Dell’omosessualità e della genitorialità



Da diversi mesi il dibattito sulle coppie di fatto e sul matrimonio fra omosessuali si è fatto sempre più accesso. Da una parte e dall’altra si portano argomentazioni a favore o a sfavore dell’una o dell’altra tesi: è giusto, è sbagliato, si deve permettere, deve essere equiparato al matrimonio tradizionale?

Fra i tanti argomenti trattati nel dibattito c’è quello dell’eventualità che una coppia omosessuale possa crescere dei figli, naturali o adottivi a seconda dei casi. L’opinione di molti, forse della maggioranza, è che se anche si desse la possibilità alle coppie omosessuali di formalizzare in un qualche modo la loro unione, non si dovrebbe permettere loro di allevare dei bambini dato che rappresenterebbero un «modello sbagliato» per loro. Qualcuno si limita a portare questa argomentazione per contrastare la possibilità che le coppie omosessuali possano avere in affidamento dei minori, altri vorrebbero esteso l’obbligo pure ai figli naturali. C’è chi addirittura parla di sterilizzazione. Pochi, pochissimi, accetterebbero che una coppia di omosessuali allevi dei figli e ancora meno sono quelli che lo accetterebbero per una coppia di maschi, secondo un pregiudizio molto comune che un genitore di sesso femminile sia migliore solo in quanto femmina, appunto.

E se provassimo ad affrontare la cosa in modo un po’ più razionale, evitando di farci condizionare da qualche millennio di storia e di pregiudizi?

Iniziamo con l’individuare la condizione veramente fondamentale affinché un adulto possa essere considerato idoneo a crescere dei bambini: la genitorialità. Essere un genitore vuol dire molte cose, non tutte facilmente inquadrabili in un modello razionale. Alcuni punti fissi tuttavia possono essere identificati. Diciamo subito che l’elemento più importante in un rapporto genitoriale è l’amore, un amore assoluto, del tutto indipendente dal fatto che venga ricambiato o meno. Un vero genitore ama sempre e comunque i propri figli, qualunque cosa essi facciano o siano diventati. Il genitore che pretende amore per il fatto di averne dato non ha compreso l’unicità del rapporto affettivo fra genitori e figli, così diverso da quello che esiste fra adulti e che, per sua natura, è fortemente basato sulla reciprocità, non solo per quello che riguarda il lato affettivo, ma anche e soprattutto per quanto concerne la fiducia e il rispetto. Non solo: mentre il rapporto d’amore fra adulti tende comunque ad essere in una qualche misura possessivo, persino là dove viene stabilita una certa flessibilità sul piano sessuale, quello fra genitore e figli non può esserlo. Un buon genitore non può e non deve essere geloso dei rapporti affettivi che inevitabilmente e giustamente i figli cominceranno a stabilire con altre persone, non solo della loro età, ma anche di una generazione più giovane o più vecchia. Rapporti di ogni genere, dall’amicizia all’amore sensuale, dal rapporto occasionale a quello stabile che potrebbe poi a sua volta sfociare in una qualche forma di unione.

È abbastanza evidente che l’orientamento sessuale del genitore, a questo punto, abbia ben poco a che vedere con la capacità di amare i propri figli. Che uno sia omosessuale o eterosessuale, a priori, non ha alcun influsso sullo stabilire quel complesso e impegnativo rapporto affettivo che si stabilisce solo fra genitori e figli, proprio perché così differente da quello che invece si crea e si sviluppa fra adulti. In effetti, questo tipo di rapporto è così difficile da impostare e gestire che non sono poi tanti quelli che ci riescono, e questo indipendentemente dal fatto di rappresentare la tradizionale famiglia uomo-donna-bambini. L’omosessualità, in tutto ciò, non è né un fattore facilitante né un fattore ostacolante e, di conseguenza, è del tutto ininfluente.

Un’altra caratteristica della genitorialità è quella di definire una scala di valori nella quale le priorità dei figli abbiano una prevalenza su quelle dei genitori. Non stiamo parlando del sacrificio a tutti i costi, del mettere sempre e comunque i figli prima di noi stessi. Un buon genitore sa bilanciare le proprie esigenze con quelle dei figli e del partner in modo da rispettare se stesso e mantenere così un buon equilibrio psicologico. Tuttavia, sa anche rinunciare alle proprie esigenze quando valuta che soddisfare quelle dei figli è più o ugualmente — e qui è la chiave — importante. Che un genitore possa sacrificare la vita per i propri figli è un fatto noto, ma un buon genitore sa sacrificare anche un proprio desiderio, la propria carriera lavorativa, il proprio tempo libero pur di dare ai propri figli quello di cui hanno bisogno: affetto, attenzione, condivisione, solidarietà, rispetto.

Anche in questo caso l’essere omosessuale ha ben poca rilevanza, anzi, punto. In effetti questa capacità di mettere i figli prima di se stessi, non ha alcuna relazione con l’orientamento sessuale. Essere eterosessuali non dà alcun vantaggio in tal senso. Si tratta di qualcosa che è difficile per tutti e sulla quale tutti, ogni tanto, commettiamo degli errori. Il più classico è desiderare che i figli diventino in qualche modo uguali a noi, o abbiano le nostre stesse passioni, o ancor peggio facciano qualcosa che noi desideravamo e non siamo riusciti a fare. È estremamente difficile, ma anche altrettanto importante per i genitori, capire come i propri figli siano degli individui differenti da loro, con il proprio carattere, le proprie attitudini e capacità, i propri desideri e bisogni, a volte lontani anni luce da quelli che erano i loro di sogni. Rispettare l’essere un individuo differente è una delle sfide più difficili per un genitore, e anche in questo caso non è che l’essere eterosessuale aiuti, anzi, se il figlio presenta una propensione all’omosessualità, questo spesso scatena vere e proprie tragedie in famiglia, mentre un omosessuale ha più facilità ad accettare un figlio eterosessuale. Semmai, quindi, in questo specifico caso sarebbe proprio l’omosessuale a partire avvantaggiato. D’altra parte, solo chi è stato discriminato può meglio accettare il rispetto per la differenza, non solo sul piano dell’orientamento sessuale, ma in qualsiasi ambito: religione, stile di vita, scelte nel campo lavorativo e delle relazioni interpresonali.

