non credo sia possibile risolvere questo genere di contrapposizioni, perché nascono da convinzioni di carattere morale che si basano su scale di valori differenti e differenti priorità nelle stesse. Quello che si può tentare di fare, è definire meglio il problema, cercare di chiarire le posizioni dell’una e dell’altra parte e identificare i punti nodali del conflitto, ma anche questo richiederebbe ben più di un articolo. Così ho deciso semplicemente di buttar giù alcune considerazioni, a ruota libera, da usare eventualmente come spunto per una discussione più approfondita e, spero, più ragionata, meno vissuta con lo stomaco e il cuore e più con la testa.

Quindi, se avete già una vostra convinzione assoluta, se ritenete di aver ragione e che chi non la pensa come voi è un bastardo, un pazzo o un criminale, vi suggerisco di non proseguire con la lettura di questo articolo, perché quello che sto per dire potrebbe trovarvi in completo disaccordo con me, o peggio ancora, totalmente d’accordo con quanto scritto qui. In entrambi i casi, a che pro leggerlo?

Per prima cosa, proverò a dare una mia definizione del problema che sia la più ampia possibile, per poi poterla eventualmente declinare in casi specifici, una definizione cioé che eviti di essere troppo puntuale perché altrimenti si rischia poi che l’analisi del problema si incanali troppo in una direzione che può facilmente essere strumentalizzata per sostenere l’una o l’altra posizione. Non c’è alcun dubbio, infatti, che se andiamo ad analizzare casi specifici, entrambi le parti potranno portare a sostegno della loro tesi esempi evidenti di come quanto sostengono sia vero, il che non aiuta certo a comprendere il problema, anzi, rende il tutto, se possibile, ancora più complesso e confuso.

PROBLEMA: determinare se e quando, in caso di conflitto fra due schieramenti, sia accettabile una certa percentuale di perdite di vite umane al di fuori degli stessi a fronte di un’azione intesa a colpire l’avversario.

Come potete vedere non ho specificato volutamente il ruolo o la posizione degli schieramenti (stato sovrano, organizzazioni più o meno riconosciute, singoli cittadini) né ho parlato di civili innocenti, volendo evitare una parola — innocenti — che ha una connotazione morale e quindi si presta a sterili discussioni che nulla aggiungono al dibattito. Qui non è un problema di innocenza o meno, ma di far parte o meno di uno schieramento, ovvero di essere o meno un combattente all’interno di una delle parti in conflitto.

Dato che uno dei punti nodali del dibattito è quello che vuole il ruolo un elemento distintivo, farò nel proseguo vari esempi cercando di presentarne, per ogni aspetto preso in considerazione, almeno due: uno in cui ad effettuare l’azione militare è un’organizzazione riconosciuta a livello internazionale, come ad esempio uno stato sovrano, ovvero un governo, l’altra in cui abbiamo a che fare con un’organizzazione non riconosciuta o comunque un gruppo di cittadini e persino un singolo.

Permettetemi di distinguere due casi: un’azione militare con conseguenti danni collaterali fra i civili e un’azione diretta intenzionalmente contro gli stessi. Facciamo due esempi per ognuno di questi casi, partendo dal secondo.

Consideriamo il bombardamento di Dresda da parte della Royal Air Force inglese e della United States Army Air Force statunitense, avvenuto fra il 13 e il 15 febbraio 1945. Fu rasa al suolo un’area di 15 chilometri quadrati: 24.866 edifici, dei quali più della metà erano abitazioni civili, furono distrutti su 28.410, fra cui ben 22 ospedali. Da tener presente che la città non ospitava alcun tipo di stabilimento bellico. Fu quindi un’azione intesa, come si disse allora, ad abbattere il morale del nemico, sostanzialmente, per definizione, terroristica. In questo caso i due schieramenti erano gli Alleati e l’Asse, ovvero due coalizioni di governi riconosciuti in una guerra dichiarata.

