Tanto paga Pantalone



Ieri, il Governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio ha rilasciato la seguente dichiarazione:

Servono forti incentivi per le opere pubbliche al fine di riavviare l’economia.

Personalmente trovo molto preoccupante che il Governatore veda nella realizzazione di opere pubbliche la soluzione all’attuale crisi economica. Primo, perché essa deriva principalmente dall’incapacità dell’imprenditoria italiana di competere sul mercato globale; secondo, perché una soluzione che pensa di risollevare le imprese italiane con la realizzazione di opere pubbliche ricorre di fatto ai soldi dello Stato e quindi alle tasse dei cittadini, ovvero attinge a risorse interne piuttosto che arricchire il Paese con fatturati realizzati sul mercato; terzo, perché è una soluzione interna, che ignora del tutto i fattori esterni che contribuiscono all’attuale crisi, come il costo del petrolio e dell’energia in generale e la concorrenza delle aziende straniere.

Ci stiamo rinchiudendo sempre di più in noi stessi, sperando che chiudere la porta al mondo esterno possa farci ritrovare una ricchezza che non esiste. Invece di investire di più in ricerca e sviluppo, di agevolare la creazione di nuove imprese semplificando le pratiche burocratiche, con facilitazioni fiscali e soprattutto facilitando l’accesso al credito, di favorire l’aggregazione d’impresa e lo sviluppo di marchi territoriali, di ristrutturare organizzazioni e processi in modo da aumentare la competitività sia sul mercato interno che su quello internazionale, ci rivolgiamo di nuovo allo Stato quasi fosse una specie di pozzo senza fondo al quale attingere a gogò. Quasi che la ricchezza possa crearsi dal nulla.

Il problema dell’economia italiana si chiama invece scarsa attitudine al rischio, mancanza di visione a lungo termine e incapacità di condividere risorse e aggregare competenze. Su questo si deve lavorare, non invocare la realizzazione di nuove opere pubbliche, a meno che non si tratti di infrastrutture atte a sostenere iniziative che rientrino nei tre punti appena menzionati.

Altrimenti non faremo altro che prolungare l’agonia.

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Commenti (15) a «Tanto paga Pantalone»

  1. ricknf ha detto:

    sono d’accordo…

    invece che trovare punti di eccellenza, si cerca di di continuare ad alimentare la cultura della PMI con i distretti, idee vecchie di 30 anni…

    invece che essere proiettati in avanti, si cerca nel passato la soluzione ad un problema di base, una miopia temporale aggravata da scelte logistiche ed energetiche scandalose, che può essere risolto solo con la consapevolezza che si devono trovare strade nuove, che il mercato dovrà forzatamente cambiare perchè non sarà possibile mantenere a lungo una condotta di produzione del superfluo appoggiandosi a fonti (energetiche ma soprattutto monetarie) ormai agonizzanti…

    e dire che gli italiani potrebbero campare staccando bilgietti, invece ci facciamo fregare dalla cina persino nel turismo: d’altra parte sulle spiaggie di vieste ci sono le lavatrici, sui fondali del golfo di napoli ci sono i motorini… eppoi dicono che al sud non si trova lavoro…

  2. ricknf ha detto:

    PS: e per di più gli imprenditori preferiscono “scaricare” comprandosi il porsche, piuttosto che comprare macchinari nuovi per le aziende, o finanziare gruppi di ricerca privati, visto che il pubblico ricerca non ne fa…

  3. Dario de Judicibus ha detto:

    Il concetto di distretto non è un concetto sbagliato, ma superato se si rimane in un’ottica di sistema produttivo territoriale fine a se stesso. L’aggregazione in strutture produttive che mettano a fattor comune componenti non strategiche della filiera produttiva, come la logistica, e sappiano creare marchi territoriali che possano competere sul mercato globale è al momento l’unica possibilità che hanno le PMI di uscire da un vicolo cieco.

    Fra le tante opportunità che dà l’aggregazione, c’è quella di sviluppare iniziative comuni in collaborazione con il mondo accademico nel campo della Ricerca e Sviluppo, come ha fatto la Finlandia diversi anni fa, con risultati che sono sotto gli occhi di tutti.