E veniamo al terzo punto: le cure parentali. In genere molti pensano che questo punto sia il primo da mettere nella lista, dato che è oggettivamente importante. Eppure, per quanto fondamentale, esso ha ben poco senso senza i primi due. Purtroppo questo modo di pensare non è molto diffuso, tant’è che nelle cause di affidamento dei minori in caso di separazione e divorzio i giudici non riescono a interpretare l’interesse del minore se non in chiave economica, ignorando del tutto gli aspetti affettivi e di disponibilità e spirito di sacrificio che invece sono importantissimi per l’equilibrio psicologico del minore. Il risultato sono sentenze che penalizzano per primo proprio quest’ultimo, spesso rendendolo praticamente orfano di uno dei due genitori, nella maggior parte dei casi, il padre.

Ad ogni modo, avere cura dei propri figli sul piano della salute, dell’alimentazione, dell’igiene, dell’educazione, dell’istruzione, della forma fisica e dell’equilibrio psicologico è estremamente importante. Mentre tuttavia i primi cinque punti richiedono solo una certa cultura di base e una certa disponibilità economica, l’ultimo punto richiede soprattutto capacità individuali nel gestire un rapporto che varia nel tempo, spesso troppo velocemente perché il genitore riesca a starci dietro. Certo, anche i prime cinque punti non sono banali. Sono moltissimi i genitori che non sanno gestire nel modo corretto salute, alimentazione e igiene, vuoi per ignoranza personale, vuoi per pregiudizi culturali. Basti pensare ai danni gravissimi fatti a molti bambini da genitori convinti di poterli curare con l’omeopatia anche a fronte di gravi disfunzioni fisiologiche. Tuttavia, quello che non si sa si può imparare e la nostra società ci fornisce sempre di più strumenti di ogni tipo perché il genitore cosciente e responsabile possa apprendere come gestire al meglio i propri figli sul piano fisico. E questo vale tanto per i genitori eterosessuali che per quelli omosessuali.

Per quello che riguarda il piano mentale, ovvero l’istruzione, la scuola dell’obbligo garantisce comunque un certo livello di cultura anche quando i genitori non sono in grado provvedere a loro volta a dare ai propri figli un’istruzione di base. Basti pensare ai tanti figli di italiani immigrati negli Stati Uniti che, pur essendo spesso analfabeti o dotati di un livello di istruzione molto basso, riuscirono a far studiare i figli con tanti sacrifici e a fare della comunità italiana una delle realtà portanti di quel paese. Anche qui l’omosessualità non rappresenta un handicap. Semmai lo rappresenta l’ignoranza e il pregiudizio, l’analfabetismo scientifico, una sottocultura che parte dall’oroscopo per arrivare alla magia e che si lascia abbindolare da ciarlatani ed imbroglioni.

Sul piano comportamentale, ovvero su quello educativo, la sfida consiste soprattutto nel dimostrare coerenza e flessibilità. Quello educativo è il piano più complesso per un genitore, se escludiamo quello psicologico, ovvero affettivo. Mentre per quest’ultimo, tuttavia, sensibilità e amore possono compensare ignoranza e inesperienza, sul piano educativo il genitore ha, se vuole, gli strumenti per imparare come comportarsi. Il problema è che i propri principi, i propri credi, spesso sono così importanti per un genitore che fanno dimenticare che non spetta a lui decidere per i suoi figli come sarà la loro vita. Non sono i genitori che devono stabilire in cosa i figli possono e devono credere. Un genitore può solo presentar loro delle scelte, guidarli, consigliarli e soprattutto dimostrare loro con l’esempio quali sono state o quali sono tuttora le sue, non perché essi facciano altrettanto, ma perché scelgano un proprio cammino e in esso dimostrino altrettanta determinazione e coerenza. In pratica un genitore non può stabilire cosa sia giusto o sbagliato per i propri figli, ma può dir loro cosa egli pensa essere giusto o sbagliato. Quando sono piccoli può anche, e deve, ovviamente, scegliere per loro, ma man mano che crescono, tale scelta deve diventare sempre più una loro responsabilità, accettandone in tutto e per tutto le conseguenze. Quello che tuttavia un genitore può fare è insegnare ai figli come fare una scelta, dare loro un metodo, un modo di ragionare, insegnare loro la coerenza e la determinazione, la capacità di assumersi responsabilità e di lottare per i principi in cui si crede e per le persone che si amano. Dare loro insomma non la soluzione, ma gli strumenti per trovarla, anche se questa probabilmente sarà differente da quella che avrebbe trovato lui. In tutto ciò l’essere omosessuale può essere d’aiuto, perché vivere l’omosessualità apertamente in una società che l’emargina, rende più forti, più maturi.

Qualcuno magari pensa che oramai l’omosessualità sia stata accettata a tal punto nella nostra società da essere diventata persino di moda. Non fatevi ingannare dai vari gay pride e dai tanti spettacoli politicamente corretti che parlano di omosessualità. Essere omosessuali non vuol dire vestirsi in modo strano o mostrare comportamenti provocatori. L’omosessualità sarà veramente accettata in questa società solo quando non sarà più vestita di pelle e di borchie, ma di giacca e cravatta, quando ad essere omosessuale potrà essere il nostro capo in ufficio, o il dentista, o la dottoressa che cura i nostri figli, senza che questo crei imbarazzo a noi eterosessuali o a loro. In effetti essere orgogliosi di essere omosessuali è altrettanto senza senso quanto vergognarsene. È come essere orgogliosi di essere alti o di avere gli occhi neri. Si dovrebbe essere orgogliosi di ciò che dipende da noi, non di quello che si è. Quello che siamo va semplicemente accettato. Teniamo l’orgoglio per ciò che facciamo, per le persone che aiutiamo, per le buone azioni, per i nostri successi. Il fatto che ci piacciano le donne o gli uomini, che preferiamo la pasta e fagioli o l’aragosta è solo parte della nostra natura, né motivo di orgoglio né di vergogna. Le nostre azioni sono ciò che ci deve invece far riflettere e chiederci se ne dobbiamo essere orgogliosi o meno.

