Scusi, che ne pensa?



Non so come la pensiate voi, ma per me l’obiettivo principale di un servizio giornalistico dovrebbe essere quello di fare informazione, ovvero di fornire all’opinione pubblica una serie di fatti, di informazioni, appunto, eventualmente corredata da opinioni da parte di esperti, possibilmente ben distinte all’interno del servizio da quelli che sono i fatti veri e propri.

Spesso, tuttavia, mi capita di vedere servizi nei quali l’elemento portante sono le cosiddette interviste da strada, ovvero quelle interviste nelle quali si ferma la gente per strada e si spara loro una domanda a bruciapelo: «Cosa ne pensa di… ?», «Secondo lei… ?», «È d’accordo su… ?» e via dicendo.

Niente di male, in linea di principio, ma… dov’è esattamente qui l’informazione? Allora, vediamo di ragionarci sopra: prendo un tizio per strada e gli faccio la classica domanda da un milione di euro. Va bene, e allora? Che Tizia o Caio la pensino in una certa maniera mi sta bene, in un certo senso è un fatto, ma quale significatività può avere? Massimo rispetto per l’opinione di ciascuno, ma la persona agganciata al volo non è in genere un esperto e quindi la sua opinione vale quanto la mia o quella di chiunque altro, né d’altra parte viene fornito alcun motivo per ritenerla rappresentativa di un certa fascia sociale, di un’etnia o di una popolazione specifica, dato che il campione è ridicolmente basso — due, tre interviste per servizio. E allora?

Eppure, nei vari servizi, non è difficile accorgersi di come, a esclusione di un singolo bastiancontrario messo lì a dimostrare la correttezza politica dell’intervistatore, le risposte tendano sempre a indicare un pensiero ben definito, a sostenere una certa tesi piuttosto che un’altra. Il che potrebbe avere un senso se il giornalista avesse passato l’intera giornata a intervistare gente, e dopo aver fatto quella specifica domanda a un paio di migliaia di persone, ne avesse tratto un’evidenza statisticamente accettabile e avesse poi scelto per il servizio due o tre interviste rappresentative di tale evidenza.

Se c’è qualcuno che pensa che le cose vadano in questo modo alzi la mano. Uhm? Nessuno? Sicuri…? E allora a cosa servono quei servizi, se non c’è alcun motivo per poter ritenere che la tesi riportata corrisponda effettivamente all’opinione media dell’uomo o della donna della strada? Beh, a questo punto mi sembra evidente: serve a sostenere quella specifica tesi. Ma se essa non è originata da un’evidenza statistica, allora da dove nasce, chi l’ha postulata? Il giornalista? Il direttore del telegiornale? O qualcun altro?

Bella domanda… Lascio a voi la risposta.

Commenti (2) a «Scusi, che ne pensa?»

  1. Tricolor ha detto:

    Il semplice fatto di possedere un cervello funzionante implica una presa di posizione o, in altri termini, uno schieramento. Metti un servizio riguardante il vino, ad esempio. Dove si fanno le interviste: presso un noto produttore con tanto di sommelier internazionale o presso le riunioni dell’anonima alcoolisti? Entrambi, a modo loro, sono degli esperti in materia dcon tanto di evidenze statistiche.

    Complimenti per il blog.

  2. Dario de Judicibus ha detto:

    Indubbiamente anche la scelta degli esperti può orientare un servizio, tuttavia è sempre possibile, se a qualcuno interessa, verificare se l’esperto ha detto sciocchezze o meno. Il metodo delle interviste da strada, invece, ha il grande vantaggio di non poter essere verificato.

    In pratica, se chiedo a un esperto di economia quale sia stato l’impatto dell’euro sull’economia italiana, qualunque cosa dica potrebbe essere confutata da altri esperti, e magari anche da qualcuno che di economia ne capisce un po’. Ben altra cosa che presentare quattro interviste a caso in cui quattro tizi anonimi affermano che se oggi l’economia italiana è allo sfascio è tutta colpa dell’eurro e voler far credere così che la maggioranza degli italiani lo pensa davvero (spero di no, perché è una delle più grosse balle del secolo).

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