  4. Dario de Judicibus ha detto:

    visto che il pubblico ricerca non ne fa…

    In realtà di ricerca pubblica di buon livello ce n’è, ma è completamente scollegata alle necessità delle imprese. Manca inoltre un sistema di condivisione della conoscenza che permetta lo sfruttamento dei risultati in ambiti anche differenti da quelli che hanno scatenato la ricerca. Un esempio è quello dei nuovi materiali o delle biotecnologie, un potenziale incredibile che il nostro Paese non riesce a far decollare. Manca la visione e all’interno di questa le giuste strategie.

    C’è inoltre un problema di culture: nel mondo imprenditoriale manca la cultura della ricerca, nel mondo accademico la capacità di intravedere applicazioni concrete dei propri risultati. Troppi ricercatori, anche bravi, vivono in un mondo loro. I due mondi non riescono a parlare una lingua comune, salvo rari casi, per lo più nel nord del Paese.

    Inoltre si punta troppo sulla tecnologia senza rendersi conto che questa non è una bacchetta magica, ma un utile strumento per la realizzazione di cambiamenti organizzativi e di processo che tuttavia vanno disegnati e implementati.

    Pochi oggi sanno gestire il cambiamento o sanno come condividere davvero la conoscenza nella propria organizzazione. Le cose da fare sarebbero tantissime e alcune non richiederebbero neppure investimenti significativi, ma né i nostri politici né gli imprenditori hanno la capacità o la volntà di farle.

  5. cortesconta ha detto:

    beh l’imprenditoria italiana che non sa competere sul mercato globale è una critica troppo facile…chiudere le fabbriche e portare la produzione in cina ed india per la gioia dei futuri milioni di disoccupati basterebbe per essere di nuovo competitivi ma non si farebbe più l’interesse dell’italia… sul resto sono d’accordo ma con l’attuale normativa italiana sarebbe impossibile porre ulteriori costi alle aziende come sviluppo e ricerca soprattutto sulle piccole che sono la stragrande maggioranza…l’unica soluzione sarebbe l’aggreazione ma solo per la produzione di beni per il mercato finale…per il resto la delocalizzazione rimarrà l’unica alternativa…

  6. ricknf ha detto:

    la distanza tra il mondo accademico e quello impreditoriale è una sacrosanta verità.

    al riguardo della comunicazione dei saperi, basta guardare gli esempi del nord europa, come la finlandia appunto, ma ancor più incredibile l’esempio dell’estonia, che ha passato in rete gran parte dell’apparato burocratico e comunicativo del governo e dell’amministrazione pubblica: cavolo possibile che non riusciamo a fare neppure quello che fa l’estonia???

    per cortesconta: non è una critica fine a se stessa, è un fatto che molti imprenditori preferiscano utilizzare gli sgravi fiscali che pur ci sono, per finanziarsi il macchinone e non per finanziare il rinnovo dei macchinari, tanto per dirne una… è una questione di miopia gestionale…

    poi è vero anche che il mercato del lavoro in italia è iperregolamentato, e questo prima o poi qualcuno lo dovrà pur dire; le battaglie ideologiche su principi come l’articolo 18 sono molto scenografiche, ma con l’ideologia non ci ha mai mangiato nessuno… si guardi ai casini che hanno adesso in germania con gli operai più protetti e pagati del mondo: loro però sono un po’ più pratici e stanno prendendo provvedimenti, da noi c’è certa gente nel sindacato che pensa ancora di potersi permettere di alzarsi dai tavoli di trattativa e fare gazzarra in piazza: poi quando una ditta dice “vado in cina” cosa gli vuoi rispondere??