Un ultima considerazione. Fermo il punto che l’essere omosessuale non dà particolari vantaggi o svantaggi nel dimostrarsi idonei alla genitorialità, qualcuno si pone il problema che un modello genitoriale omosessuale possa influenzare in tal senso anche i figli. In realtà questo pericolo non esiste. Esiste quello semmai, paventato da molti, che si scopra che in fondo di omosessuali ce ne sono più di quanti sembri e che l’omosessualità in natura è molto più comune di quanto generalmente si creda. In realtà l’omosessualità non è innaturale. Esiste anche fra gli animali, soprattutto i mammiferi più evoluti (canidi, felini, cetacei, ecc..) e i primati. Semmai è oggi che il modello eterosessuale tende a reprimere la tendenza all’omosessualità di molti bambini, quasi che si trattasse di una malattia da eliminare, con conseguenze disastrose sulla loro psiche. Studi scientifici hanno dimostrato che l’omosessualità è una caratteristica individuale, che non viene influenzata dal modello genitoriale, tanto che ci sono moltissimi eterosessuali cresciuti da genitori omosessuali senza che questo abbia creato loro alcun problema sul piano relazionale. Semmai ha dato loro un’apertura mentale che pochi hanno, ma forse è proprio questo quello che non si vuole…

Commenti (13) a «Dell’omosessualità e della genitorialità»

  1. UltimaChance ha detto:

    Vorrei poter ricordare il suo atto d’accusa come una pagina per me fondamentale nella mia lotta di padre, ora devo affrontare altri drammi e le forze mi stanno abbandonando.

    Ho visto il suo blog e il post sul forum dello Pseudo Psicologo Scaparro vorrei solo essere sicuro che lei non considera ora le femministe e i gay come innocenti vittime della società e titolari di diritti senza doveri proprio nei confronti di padri come lei ( e forse come come me .. ma lei non conosce la mia tragedia)

    Spero lei si faccia vivo in qualche forma e mi permetta di mantenere una immagine di lei come paladino della paternità demolita e insultata.

    Grazie

    Luigi Lombardo

    “J’accuse…” – L’atto di accusa di un padre

    (di Dario De Judicibus)

    Oggi, 17 Marzo 1999, ascoltando il telegiornale della sera, apprendo la notizia che il Governo Italiano ha deciso di sovvenzionare una campagna promozionale intesa ad invitare i padri a stare più tempo insieme ai loro figli. Ebbene, non potete immaginare la rabbia che mi ha preso nel vedere quello stesso Stato che con insensibilità criminale mi aveva strappato la figlia di soli quattro anni per trasformarmi in un padre ad ore, avendo come unico delitto commesso quello di amare troppo il mio cucciolo per scatenare una guerra con mia moglie, ergersi a paladino dei sentimenti e promuovere ipocritamente una campagna chiaramente motivata da considerazioni di carattere elettorale e non certo da una reale attenzione a quelli che sono i problemi della famiglia. Di fronte a tanta ipocrisia non posso più tacere e quindi, pur continuando a prestare la massima attenzione a non coinvolgere una creatura innocente e dolcissima in un massacro all’ultimo sangue, intendo accusare pubblicamente lo Stato Italiano e le sue Istituzioni, prima fra tutte la Magistratura, di operare deliberatamente e senza alcuna remora alla distruzione di quella che è la base di ogni stato civile e democratico: la famiglia.

    IO ACCUSO

    la Magistratura Italiana, ed in particolare i giudici che si occupano di separazioni, di violare sistematicamente i diritti costituzionali dei genitori di sesso maschile, sulla base di una filosofia discriminante e sessista che relega il padre a puro elemento di sostegno economico alla famiglia, negandogli un ruolo affettivo ed educativo che viene pregiudizievolmente associato esclusivamente alla madre. Tale comportamento è una diretta conseguenza di una mentalità che affonda le sue radici nel maschilismo, superficialmente considerato discriminatorio nei confronti delle sole donne, ma in realtà rappresentativo di una cultura superficiale ed arrogante che assegna a maschi e femmine ruoli rigidi e comportamenti ben definiti, emarginando tutti coloro che a tali imposizioni non intendono sottostare. Non solo lo Stato non facilita in alcun modo coloro che hanno deciso di costruirsi una famiglia, ostacolandoli anzi in tutti i modi possibili sia economicamente che socialmente, ma rende addirittura estremamente semplice distruggere in pochi mesi quanto costruito in anni di sacrifici e di amore alimentando nel contempo un vero e proprio mercato delle vacche in cui avvocati senza scrupoli si ingrassano sulla pelle di decine di migliaia di bambini innocenti forti dell’assoluto abbandono in cui sono lasciate le famiglie in difficoltà. I pregiudizi e l’incompetenza di chi, senza alcuna specifica preparazione in psicologia o pedagogia, prende decisioni che segneranno per sempre la vita di altre persone, fan sì che in oltre il 98% dei casi i figli vengano affidati alla madre, la quale viene così a trovarsi in una posizione di forza che le permette di fatto di mettere sotto ricatto l’altro genitore, costringendolo molte volte ad accordi cosiddetti “consensuali” che sono spesso vere e proprie farse se non addirittura atti vergognosi ed irrispettosi dei diritti più elementari di un uomo e di un padre. Solo la maturità di molte donne e il senso morale e civile di molte madri evita che tale ricatto diventi una vera e propria istituzione, quasi un’estorsione legalizzata, a cui il padre non ha alcun modo di sottrarsi. Purtroppo non sempre questo avviene. Quella stessa magistratura che dichiara, in una parodia di civiltà e democrazia il diritto dei nonni a poter vedere i nipotini anche tutti i giorni dopo la separazione, obbliga viceversa proprio il padre a sottostare a regole ed orari che ledono la dignità umana e feriscono profondamente quel legame unico e meraviglioso che un genitore instaura con i propri figli. Questa situazione è ancor più vergognosa se si pensa che la legge attuale, dimostrazione comunque di ignoranza e superficialità da parte di legislatori più attenti a garantire privilegi e vantaggi per sé e per il proprio partito che a lavorare seriamente per sostenere i diritti dei cittadini e salvaguardare i più deboli, non opera esplicitamente una discriminazione sulla base del sesso dei genitori, pur tuttavia rappresentando un elemento destabilizzante nel momento in cui stabilisce che i figli vengano affidati solo ad uno dei due coniugi, cosa considerata addirittura anticostituzionale in altri Paesi Europei ben più civili del nostro. La discriminazione vera e propria avviene in sede giudiziaria, là dove l’obiettivo sembra più essere quello di sbrigare rapidamente una pratica scomoda e noiosa che fare da arbitro e da elemento di moderazione in situazioni a volte difficili e penose. Da queste persone ignoranti ed insensibili l’essere madre viene automaticamente considerata una garanzia di cura ed affetto, dimenticando troppo facilmente che non certo meno madri che padri si macchiano di crimini ignobili e disgustosi nei confronti dei figli quali la violenza carnale o l’abbandono dei neonati, troppo spesso con tragiche conseguenze per i piccoli. Essere madre, così come essere padre, è una scelta di maturità e di amore che accomuna i due sessi, non li differenzia. In un padre ci può essere cura, attenzione, amore, istinto “materno” — quanto discriminante in fondo è questo termine — e senso di responsabilità quanto in una madre. Milioni di padri passano le notti in bianco accanto ai loro figli, li curano quando malati, li puliscono, li lavano, li vestono, li portano a scuola, parlano con loro ed ascoltano i loro problemi, giocano con loro o li seguono nei compiti a casa, anche quando sono stanchi o preoccupati a causa delle responsabilità relative al lavoro o dalla casa, esattamente come fanno milioni di madri, comprese quelle che lavorano. In loro non c’è vergogna a portare fuori i figli con il passeggino od a fare la spesa, a far loro il bagnetto od a giocare con le bambole, anzi, c’è orgoglio ed un grande infinito affetto per qualcuno che sanno perfettamente un giorno dovrà continuare da solo la propria strada, ma che porterà sempre con sé un pezzetto di noi, un ricordo ed un sorriso.