Altro esempio: l’attacco alle Torri Gemelle avvenuto l’11 settembre del 2001. Anche in questo caso abbiamo un attacco volutamente portato al di fuori dei due schieramenti, ovvero, da una parte al Qaida, l’organizzazione terroristica di Osama bin Laden, dall’altra il governo degli Stati Uniti con a capo George Walker Bush. Le vittime non furono tuttavia militari o dipendenti governativi, se si esclude l’attacco al Pentagono, ma cittadini di vari Paesi, per lo più statunitensi, che lavoravano nel World Trade Center.

Un esempio invece di danni collaterali, sono i cosiddetti attacchi chirurgici con bombe intelligenti. Anche su questa questione il dibatito è aperto perché questo genere di attacchi è stato spesso associato al concetto di morti zero, ovvero di effetti collaterali nulli. Il principio è quello di distruggere un obiettivo militare con un’arma in grado di colpire esattamente quell’obiettivo con una potenza di fuoco proporzionale alle dimensioni dello stesso. Solitamente questo genere di armi ha una precisione del 70% quando sono completamente automatizzate, quasi del 100% se viene mantenuto il puntamento laser fino al momento dell’impatto. Paragonate ai bombardamenti degli americani sulla Germania e sull’Italia nella Seconda Guerra Mondiale o allo sgancio delle atomiche sul Giappone, è indubbio come queste armi effettivamente riducano considerevolmente le perdite fra i civili. Tuttavia tali perdite ci sono comunque, in genere per quattro motivi: il primo è che l’obiettivo militare può essere comunque situato in un edificio civile, tattica a volte usata volutamente sia per occultarlo, sia per indurre l’avversario a non bombardarlo; il secondo è che l’esplosione può colpire edifici vicini o civili che passavano presso il bersaglio; il terzo è che anche questo genere di armi possono sbagliare o essere deviate da contromisure elettroniche; il quarto è che chi ha definito una certa costruzione come bersaglio militare possa essersi sbagliato, ovvero che ci sia stato un errore da parte dell’intelligence. Uno o più di questi elementi possono produrre un numero anche molto elevato di vittime fra i civili e del tutto sproporzionato all’obiettivo identificato. Purtroppo è successo molte volte.

Altro esempio: nella Seconda Guerra Mondiale, i nazisti adottavano la tecnica della rappresaglia come deterrente contro gli attacchi dei partigiani alle istallazioni militari. C’è da tener presente — non tutti lo sanno — che la rappresaglia era ammessa e regolamentata dal diritto internazionale, tant’è che non tutte le rappresaglie furono considerate crimine di guerra, ma solo quelle che violavano una serie di principi. Non entrerò nel dettaglio, dato che la questione è estremamente complessa e tra l’altro ha subito una serie di evoluzioni col passare del tempo. Fatto sta che il partigiano che effettuava un’azione intesa a colpire, ad esempio, una caserma, e a uccidere un certo numero di soldati tedeschi, sapeva a priori che questi avrebbero fucilato dieci abitanti del posto per ogni soldato ucciso. Se l’attacco veniva portato comunque, i civili uccisi rappresentavano quindi un effetto collaterale previsto. Discutere se la responsabilità della loro morte fosse dei tedeschi che adottavano questa discutibile tecnica deterrente o del partigiano che pur sapendolo effettuava lo stesso l’attacco non cambia una cosa: alla fine dei civili venivano uccisi.

A questo punto è fondamentale fare una precisazione. In questa analisi non sto dando alcun giudizio morale, positivo o negativo, sulle scelte fatte. Non sto cioè giustificando o condannando gli uni o gli altri, non perché sia impossibile farlo, ma perché un giudizio dovrebbe essere dato caso per caso valutando tutti i fattori che hanno concorso a un determinato avvenimento. Forse alcuni di voi, a questo punto mi salteranno addosso, dato che, a seconda della vostra convinzione, per voi, al contrario, è evidente chi ha ragione o torto. Personalmente credo che entrambi le parti fossero responsabili, ma il problema è proprio questo: in guerra, non esiste un criterio assoluto per dire ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, perché la guerra porta alla fine tutti a fare le stesse cose e l’unica differenza resta nelle motivazioni di chi le fa. Alla fine, chi vince, ha ovviamente ragione e scrive la storia. È giusto? Non lo so. A volte è facile capire chi siano i cattivi, altre volte no. E poi si può stare dalla parte "sbagliata" per tanti motivi, senza per questo essere dei criminali, così come si può stare da quella "giusta" e fare cose atroci, inaccettabili. Di nuovo, credo che l’unico approccio serio sia giudicare ogni caso a sé stante, evitando di fare di tutte le erbe un fascio e indipendentemente dal giudizio complessivo che comunque è ragionevole dare su ognuno degli schieramenti.