  7. Dario de Judicibus ha detto:

    l’imprenditoria italiana che non sa competere sul mercato globale è una critica troppo facile…

    Meno di quanto pensi, ovvero, è facile dirlo, di meno sostenerlo. Ad esempio, quello che tu dici sulla questione della produzione all’estero (si chiama delocalizzazione) incide solo sul costo del lavoro. Ma questo è solo uno dei fattori che incidono sulla competitività. Un altro fattore, molto sottovalutato dalle nostre imprese, è la riorganizzazione dei processi; un terzo, la ricerca e sviluppo; un quarto, la gestione della conoscenza. Nel campo delle piccole e medie imprese (PMI) poi abbiamo l’aggregazione, lo sviluppo di marchi territoriali e di prodotto, l’utilizzo di tecnologie avanzate (non i computer, che oggi sono avanzati quanto un telefono). Non parliamo poi dell’utilizzo di Internet, ben sfruttato dai tedeschi e soprattutto dai francesi, ma da noi quasi inesistente, soprattutto per quello che riguarda la vendita all’estero. Molti pensano che per fare e-commerce basti sviluppare un sito con il carrello. Non comprendono l’importanza di costruire processi distributivi nuovi, una filiera avanzata.

    Si potrebbe andare avanti così per ore…

  8. Dario de Judicibus ha detto:

    chiudere le fabbriche e portare la produzione in cina ed india per la gioia dei futuri milioni di disoccupati basterebbe per essere di nuovo competitivi ma non si farebbe più l’interesse dell’italia…

    Guarda che buona parte della produzione italiane delle grandi aziende si trova già in quei Paesi. Pensare che sia quello che può rendere di nuovo competetitivo il nostro sistema economico è pia illusione.

    Hai idea dia quale sia il divario tecnologico fra le nostre aziende e quelle americane, giapponesi e degli altri Paesi europei solo in termini di brevetti? Un brevetto è fondamentale per un’azienda perché a fronte di un prodotto hai un guadagno netto per parecchi anni a venire in termini di royalties. Alcune aziende all’estero campano solo di quello.

  9. Dario de Judicibus ha detto:

    con l’attuale normativa italiana sarebbe impossibile porre ulteriori costi alle aziende come sviluppo e ricerca soprattutto sulle piccole che sono la stragrande maggioranza…

    Non sono d’accordo: primo perché le PMI hanno negli ultimi anni speso moltissimi soldi dello Stato in acquisto di macchinari che servivano a coprire poche commesse sulle quali campavano, invece che in R&S e nella differenziazione della produzione. Così, quando quelle commesse sono sparite si sono trovati con il sedere a terra. Inoltre sono state pochissime le imprese che hanno proposto iniziative serie per acquisire i fondi europei che sono andati così ad altri Paesi della UE.

    Il fatto è che si sono spesi i soldi male, spesso sono stati polverizzati in microiniziative per avere un ritorno politico in termini di voti, altre volte si sono persi in studi che poi non hanno portato ad alcuna realizzazione concreta. Parlo di miliardi di euro buttati al vento.

  10. cortesconta ha detto:

    non voglio criticare i tuoi interventi ognuno la pensa come vuole ma sono tutte parole ex post dette quando i giochi sono già stati fatti probabilmente sono valide per molti settori non per il mio…io ti posso parlare del settore nord est dove lavoro io…si lavora il legno i macchinari sul mercato sono sempre gli stessi da 10anni e anche cercando macchinari in germania o svezia non si trova di meglio… si producono sedie a costi 10 volte superiori rispetto a quelle cinesi un’azienda in media fa uscire sul mercato 80 prodotti all’anno uno ogni 4 giorni e i cinesi in 3 giorni lo rifanno senza interessarsi alle norme sui brevetti di cui tu parli sui quali non è presente alcun controllo internazionale e senza sostenere i costi di messa in sicurezza che gravano giustamente sulle nostre aziende…è da rendersi conto che il mercato sta cambiando e se si vuole fare i giochi ancora in italia ci saranno solo uffici e non più produzione o almeno speriamo ma se non si produce ricchezza ma solo la si monipola non si può pretendere molto…tu pensi che ad auchan o a carrefour o a grandi catene come mobelplus interessi qualcosa se quella sedia è coperta da un marchio di qualità del distretto? dai siamo sinceri sono solo specchietti per le allodole alla grande distribuzione interessa solo una cosa soldi soldi soldi maggiori sono i margini migliore è per loro il prodotto…sono invece concorde con te che per risollevare il sistema italia non bastino opere pubbliche create con i soldi degli italiani per il solo gusto di fare girare il mercato e concordo anche sul fatto che vi siano troppe piccole aziende che non si aggregano ma purtroppo questa è la mentalità del nord italia…è o no la terra dove prima si fa il muretto e la siepe e poi la casa…ognuno per conto suo e duti paroni