    Questo è quanto dovevo dire, e non c’è altro. Nel nostro Paese di falsa democrazia dove allo Stato di Diritto si sostituisce lo Stato di Abuso, toccare certi poteri è peccato mortale e crimine tale da far sembrare l’omicidio una semplice distrazione. So perfettamente che ben poco servirà questa lettera, se non ad attirare l’attenzione su di me proprio di quei poteri che pongono se stessi e le persone che li detengono al disopra di qualunque regola o legge, ma esiste per me un principio più forte di qualunque legge e di qualunque potere, un principio per il quale vale la pena di pagare qualunque prezzo. E sicuramente alto è il prezzo che troppo spesso tali poteri esigono ai cittadini che non si fanno ammaliare dai loro trucchi e che non si accontentano della falsa libertà che ci viene concessa, merli canterini in una gabbia d’argento, ma pur sempre gabbia. Non stupisca quindi se, nonostante questa mia convinzione, abbia meditato a lungo prima di prendere una decisione definitiva. Questo semplice e pur così esigente principio è che bisogna sempre essere pronti a lottare per chi si ama.

    In fede

    Dario de Judicibus

  2. Dario de Judicibus ha detto:

    Caro Luigi,

    non è mia abitudine ragionare in modo demagogico, ma lo è comunque ragionare, ovvero affrontare ogni problema cercando di evitare che pregiudizi e luoghi comuni si sostituiscano a un’analisi seria fondata sui fatti piuttosto che sulle voci.

    Così, come sono determinato tuttora nella mia battaglia per l’affidamento condiviso, così cerco di domandarmi sempre se fare certe scelte sia giusto o sbagliato, anche se non mi coinvolgono direttamente. Da qui l’articolo in oggetto.

    Se quello che ho scritto non la convince, mi spieghi perché, tenendo conto che stiamo facendo un discorso generale, non specifico per questo o quel caso sul quale si possono anche ipotizzare considerazioni diverse.

    Qui, comunque, è il benvenuto.

  3. Dario de Judicibus ha detto:

    Ieri ho segnalato il mio articolo sull’omosessualità e sulla genitorialità sul forum del Dott. Fulvio Scaparro, sul sito del Corriere.

    Come mi aspettavo, si è aperto un dibattito a dir poco rovente. In effetti sapevo sarebbe successo, dato che l’argomento è oggettivamente delicato. Nel leggere i commenti dei lettori mi sono reso conto che in alcuni punti non sono stato chiaro e pertanto ritengo opportuna una replica, non per ribadire quanto già affermato, dato che era mia intenzione condividere una mia personale analisi e non certo convincere qualcuno, ma per permettere a chi ha letto il mio articolo di inquadrarlo meglio.

    Per semplicità ho ritenuto più semplice spezzare questa replica su più commenti, uno per ognuna delle obiezioni che mi sono state fatte. I commenti in questione sono facilmente identificabili in quanto contengono in testa

    DAL FORUM DEL CORRIERE «GENITORI E FIGLI»

  4. Dario de Judicibus ha detto:

    DAL FORUM DEL CORRIERE «GENITORI E FIGLI»

    Il Sig. Luca Salvatore Gallina, che si firma un padre eterosessuale scrive:

    «Le Sue argomentazioni accorate in difesa degli omosessuali … susciterà polemiche vivaci nel Vostro ambiente.»

    e poi

    «potrei anche dedurre che Lei Sia un padre che ha scoperto la Sua omosessualità e svolga con responsabilità il Suo ruolo educativo e che la Sua apertura mentale Le possa far concepire l’ininfluenza della figura femminile»

    Forse la cosa la stupirà, ma io sono un padre eterosessuale esattamente come lei. Non sono omosessuale e non ho alcuna tendenza ad esserlo né mi sono mai posto alcun problema a riguardo. Ho una figlia stupenda, dolcissima e una compagna che amo e che mi ama. Ma come padre separato so perfettamente cos’è la discriminazione, ovvero il venire giudicati per l’appartenenza ad una categoria stabilita da regole sociali — nel mio caso essere un genitore maschio — e non in base a quello che si fa, a ciò che si è come individuo e non come stereotipo.