Comunque, qui sta appunto il nodo principale. Siamo in una situazione di conflitto: sarebbe meglio se non lo fossimo, ma non sempre sta a noi poterlo determinare. Da una parte ci siamo noi, dall’altra il nemico. Ovviamente lo stesso vale nel campo opposto. Visto dall’interno, ognuno ritiene di avere i suoi buoni motivi per considerare l’altro un avversario. Poco importa chi ha iniziato e perché, perché un conflitto, a regime, si autosostiene. Ognuno ha visto i propri compagni morire e quindi entrano in gioco sentimenti e comportamenti tali da rendere difficile una valutazione oggettiva del problema dall’interno, almeno per il singolo. Ma la guerra la fanno i singoli più di quanto si possa credere. Fatto sta, che a un certo punto decidiamo di compiere un azione intesa a colpire un avversario. Può essere aggressiva o difensiva, ma di fatto è un attacco, dato che parte da noi. Ad esempio, siamo un gruppo di partigiani che cerca di bloccare una colonna di rifornimenti che avanza, e quindi la nostra è un’azione difensiva contro un occupante. Comunque si tratta di attaccarlo. Credo sia importante evitare qui un equivoco di fondo, ovvero che attacco voglia dire sempre e comunque aggressione. A questo punto, fra le tante cose, dobbiamo valutare i possibili danni collaterali del nostro attacco. E qui iniziano i problemi. Ci rendiamo conto che per avere le maggiori probabilità di successo dobbiamo agire in un modo tale che ci saranno sicuramente vittime fra i civili. D’altra parte, se la colonna raggiunge il fronte, il nemico riceverà munizioni e approvigionamenti che gli daranno un serio vantaggio sul nostro esercito. Che facciamo?

Beh, se noi siamo i partigiani francesi che stanno contrastando l’avanzata dell’esercito nazista, la risposta sembra semplice. Attacchiamo. Loro sono i cattivi e noi i buoni. Ma se a resistere all’avanzata fosse un ipotetico gruppetto di civili tedeschi che stanno cercando di impedire all’esercito russo di attraversare il loro villaggio? La situazione è la stessa, ma la valutazione morale complessiva potrebbe portare a considerare buoni i russi, non i tedeschi. Molti lo farebbero, anche se non tutti i tedeschi erano nazisti e non tutti i nazisti erano dei criminali. Sappiamo bene che, soprattutto verso la fine della guerra, molti erano solo dei ragazzini imbevuti fin da piccoli di principi nazionalistici e insensati e poi sbattuti sul fronte a combattere come carne da macello. Tuttavia, ancora oggi, a distanza di sessant’anni, le ferite sono così profonde, che affermare una cosa del genere in pubblico può tranquillamente essere sufficiente per essere tacciato di essere un fascista. E se questo succede oggi, pensate come dovevano essere gli animi sessant’anni fa! La guerra, lo scontro, porta a sentimenti tali da non riuscire più a fare distinzioni in campo avversario, e così anche il civile, se appartiene al Paese nemico, è un nemico da abbattere, la sua morte una perdita accettabile. Così ragionavano i piloti americani che gettavano le bombe su Dresda, così ragiona il kamikaze che si fa saltare a un posto di blocco israeliano. Addirittura, il kamikaze islamico, considera accettabile persino la morte di civili del suo stesso popolo, se questo porta alla morte dell’odiato nemico. In pratica, sono una sorta di martiri non volontari.

