Utopia



Nel mondo la ricchezza è distribuita male: è un fatto, incontrovertibile. Così come non si può negare il fatto che in molti Paesi del mondo, e non solo in quelli più poveri, ma anche e soprattutto in quelli ricchi e in quelli che si dicono civili e democratici, ingiustizie, pregiudizi e discriminazioni non sono infrequenti, anzi, in alcuni casi sono la norma.

C’è chi dice che la vita non sia giusta, chi si batte con tutte le forza per un mondo migliore, chi infine sogna un pianeta in cui non esistano guerre, violenza, crimini, ingiustizie e discriminazioni di qualunque genere.

Ma è veramente possibile? È cioè possibile immaginare un mondo in cui equità e giustizia siano la norma e nel quale i conflitti di interessi fra individui non portino allo scontro diretto? Il cuore vorrebbe così, ma cosa ci dice la ragione?

In matematica può essere alquanto complesso dimostrare un’affermazione mentre, in genere, è spesso relativamente semplice confutarla. Questo perché dimostrare che una preposizione P sia vera richiede spesso una complessa dimostrazione logica inattacabile da ogni punto di vista, mentre per dimostrare che è falsa è sufficiente trovare un singolo caso nel quale ne sia evidente la falsità.

Analogamente, dimostrare che è possibile arrivare a un mondo giusto ed equo per tutti può essere alquanto complesso, ma se si trova anche un solo singolo caso nel quale non sia possibile trovare una soluzione equa, questo è sufficiente a dimostrare che a un mondo del genere potremo magari tendere, ma mai arrivare.

Non si tratta di un esercizio fine a se stesso. È importante raggiungere la consapevolezza di ciò che è possibile e di ciò che non lo è, non tanto per rinunciare a priori ai nostri ideali — lungi da me l’idea — ma per fare le proprie scelte comunque in modo maturo. Infatti, anche se sappiamo che un certo obiettivo è irraggiungibile, nulla ci può impedire di cercare di avvicinarcisi il più possibile. Quello che è importante è farlo mantenendo i piedi per terra e soprattutto evitando approcci ideologici e demagogici che rischiano di far più danni del problema stesso.

Vediamo allora se è possibile trovare uno schema intrinsecamente iniquo che non possa essere risolto, ovvero portato a uno stato di equità.

Prendiamo tre persone disperse nel deserto, a circa trenta chilometri dall’oasi più vicina: un uomo, una donna incinta e un bambino. Non sono parenti, né fanno parte della stessa famiglia. Sono estranei, unici sopravvissuti a un incidente aereo.

Loro sanno dove si trovano, sanno dove si trova l’oasi e quanto dista. Hanno già percorso un centinaio di chilometri sotto il sole e sono distrutti. Per giunta è rimasto loro solo mezzo litro di acqua. Purtroppo sanno benissimo che con quel mezzo litro uno di loro potrebbe raggiungere l’oasi, ma non farebbe in tempo a tornare con l’acqua per i suoi compagni. In pratica quel mezzo litro può salvare solo una persona. Naturalmente potrebbero dividerselo, ma così facendo morirebbero di sicuro prima di arrivare all’oasi. Certo sarebbe un gesto nobile, ma assolutamente inutile.

D’altra parte esiste una remotissima speranza di incontrare qualcuno man mano che si avvicinano all’oasi, ma non sono su una pista carovaniera, per cui è solo una speranza. Insomma, se razionano l’acqua e hanno la fortuna di incontrare qualcuno, si salvano tutti e tre, ma la probabilità che questo succeda è meno dell’un per cento. Se invece uno di loro prende l’acqua e si dirige verso l’oasi, potrebbe a stento farcela a salvarsi, ma gli altri moriranno di sicuro. Anche avesse un contenitore più capiente della bottiglietta da mezzo litro — cosa che non ha — non ce la farebbe comunque a tornare indietro a salvarli.