    Non entrerò in merito dell’argomento, dato che io ho già espresso la mia opinione e lei la sua, frutto evidentemente di esperienze diverse. Posso solo dirle che anche se una famiglia rappresentata da un padre, da una madre e perché no, da un fratellino o una sorellina — una componente importante per la crescita di un bambino — è sicuramente un modello ideale, non bisogna assumere a priori che altri modelli debbano essere necessariamente sbagliati, seppure magari non possano dare, in teoria, quello che può dare la famiglia tradizionale.

    Mi spiego meglio: ci sono milioni di bambini in tutto il mondo che crescono in famiglie non tradizionali. Tanto per cominciare tutti i bambini che hanno subito la perdita di un genitore e che vengono cresciuti solo dalla madre o dal padre, i figli di ragazze madri o di single in cui il compagno o la compagna sono per un qualsivoglia motivo andati via, i figli di coppie separati, che spesso condividono la loro vita con i nuovi compagni o compagne e magari con i figli degli stessi, i bambini orfani cresciuti da zii o da nonni e via dicendo. Ognuno di questi bambini ha un modello che tradizionalmente si considera non ideale, vuoi perché fra il bambino e il nonno che lo cresce c’è una differenza eccessiva di età e quindi, spesso, anche culturale, vuoi perché la compagna di papà o il compagno della mamma non è il genitore naturale, vuoi perché manca una delle due figure genitoriali.

    Eppure tutto ciò, da solo, non implica necessariamente che il bambino soffra o che non possa crescere in modo equilibrato. Quando parlo di amore, non lo faccio a caso. La parola amore è forse una delle più usate dall’umanità, ma forse anche una delle meno comprese. L’equilibrio psicologico di un bambino è strettamente correlato al suo vissuto nella sfera affettiva. Ricevere amore vuol dire imparare ad amare. Ricevere cure vuol dire imparare a prendersi cura degli altri. Ritrovarsi in una famiglia nella quale gli adulti dimostrano di sapersi amare e saper amare è un modello educativo importante che va ben oltre gli aspetti specifici della sessualità. Un bambino che cresce in una coppia omosessuale non vive in un mondo di omosessuali. Il mondo intorno a lui è fortemente eterosessuale e questo lo porterà a porsi delle domande. Dipenderà dalla capacità dei suoi genitori, di coloro cioè che lo amano, ricevere le risposte giuste. E la risposta giusta parte dal rispetto di se stessi, di ciò che si è. Non si diventa omosessuali per semplice emulazione. L’orientamento sessuale è qualcosa che dipende da molti fattori, psicologici, fisiologici e culturali. Ma se anche fosse, cos’è più importante: l’orientamento sessuale o l’essere una persona buona? E allora, perché non siamo quantomeno altrettanto preoccupati del modello genitoriale fornito da tante coppie eterosessuali, quel modello che è responsabile di tanto malessere nelle nuove generazioni? Forse dietro al pensare gli omosessuali, a priori, cattivi genitori, c’è il disperato bisogno di volersi vedere buoni genitori per il solo fatto di aver costruito la classica famigliola alla Mulino Bianco, quella che da fuori sembra un modello di perfezione ma che all’interno di molte mura domestiche è un vero inferno per i figli.

    Un ultima cosa. Lei afferma che «l’uomo da sempre sa che la donna è una figura d’imprinting per il neonato, anche se non è la madre; quindi è più probabile che un bambino possa adeguarsi a una separazione dei genitori, la legge lo affida prevalentemente alla madre, alla scomparsa del padre, all’abbandono del padre, al padre omosessuale.»

    A me questo non risulta. Tanto per cominciare l’imprinting non è una questione di sesso ma di primo contatto, ed è per questo che io ritengo importante la presenza del padre durante il parto, sia perché così condivide con la sua compagna la gioia e la sofferenza della nascita, sia perché crea con suo figlio un primo importante contatto che rappresenta anche un impegno di amore e sacrificio. In secondo luogo l’essere genitore ha ben poco a che vedere con il procreare. Procreare può essere doloroso, ma è comunque semplice. Essere genitori è ben altra cosa, non si esaurisce né nelle poche ore del travaglio e neppure nei nove mesi di gravidanza. Essere genitore è un impegno per la vita, che non cessa neppure quando il figlio, ormai grande, se ne va per costruirsi una propria vita. Essere genitore è veramente per sempre. E la perdita di un bravo genitore, maschio o femmina che sia, per un bambino, è un trauma indicibile. Anzi, le dirò di più: lo è persino a volte la perdita di un pessimo genitore, perché i figli hanno la capacità di amare anche chi non li ama, e di assumersi responsabilità e colpe che non sono loro, ma dei loro genitori.

    In quanto alla frase «Non se la prenda riguardo l’impotenza genitoriale di un omosessuale, nessuno è perfetto!», che assumo nasca dal pensare che io fossi omosessuale, le assicuro che non me la prenderei neppure se fossi effettivamente tale, perché la mia genitorialità non dipende certo dal mio orientamento sessuale, ma dalla mia disponibilità ad amare, a mettere le esigenze di mia figlia davanti alla mie, di saper essere per lei un punto di riferimento, un esempio, senza tuttavia pretendere che lei diventi un mio clone, ma sappia piuttosto trovare un proprio cammino nella vita, qualunque esso sia.

  5. Dario de Judicibus ha detto:

    DAL FORUM DEL CORRIERE «GENITORI E FIGLI»

    Terry afferma

    «Chi lo dice che un bambino preferirebbe una coppia di genitori omosessuali all’istituto di accoglienza?»

    Sinceramente posso capire che se l’alternativa debba essere fra una coppia etero ed una omosessuale, a priori, fermo restando che sia stata fatta comunque una valutazione di idoneità ad entrambe le coppie, quella etero sia preferibile. Ritenere tuttavia che passare l’infanzia in un istituto di accoglienza, splendido nome per indicare quelli che più volgarmente erano chiamati orfanatrofi, sia da preferire al ricevere amore e cure da parte di una coppia di genitori onosessuali, mi sembra veramente inconcepibile.

    Lei dice che «oggi ancora gli stessi omosessuali, nonostante siano adulti, non riescono a farsi accettare all’interno delle loro famiglie, o nei luoghi di lavoro, dai loro stessi amici e dalle istituzioni.»