Ecco allora come nascono i danni collaterali: si giustificano quelle morti a fronte di un principio superiore. Gettiamo l’atomica su Hiroshima perché non farlo allungherebbe i tempi della guerra e provocherebbe più morti. Colpiamo quell’ospedale perché comunque dentro si è installata una centrale terroristica di Al Quaida. Il guaio è che spesso queste affermazioni sono vere. A volte però non lo sono, o comunque non lo si può sapere sempre a priori, per cui lo si scopre solo dopo. La scelta è spesso su base probabilistica o su informazioni solo parzialmente attendibili. Dove posizionare la soglia? Su che valore? 10%? 50%? 90%? Una cosa è sicura: il 100% non esiste. Troppo facile. Comunque, anche potessimo avere la sicurezza totale, è giusto secondo voi decidere di uccidere, ad esempio, mille civili dalla parte del nemico per salvare uno, cento o centomila dalla nostra? L’aritmetica con le vite umane è una scienza dolorosa e discutibile.

Mi spiace. Probabilmente leggendo queste parole, alcuni di voi mi avranno considerato un bastardo o un pazzo, qualcuno avrà cercato di darmi a tutti i costi una connotazione, che so, revisionista, fascista, comunista, o qualcos’altro, altri, spero, mi avranno trovato ragionevole e moderato, a seconda di quello in cui credete, tutti, probabilmente vi sarete aspettati una qualche conclusione.

Devo deludervi. Non c’è alcuna conclusione. Non ho alcuna risposta, alcuna soluzione. Non so se c’è, ma io non ce l’ho. Ho cercato solo di chiarirmi le idee, di comprendere meglio il problema. Forse l’ho fatto, forse l’ho reso ancora più confuso e, forse, il mio obiettivo era proprio quello: instillare il dubbio nelle convinzioni, aprire uno spiraglio nelle certezze, far comprendere come giudicare i comportamenti in un conflitto non sia poi così semplice, soprattutto se il conflitto lo si vive da lontano o a distanza di anni. D’altra parte, chi lo vive, non riesce ad averne una visione obiettiva essendone troppo coinvolto.

Le guerre non dovrebbero esserci, ma ci sono. Molte nascono per interessi politici ed economici di gruppi di potere, non necessariamente governi, ma nessuno di noi si può dire innocente a riguardo. Non il "pacifista" che per protestare contro la guerra usa la violenza durante le manifestazioni e distrugge auto e vetrine a caso, ma neppure quello tutto amore e pace, che sfila mentre dall’altra parte dell’Adriatico qualcuno sta sterminando donne e bambini in lager che non hanno nulla da invidiare a quelli nazisti.

La violenza esiste e tutti noi siamo pronti a usarla. Una mamma o un papà potrebbero uccidere per proteggere una figlia da una banda di violentatori, un uomo o una donna potrebbero combattere per difendere un valore in cui credono in modo assoluto, come la libertà da una truppa di occupazione. Ognuno di noi, salvo forse poche persone veramente speciali, come lo era Gandhi, sono capaci di arrivare al sacrificio di sé e delle persone che amano pur di non usare la violenza. Io, onestamente, non ne sarei capace. Non so voi.

Il guaio è, che quando si usa la violenza, non possiamo mai avere la certezza assoluta di non coinvolgere qualcuno che non c’entra niente con il nostro conflitto. E qualche volta potremmo trovarci a decidere che è necessario farlo. Siete il pilota di un aereo e state per atterrare a Fiumicino. Un terrorista di Al Quaed vi punta la pistola alla nuca e vi dice di dirigervi su Roma. Capite subito che lui non sa pilotare, ma anche che se vi porterà sulla città, potrebbe spararvi e far precipitare l’aereo, che so, sul Vaticano, magari in un’ora in cui è pieno di turisti. Avete una sola possibilità. Siete ancora sul Tirreno: potete virare e puntare verso il largo, in modo che anche se vi spara l’aereo precipiterà in mare, uccidendo così però 300 persone, fra cui molti bambini. Che fate? Beh, spero che nessuno si noi debba un giorno fare una scelta del genere.