  11. Dario de Judicibus ha detto:

    Cortesconta, il problema è proprio nella mancanza di INNOVAZIONE. Innovare significa CAMBIARE, ovvero scoprire come le proprie competenze possano essere usate in modo DIVERSO. Faccio un esempio, in USA una catena di supermercati si è resa conto che la carta fedeltà poteva essere vista come una sorta di carta di credito, così ha iniziato ad emettere carte di credito proprie. A questo punto si è resa conto che poteva gestire anche risparmi e così ha aperto conti ai propri clienti che davano agevolazioni negli acquisti presso la propria catena e anche interessi. In pratica è diventata ANCHE una banca.

    Lo stesso vale per voi. Quante delle vostre competenze nell’arte di lavorare il legno può essere usata in altri settori che non riguardano i mobili. Quanto la vostra competenza nel fare mobili può essere applicata a materiali innovativi diversi dal legno? Finché continuate a pensare in un ambito ristretto, è evidente che non avete margini. Ma il TRUCCO, se così si può chiamare, è cambiare le regole del gioco, uscire dal proprio ambito, riusare la propria bravura in settori totalmente diversi SENZA abbandonare i propri, fare alleanze con altri settori per produrre servizi e prodotti in BUNDLING.

    Faccio un esempio. Il settore del tessile è in crisi e così quello meccanico. In Italia, chi fabbrica auto, dà in subappalto i sedili delle auto ad aziende che ridistribuiscono l’appalto su quello che deve fare lo scheletro, quello che produce l’elettronica e la meccanica dei comanndi di controllo, quello che riveste il sedile e via dicendo. Ma se un gruppo di PMI di settori DIVERSI e leader seppure piccole nel loro ambito si consorziasse per produrre sedili per auto già pronti, standardizzandone gli elementi e quindi imponendo di fatto i LORO standard ai committenti piuttosto che subirne le richieste, fornendo servizi di elevata personalizzazione grazie a una fiiliera automatizzata, sarebbero MOLTO più competitivi e guadagnerebbero di più. Inoltre potrebbero aprire la propria offerta FUORI dall’Italia con un marchio comune DI PRODOTTO. Non dico che è facile, ma se ci si applica è possibile definire un piano industriale per tale iniziativa sicuro e di successo. Ci vuole però la volontà, l’iniziativa, il coraggio. Quest’ultimo manca decisamente.

    Il tuo esempio dimostra che il vero problema è che si pensa di risolvere il problema SENZA cambiare nulla. Invece è proprio nel rivedere le proprie strategie aziendali e persino la produzione che si fa il salto di qualità. Potrei farti mille esempi.

  12. ricknf ha detto:

    altro esempio interessante è stato quello, riportato di recente da un telegiornale (e secondo me geniale) di un’azienda agricola che vedendo risicati i guadagni nella produzione di verdura alimentare a causa di una filiera ormai troppo lunga, ha deciso di produrre vegetali per l’industria cosmetica….

  13. Dario de Judicibus ha detto:

    Ottimo esempio. Se poi più aziende si mettono insieme, sono molte le opportunità che si aprono alle nostre PMI. Dov’è finita la cosiddetta fantasia italica? Solo nei trucchetti per evitare di pagare le tasse?

  14. Dario de Judicibus ha detto:

    Dopo le intercettazioni telefoniche fra il Governatore della Banca d’Italia e il numero uno della Banca Popolare Italiana, Giampiero Fiorani, speravo nelle dimessioni di Fazio dal suo incarico. Non avendole chieste nessuno per le assurde affermazioni riportate nel mio articolo , speravo almeno arrivassero dopo il caso in questione. Invece niente: il Governatore resta incollato alla sua poltrona. Possiamo sperare solo che usi ancora il telefono…

  15. Dario de Judicibus ha detto:

    Domanda: come mai Fazio viene difeso sia dal centrodestra che da Bertinotti?

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