    Mi faccia capire: erano gli ebrei che non riuscivano a farsi accettare dai nazisti? O i negri d’America a non farsi accettare dalla società d’oltreoceano? Dunque chi viene discriminato è responsabile della sua discriminazione? È la sua incapacità a farsi accettare che ne giustifica l’emarginazione? Per cui, se un bambino cresciuto da omosessuali sentirà fortemente il malessere della sua condizione, non sarà per la cattiveria dei compagni di classe, i pregiudizi dei loro genitori, l’ignoranza degli insegnanti, ma solo e unicamente per colpa dei suoi di genitori, di quello che sono e della loro incapacità a farsi accettare. Mi scusi, ma sono veramente colpito da questo modo di affrontare il problema.

    Infine, lei dice, giustamente «Le cose dovrebbro affrontarsi per gradi, e se ancora si sta discutendo sulle coppie di fatto o sugli stessi matrimoni gay, come si può pensare ad un salto così pindarico, tale da giungere addirittura alle adozioni?»

    Verissimo, bisogna procedere per gradi. Ma qui non si sta discutendo di tempi, ma di principi. Non si sta cioè dicendo che già domani alle coppie omosessuali debba essere permesso di adottare un bambino — fermo restando che se la coppia è lesbica il bambino può anche essere procreato e non necessariamente solo adottato — ma solo che è giusto poter un giorno arrivare anche a questo. D’altra parte in un Paese puritano come gli Stati Uniti questo succede già e non mi risulta che abbia creato i traumi qui ipotizzati. Io stesso conosco la figlia di un omosessuale, da lui cresciuta, e vi assicuro che ha avuto una vita né migliore né peggiore di quella di tanti figli di eterosessuali.

  6. Dario de Judicibus ha detto:

    DAL FORUM DEL CORRIERE «GENITORI E FIGLI»

    Flap afferma

    «…il fatto che la gestazione di 9 mesi avvenga nell’utero della donna è solo un pregiudizio, un fatto tecnico, irrilevante appunto.»

    Come ho già avuto modo di dire, e non sono solo io a dirlo, ma moltissimi psicologhi moderni, il concetto di istinto materno è un mito. La maggiore tendenza alle cure parentali durante e subito dopo la gravidanza è legata a fattori ormonali, soprattutto alla prolattina, tanto che come la madre smette di allattare naturalmente rischia quella che è chiamata depressione post-parto. Non è un caso che i pianti dei figli abbia indotto così tante madri, negli ultimi anni, ad atti disperati fino ad arrivare all’infanticidio. La disponibilità al sacrificio che è richiesta a un genitore devono nascere da una cultura d’amore e soprattutto da una scelta personale, razionale, non essere il risultato di un certo numero di ormoni che ti circolano nel sangue. Procreare non fa di una donna una madre più di quanto faccia di un uomo un padre l’atto del concepimento. Essere genitori è qualcosa che si dimostra soprattutto dopo il parto, nei mesi e negli anni successivi, come il figlio cresce con quella velocità incredibile che pone il genitore di fronte a continui cambiamenti. È lì che si distingue il genitore naturale da quello vero, quello consapevole.

    Per quanto riguarda l’affermazione «La famiglia uomo-donna-bambino è solo una tradizione: provi il sig. De judicibus a creare un bambino in modo non tradizionale, non so cane-uomo-bambino, uomo-uomo-bambino; ma anche questo è irrilevante, appunto.» mi sembra di nuovo che si confonda l’aver figli con il concetto di famiglia. Una famiglia è un nucleo di solidarietà, tanto che la struttura padre-madre-figli è relativamnete recente. In passato le famiglie erano ben più ampie, comprendendo più generazioni, fino a formare il clan, primo mattone della tribù. In molte culture primitive, i figli erano condivisi, allevati insieme da questa famiglia allargata. Il concetto di comune non lo hanno inventato gli hippy d’America. Strutture familiari complesse sono presenti in molte civiltà. Non intendo entrare in merito perché il discorso diverrebbe troppo lungo, ma basta studiare qualche testo di antropologia per rendersene conto. Lei dà troppa importanza alla procreazione e troppo poco a quello che viene dopo. Così noi oggi ci preoccupiamo di fare più bambini, ma non di cosa faremo di loro una volta nati. Personalmente preferirei nascessero meno bambini ma che i genitori passassero più tempo con loro. Non ci serve una società di miliardi di persone, ma una società di persone buone.

    Un’ultima cosa: lei afferma che dalle mie parole risulta che «Il legame biologico ombelicale è annullato quello affettivo della suzione al seno irrilevante.» In effetti non mi risulta che il legame ombelicale, come lo chiama lei, crei un effettivo legame psicologico fra figlio e madre. Ma forse lei mi vorrà indicare studi a riguardo. Per quanto riguarda la suzione al seno, esso effettivamente crea un legame importante, ma non diverso da quello che si è creato fra me e mia figlia quando passavo le notti a darle il latte con il biberon e poi la tenevo in braccio e la cullavo mentre dormiva beata. Il contato fisico è fondamentale per un bambino, ed è proprio questa società maschilista che ha sempre negato al padre tale contatto, confinandolo in un ruolo di educatore rigido e severo, che mai può mostrare i propri sentimenti, che ha fatto sì che esse si formasse principalmente solo con la madre. Le cure parentali creano sempre un legame, che sia la madre o il padre a darle. Non confondiamo la causa con l’effetto. Se oggi ancora la madre riveste un ruolo primario nella famiglia non è dovuto al fatto che è essa a procreare fisicamente i figli, ma al fatto che per secoli gli uomini hanno abdicato al loro ruolo nella famiglia, pensando che il solo mantenimento economico potesse esaurire il loro ruolo genitoriale.

  7. Dario de Judicibus ha detto:

    DAL FORUM DEL CORRIERE «GENITORI E FIGLI»

    Riporto così come è stato scritto il commento di Maria Angela al mio articolo.

    «Io ho molto apprezzato quello che ha scritto Dario, è giunta l’ora che se ne parli. Chi siamo noi eterosessuali per decretare che gli omosessuali non possono allevare figli? Cerchiamo piuttosto di metterci un po’ in discussione perchè davvero anche noi genitori etero che rapresentiamo la normalità, beh di problemi ne abbiamo parecchi, cominciamo a guardare in casa nostra.