A che scopo allora scrivere questo articolo? Beh, a questa domanda posso rispondere. Vorrei che dopo averlo letto lo teneste a mente tutte le volte che vi viene voglia di fare a fettine qualcuno che non la pensa come voi sulla questione in un forum o in una discussione. Ribadite pure la vostra posizione con fermezza, se ci credete, ma sforzatevi anche di capire che nessuna posizione è completamente sbagliata né completamente giusta in questo genere di discussioni, perché le situazioni sono così tante e così complesse che come si cerca di generalizzare si fa torto ad almeno una di esse. Alla fine, in una guerra, ognuno di noi deve fare i conti con la propria coscienza, e forse l’unica verità è che, per quanto si sia stati coerenti e convinti, il bilancio è sempre disastrosamente negativo.

Commenti (9) a «Danni collaterali»

  1. _moreno_ ha detto:

    Mi spiace ma non sono d’accordo su nulla. Partiamo da due punti di vista opposti. Tu dici che è giustificato uccidere per salvare altre vite io non lo accetto. Per nessun motivo. E chi lancia i missili contro obiettivi “mirati” sapendo di fare anche vittime civili è un terrorista. Ed è un terrorista chi gli ha ordinato di farlo. Allo stesso modo dei kamikaze assassini che si fanno saltare tra la folla.

    NB. Pacifisti (virgolettati e corsivati) violenti e che spaccano tutto io non ne conosco, dove li hai visti ?

  2. Dario de Judicibus ha detto:

    Caro Moreno, io non ho detto che sia giustificato uccidere per salvare delle vite. Ho detto qualcosa di diverso e cioè che in guerra, o anche in pace, ci si può trovare a dover scegliere fra due opzioni, ognuna delle quali comporta perdite di vite umane. Può succedere a chiunque. In questi casi non esiste una logica assoluta per decidere, perché l’opzione di non prendere alcuna decisione, alla Ponzio Pilato, porterebbe comunque alla morte di molte persone. Ti faccio solo un esempio. Durante la guerra nella ex-Yugoslavia, vennero messi in piedi dei campi di concentramento per la pulizia etnica dove le donne venivano spesso stuprate e i ragazzi sgozzati come maiali. Ne morirono a centinaia. L’occidente lo sapeva e ha preferito, sull’argomento, usare la carta della diplomazia. Qui a Roma, in quei giorni, sfilavano le marce dei pacifisti che affermavano come fosse l’unica opzione. Per i serbi fu un’occasione unica: dato che tale opzione non fu subordinata alla cessazione di ogni attività di pulizia etnica, peraltro ufficialmente mai ammessa, ogni giorno di negoziati volle dire diverse decine di bosniaci in meno. In fondo erano solo dei musulmani, mentre i croati erano cattolici e i serbi ortodossi. Alla fine furono migliaia e migliaia gli uomini, le donne e i bambini massacrati. Molte donne furono uccise perché erano incinta di bosniaci, con metodi analoghi a quelli usati dalla guerriglia in molti Paesi africani.

    Mi ricordo ancora di una ragazza con cui ho cominicato un paio di volte via Internet, prima che la linea venisse interrotta, e che abitava nella capitale Bosniaca. Aveva visto le sfilate dei pacifisti italiani alla TV via satellite da un amico. Era terrorizzata. La notte erano venuti a prendere il fratello. Lei non era in casa. Mi diceva: ma quando intervenite? Perché non ci venite ad aiutare? Di quale pace state parlando: qui ci massacrano! Non ne ho più saputo nulla. So solo che molte come lei vennero prese da casa nel cuore della notte e violentate per giorni prima di essere uccise e buttate in una fossa comune. Per quelle persone la pace non era un’opzione, era la morte.