    Credo che sia importante parlarne, cercare di riflettere su questi temi, cercare di scrollarci di dosso qualche pregiudizio. Il mondo andrà un po’ in avanti, ci sarà meno sofferenza. Dobbiamo osare anche voli pindarici, nella nostra specie vige la riproduzione sessuale, ma l’uomo è natura e cultura.

    Io credo che il vero inferno interiore sia quello dell’abbandono. Io dico che per un bambino è sempre preferibile essere accudito da un adulto amorevole che diventare grande in un istituto di “accoglienza”. L’importante è che gli adulti — omo o etero poco importa — sappiano amare i bambini. Credo che mi rileggerù attentamente quello che ha scritto Dario.
    »

  8. melozza ha detto:

    Caro Dario, comprendo bene che la vita in un istituto non sia il meglio per un bambino, ma prova a pensare ad un bambino già grandicello (perchè da noi omo o etero le adozioni di neonati sono una chimera)che si ritrova in un contesto “anomalo”.

    Non puoi farmi l’esempio di ebrei e nazisti, quando parli di omo ed etero, perchè oggi, ancora, all’interno della propria famiglia, tra gli affetti più cari, tra persone della stessa razza e cultura, ci sono omo che si nascondono e genitori etero che li ripudiano.

    Se è di puro principio che parliamo, io l’ho ribadito nel mio post che non dò per scontato che un bambino non possa essere felice con genitori gay, ed ho anche sottolineato ch non chiudo la porta in faccia a questa eventualità.

    Ma continuo a ribadire che nel nostro Paese, così retrogrado sotto molti aspetti, così chiuso ai cambiamenti, sarebbe difficile attuarlo. Sono sempre convinta che se accadesse oggi, quei bambini sarebbero discriminati come e più dei loro genitori, e che per le loro piccole spalle, il peso sarebbe troppo grande da sopportare.

    Con stima.

    Terry Cirone

  9. Dario de Judicibus ha detto:

    Condivido le tue preoccupazioni, Terry. Ma affermare che nel nostro Paese, così retrogrado sotto molti aspetti, così chiuso ai cambiamenti, sarebbe difficile attuarlo non può portare alla conclusione che non si può fare e quindi chiudere il discorso. Semmai il contrario: dobbiamo cambiare questa cultura retrograda e parlarne è il primo passo. Poi, nessuno pensa di cambiare le cose in 5 minuti e neanche in 5 mesi, ma… in 5 anni? Parliamone.

  10. lucagal ha detto:

    I figli nati nel mondo sono tutti nostri figli

    Caro Dario de Judicibus,

    mi trova perfettamente d’accordo in quello che Io potrei riassumere ,dopo aver riletto il Suo articolo esaustivo e le Sue risposte ai post degli intervenuti al forum del Dott. Scaparro, riguardo le discriminazioni:

    sull’omosessualità e genitorialità.

    Le Sue considerazioni rivolte a nuove modalità comportamentali affettive che potranno essere legittimate nel futuro, riguardo l’affidamento di figli adottivi o riconosciuti naturali a coppie omosessuali è senz’altro da considerare un valore aggiunto. Ammesso che avvenga prima,il riconoscimento alla coppia omosessuale di fatto alla stregua di quella eterosessuale,attraverso l’introduzione dei pacs o il rafforzamento dei diritti civili,anche di solidarietà economica, già previsti dal codice civile.

    Inoltre,è doveroso che vengano sentiti i bambini che dovranno essere aiutati a capire che cosa è meglio per loro; una coppia genitoriale composta da: due uomini,due donne, un uomo e una donna; un single:un uomo ,una donna soli.Senza trascurare che ciascuna tipologia presa in esame ha dietro di sé, una famiglia eterosessuale. Anche i single dovranno ottenere il riconoscimento per l’adozione.Probabilmente passeranno attraverso l’affido temporaneo. Le pare?

    Ma chi stabilirà la capacità di amare,la genitorialità, che Lei sostiene giustamente come requisito essenziale e naturale, indipendentemente dalla loro sessualità,dei candidati?

    Chi glielo spiega ai bambini e adulti esterni al nuovo nucleo familiare che per un bambino che non vive in una famiglia tradizionale non c’è differenza anzi è un valore aggiunto?

    Certamente sarà d’accordo con me, che il nuovo impianto familiare non garantisca l’unione eterna della coppia e nel caso di una separazione cosa succederà? A chi verrà affidato il figlio adottivo?

    Per questo anche le coppie eterosessuali hanno dei problemi,oggi, considerato che la legge discrimina l’affidamento a favore della madre.

    E’ auspicabile,quindi, l’affidamento congiunto sia alle coppie eterologhe che omosessuali.Sarà d’accordo,vero?

    Ma siamo sicuri che la sessualità sia avulsa dall’amore?

    E come dire che Noi uomini siamo scelti dalla natura ad, inseminare, ingravidare le femmine e che i piccoli che nascono possono essere messi a disposizione di chi viene ritenuto idoneo ad amare e alla genitorialità.Se poi consideriamo nel futuro l’inseminazione artificiale,che può disporre di una banca del seme,anche geneticamente selezionato, e se davvero la sessualità è avulsa dall’amore,non ci dovremo più accoppiare,se non usare la sessualità,con adeguata copertura anticoncezionale, per il piacere estremo.

    Perché no!

    Infine sono convinto, Caro Dario che Lei mi dirà che sono ipotesi fantascientifiche e comunque si tratta di piccoli numeri.

    Come mai Lei afferma,invece, che le nuove modalità affettive familiari,rappresentano nel mondo milioni di esempi?

    Concludendo Lei non nega che la coppia eterologa esiste e continuerà esistere e nemmeno della centralità femminile; ma, mi consenta, la donna in quanto madre, Lei ritiene che venga sopravalutata e quindi il maschio venga discriminato ingiustamente,sia dalla legge che disciplina il matrimonio, sia dai benpensanti che sottostanno ai pregiudizi millenari sulla famiglia tradizionale,come mai? Può sembrare che Lei voglia esorcizzare e far riflettere Noi uomini sulla nostra “impotenza genitoriale” o meglio ancora sull’affermazione assoluta della genitorialità maschile, in questo caso, che ci azzecca essere o non essere omosessuali, potrebbero chiedere l’adozione di un bambino anche due amici o amiche eterologhe, Le pare ?

    Anche se un iperbole,Io immagino,come Lei, lo scenario futuro di necessaria solidarietà affettiva ed economica,creando nuove coppie che ne deriveranno, a maggior ragione, la sciando al di fuori di una casa e vita condivisa, la professione della loro,legittima, sessualità.

    Io sono un padre separato con un figlio maschio di ventisei anni,che vive con la madre naturale, mentre Io convivo felicemente con una nuova compagna.

    Grazie per l’opportunità che mi ha dato di riflettere sul fatto che:

    i figli nati nel mondo sono tutti nostri figli.

    Amiamoli,rispettiamoli,aiutiamoli,anche a distanza e assumiamoci la nostra unica responsabilità di non abbandonarli mai continuando a dare il nostro migliore esempio, davvero nella vita reale.Questo chiaramente vale anche per le donne.

    Luca Salvatore Gallina

  11. Dario de Judicibus ha detto:

    …è doveroso che vengano sentiti i bambini… Probabilmente passeranno attraverso l’affido temporaneo. Le pare?

    Assolutamente sì. Dato che stiamo parlando di bambini già grandicelli, magari adolescenti, il loro parere è d’obbligo, così come il mettere alla prova la nuova famiglia prima di convalidare l’affidamento. Questo dovrebbe valere sempre, quando possibile.

  12. Dario de Judicibus ha detto:

    Certamente sarà d’accordo con me, che il nuovo impianto familiare non garantisca l’unione eterna della coppia e nel caso di una separazione cosa succederà?

    Questo è già vero oggi per le coppie etero, siano esse sposate o conviventi. Sul problema degli affidamenti in caso di separazione ho una certa esperienza, dato ch emi occupo del problema da tanti anni. Le risposte alle sue domande non sono semplici, ma possono essere date. Due sono le cose da fare: definire criteri oggettivi e riscontrabili, chiari ma non così rigidi da legare le mani a chi deve dare un giudizio definitivo, e soprattutto, cosa che non succede oggi, preparare sul piano della psicologia e della pedagogia i magistrati e gli assistenti sociali che dovranno fare la valutazione in oggetto. Purtroppo quanto lei paventa per le coppie omosessuali già avviene con le famiglie tradizionali. Si tratta tuttavia di un problema diverso da quello del riconoscimento di modelli non tradizionali, che andrebbe affrontato fin d’ora già per quello della famiglia classica.

  13. Dario de Judicibus ha detto:

    Ma siamo sicuri che la sessualità sia avulsa dall’amore?

    L’amore è un sentimento complesso che non implica necessariamente la sessualità ma che fa del contatto fisico uno dei suoi modi di comunicare. Esistono infatti molte forme di amore oltre a quello fra adulti non collegati da legami di sangue: quello dei genitori per i figli, quello dei figli verso i genitori (è diverso), quello fra fratelli, quello fra amici dello stesso o di sesso differente, e via dicendo. Ognuna di queste forme vede la presenza anche del contatto fisico, a volte con risvolti pseudosessuali tanto che, se non esistessero tabù precisi, si potrrebbe arrivare in certi casi anche all’atto sessuale. Fra gli animali, che tali tabù non hanno, infatti, l’incesto è, ad esempio, pratica comune.

    L’atto sessuale, dunque, è spesso la conseguenza logica di un atto da amore, ma non necessaria. D’altra parte l’amore cosiddetto platonico non è altro che l’amare senza sentire il bisogno di arrivare all’atto sessuale per sentirsi soddisfatti da quell’amore.

    L’amore è infatti anche una forma di egoismo, e c’è una precisa ragione per questo. L’amore è un’evoluzione di quell’insieme di segnali che la natura mette in gioco per arrivare alla procreazione. Come animali evoluti noi siamo andati oltre al semplice bisogno fisico e lo abbiamo estrapolato sul piano mentale. Il rapporto fra mente e psiche da una parte, e corpo dall’altra, nell’uomo, è ben diverso da quello della maggior parte degli altri mammiferi. Noi non ci accontentiamo del piacere fisico: esigiamo la soddisfazione di tutto il nostro essere. Se la natura usa il piacere fisico per raggiungere il suo obiettivo, noi abbiamo fatto evolvere anche questo meccanismo in una forma di egoismo più sottile, tanto che chi ama può arrivare a sacrificare se stesso per salvare la persona amata. Può sembrare assurdo che il massimo del piacere possa coincidere col massimo del dolore, ma è così. In fondo persino la soddisfazione che abbiamo quando compiamo una buona azione è una forma di egoismo, un egoismo buono, funzionale, ben diverso da quello distruttivo di chi pensa solo ed esclusivamente a sè.

    Dunque amore e sessualità si intrecciano, ma senza che l’una comporti necessariamente l’altra. Si può amare una persona dello stesso sesso senza sentire il bisogno di fare sesso con lei, come succede fra veri amici che hanno condiviso assieme momenti difficili. Si può fare sesso senza amare, senza provare alcunché per l’altra persona. Nel mezzo ci sono tutte le sfumature possibili. Amici di sesso diverso che sono tali per dieci anni e poi una sera si ritrovano a fare sesso, per poi non farlo più. Fratello e sorella che sentono l’un verso l’altro attrazione sessuale che solo il tabù dell’incesto impedisce loro di portare a compimento. Non sono perversioni, ma situazioni che spesso hanno alla base anche forti segnali ormonali, non sempre facili da controllare.

    Può sembrare strano dirlo, perché poi ovviamente ci si potrebbe trovare nell’imbarazzante situazione di giustificare vere perversioni come la pedofilia, ma nella maggior parte dei casi dove c’è vero amore, difficilmente c’è qualcosa di sbagliato.

    Mi rendo conto di come sia un discorso complesso, ma complesso è l’animo umano e comprenderlo non è facile. I filosofi ci discutono sopra da millenni.

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