    In quanto alla tua domanda finale, ho conosciuto diversi no global che si dicevano pacifisti nei confronti delle guerre imperaliste ma che, al contempo, promuovevano la violenza contro gli sporchi capitalisti quale legittimo strumento di lotta. Tu mi dirai: quelli non sono veri pacifisti. Posso essere d’accordo, ma allora dobbiamo meglio definire chi è pacifista e chi non lo è fra quelli che affermano di esserlo. E comunque, il caso di quella ragazza, della quale purtroppo non ricordo il nome — iniziava con M, qualcosa tipo Michela in slavo o simile — dimostra che per fare una guerra non è necessario essere in due: ne basta uno, e quell’uno non avrà scrupoli ad approfittare di ogni occasione che gli sarà fornita da chi ama la pace e dalle persone di buona volontà e buona fede, per fare il comodo suo il più a lungo possibile. E quando il comodo suo significa massacrare civili innocenti, allora ad esserne responsabile è anche chi non ha avuto il coraggio di intervenire, anche se questo volesse dire combattere. Perché c’è un tempo per la pace e uno per combattere, quando combattere è l’unico modo di avere veramente la pace. In fondo si dice, e la cosa non mi stupisce più di tanto, che i vertici Alleati sapessero benissimo cosa Hitler stesse facendo agli ebrei nei lager nazisti, ma la cosa non fu mai resa pubblica in quanto non opportuno. Ricorderai, immagino, che gli Stati Uniti entrarono in guerra nel 1941, ma i primi lager sono del 1938 e le prime deportazioni dai vari Paesi occupati del 1940. Analogamente, durante l’occupazione dell’Afghanistan da parte dei Russi, un coraggioso freelance italiano fece pervenire, sacrificando la sua vita, un video ad alcune reti locali in Italia. Il video mostrava gli orrori di quella guerra, ma in quel periodo le nazioni occidentali non avevano convenienza a creare incidenti diplomatici con la Russia con la quale si prospettavano interessanti accordi commerciali. Così, dopo essere stata trasmessa da una rete locale in Toscana, la cassetta fu censurata e solo una piccola parte fu trasmessa dalla RAI, tempo dopo. Nessuno si ricorda più di quel ragazzo e io — me ne dispiace immensamente — non ne ricordo più il nome. A quell’epoca non c’era Internet e neppure i PC. Non ho più le carte su cui mi ero scritto la sua storia, perse in un trasloco con altra roba. Allora abitavo a Firenze. Quel giovane ha perso la vita per farci arrivare quel nastro. Io credo più in persone del genere che nel pacifista che sfila per i Fori Imperiali, tranquillo di potersene tornare a casa la sera a vedere la partita. Troppo facile.

  3. _moreno_ ha detto:

    Ciao dejudicibus, grazie per le tue precisazioni. Aggiungo solo che il mio discorso era circoscritto alle “esecuzioni mirate” di Bush, imitato da Sharon (oppure di Sharon imitato da Bush). Non entro nei meriti della ex-yugoslavia, della cecenia, della seconda guerra mondiale, dei partigiani e via dicendo; sennò il discorso non finisce più. Il post iniziale sulla torre, da cui è nata la discussione, parlava dell’ultimo massacro, ultimo di una lunga serie, perpetrato da Bush. Io mi limito a dire che chi lancia bombe su obiettivi civili, e ne abbiamo avuti numerosi esempi, per colpire “forse” dei nemici facendo una carneficina di uomini, donne e bambibi è un terrorista. Scusami, forse sbaglio, ma questa è la mia convinzione. E credo anche che non sia vero che uccidendo in questo modo dei nemici diminuisca il terrorismo nel mondo, anzi, credo proprio l’opposto. E questo è dimostratro, purtroppo, dalla escalation degli attentati terroristici di kamikaze o autobombe degli ultimi anni. L’america forse crede di aver esportato la democrazia ma sicuramente che per ora ha importato solo terrorismo: in tutto il mondo.

    Quando mai nella storia siamo vissuti in questo clima di paura e di angoscia di saltare per aria da un giorno all’altro ? E tutto questo grazie a Bush e agli sciagurati che l’hanno seguito. Spero di sbagliarmi, ma io sono molto ma molto pessimista per il futuro del mondo, stando così le cose.

    Per quanto riguarda i pacifisti io la metterei così : sono pacifisti tutti quelli che rifiutano la violenza, in primo luogo durante le manifestazioni. Io sono uno di questi.

  4. Dario de Judicibus ha detto:

    Caro moreno, credo che alla fine possiamo dire che almeno sul primo punto ci sia una convergenza di vedute. Infatti io ho solo preso spunto da quel massacro per introdurre il discorso dei danni collaterali, ma poi ho più o meno concluso, ammesso che tale possa essere considerata la mia, che ogni caso va valutato a sé stante, che è poi quello che fai tu quando condanni Bush e Sharon. E in questo, nonostante ritenga un orrore sia l’11 settembre che i tanti morti israeliani a causa dei kamikaze, sono completamente d’accordo con te. Quello che sta facendo Bush è sbagliato, non perché sia sbagliato fare qualcosa, ma per il modo in cui lo fa, così come non posso accettare le forme di repressione degli israeliani sui palestinesi, vere e proprie vendette trasversali stile Mafia, che colpiscono parenti ed amici secondo una logica che non esiterei a definire terroristica.

  5. Dario de Judicibus ha detto:

    Ho ascoltato cinque minuti fa un servizio della CNN riguardo l’attacco americano sul Pakistan che ha portato alla morte di 18 civili.

    Nel servizio non c’era il minimo accenno a una seppure remota assunzione di responsabilità da parte degli americani dell’errore, ma si parlava semplicemente della necessità di migliorare l’intelligence. Le proteste di piazza pachistane, che hanno visto maggioranza e opposizione schierate insieme, venivano liquidate semplicemente come un potenziale indebolimento politico del Presidente pachistano, una situazione nella quale tuttavia si era già trovato quando aveva annunciato il suo sostegno al governo di Bush nella lotta al terrorismo. Come ha dire: ce l’ha fatta una volta, supererà anche questa. Persino l’errore in sé, seppure ammesso, è stato per tutto il servizio attenuato dal continuo uso del condizionale, quasi a voler lasciare intendere che forse Al Zawahiri era veramente in quel villaggio, che forse le vittime erano veramente tutte civili, che forse la CIA si era sbagliata ancora una volta.

    Ormai anche l’ultimo mito americano, quello di media veramente indipendenti dal potere politico è caduto, forse per sempre. Anche se un giorno, infatti, qualcuno sostituirà Bush, qualcuno magari più moderato, intelligente e maturo, come potrà resistere con questi precedenti a mantenere un certo livello di controllo sull’informazione?

  6. ultimo86 ha detto:

    Ho letto tante cose sull’11 settembre, ma andate un po’ qui: http://www.luogocomune.net

    Potreste scoprire cose davvero interessanti…

  7. Dario de Judicibus ha detto:

    Ho letto con attenzione TUTTO il sito da te segnalato e devo dire di essere rimasto abbastanza impressionato. Io, personalmente, sono sempre piuttosto prudente davanti all’ipotesi di complotto, soprattutto in casi così complessi, e d’altra parte, prima di esprimere un giudizio vorrei vedere una risposta altrettanto dettagliata ai vari quesiti posti dal sito e alle prove e argomentazioni pubblicate.

    Resta il fatto che ci sono alcune questioni, come la mancanza di detriti significativi dell’aereo che ha colpito il Pentagono, il fatto che gran parte della facciata fosse ancora in piedi e il piccolo foro d’uscita, che meritano un approfondimento. Stessa cosa per il crollo delle Torri Gemelle e, soprattutto, dell’edificio 7.

    Non so cosa pensare, ma sicuramente la questione è più complessa di quello che sembra e qualcuno dovrebbe ragionarci sopra.

  8. ultimo86 ha detto:

    Ho letto solo ora il messaggio che mi hai inviato tramite splinder… sai nn lo uso molto. Quindi se ti dovesse capitare di volermi contattare puoi lasciarmi un messaggio sul mio blog: http://ultimo86.ilcannocchiale.it oppure puoi scrivermi a evergreen2002@tin.it. Ciao.

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