Così la soluzione più logica è anche quella più ingiusta: due devono morire per salvarne uno. Non solo: l’uomo è un giocatore di tennis, è abbastanza in forma anche se provato. Se sarà lui a prendere la bottiglietta si salverà quasi di sicuro. Viceversa la donna è già abbastanza avanti con la gravidanza: difficilmente ce la farà a raggiungere l’oasi, anche con l’acqua a disposizione. D’altra parte lei rappresenta due vite, non solo una, per cui lasciarla indietro vorrebbe dire sacrificare tre vite per una, non due. Il bambino, infine: è molto giovane, ha solo sei anni, troppo pochi per arrivare all’oasi da solo. Accettato il fatto che solo uno dei tre si possa salvare, la soluzione meno dolorosa potrebbe sembrare quella che vedrebbe cadere sulla donna incinta la scelta, ma in realtà questo comporterebbe comunque la morte per tutti e tre, quattro se si considera anche il feto. Scartata la donna, si potrebbe pensare al bambino allora, avendo ancora davanti a sé una vita intera, ma anche in questo caso l’esito sarebbe lo stesso: non giungerebbe all’oasi vivo. Così, la scelta più razionale è quella più difficile, più ingiusta, più dolorosa: l’unico che veramente ha la possibilità di salvarsi è l’uomo.

Così l’uomo prende l’acqua, lascia indietro gli altri due e si salva. Dopo tre giorni lo trova una carovana di mercanti che lo portano al villaggio più vicino e da lì nella capitale, dove la sua ambasciata lo riporta in patria.

Secondo voi, cosa succederà quando l’intera storia sarà resa pubblica? Come sarà considerato quell’individuo? Non ci sono molti dubbi: sarà marchiato come un mostro, nel migliore dei casi un insensibile senza cuore che pur di salvarsi ha lasciato morire una donna incinta e un bambino di soli sei anni. Fosse morto con loro sarebbe stato un eroe, morto, ma eroe. Così invece è trattato come un essere ignobile, che verrà criticato e condannato da tutti.

Ma era possibile una soluzione diversa? Una vita su tre, quattro se volete, così si è riuscita a salvare. Questo è un fatto, inconfutabile. L’alternativa sarebbe stata la morte di tutti e quattro. Tutti lo sanno, ma nessuno ha il coraggio di dirlo. Alcuni per ipocrisia, dato che nella stessa situazione avrebbero fatto in realtà lo stesso, altri — in buona fede — perché non sono disposti ad accettare la realtà dei fatti, e in effetti si sarebbero veramente sacrificati senza pertanto che questo servisse ad alcunché.

Brutta storia, vero? Di quelle alle quali non ci piace pensare, tutti abituati dalla televisione e dal cinema all’happy ending e all’eroe senza macchia e senza paura che si sacrifica pur di salvare gli altri. Ma il fatto è che nella realtà non sempre il sacrificio salva gli altri: a volte è inutile, e lo si sa fin dall’inizio.

Questo è solo un esempio, ma se ne potrebbero fare a migliaia. Ci sono situazioni in cui l’unica soluzione — non la migliore, ma proprio l’unica — è ingiusta, iniqua. Purtroppo ci sono persone che non sono disposte ad accettarlo e così, di fronte ad uno di questi casi, propongono soluzioni solo in apparenza più giuste, più belle, più nobili, il cui esito è semplicemente disastroso. E chi lo fa notare è marchiato come un insensibile, un mostro appunto.

E così siamo tornati alla domanda iniziale: «È possibile raggiungere un ideale di equità e giustizia per tutti sulla Terra?» La mia risposta a questo punto è no. Certo, possiamo provarci, anzi, dobbiamo provarci, ma dobbiamo anche essere consapevoli che guerre, odio e violenza non sono la conseguenza solo di interessi economici di grandi corporazioni o di quelli politici di alcuni governi: in realtà odio, violenza, ipocrisia, pregiudizio e quant’altro porta gli esseri umani a combattersi fra di loro, è in ognuno di noi. Le guerre non sono originate da pochi, dai potenti. Non che non siano gli interessi economici e politici a portare allo scontro, ma anche là dove la gran massa della gente viene manipolata da pochi, questi possono farlo perché quella stessa massa si fa manipolare, e lo si fa perché a sua volta fa le sue scelte in base ai propri interessi, ai propri desideri e soprattutto alle proprie paure.

Il mondo è ingiusto perché noi lo siamo, tutti noi. Anche quelli che inneggiano alla pace, alla non violenza, all’amore. Perché nel loro piccolo, nel loro quotidiano, nei rapporti con gli altri, nella vita di tutti i giorni, anche loro condividono con il resto dell’umanità gli stessi difetti e le stesse virtù di tutti gli altri. Ma non lo ammetteranno mai. Perché loro sono i giusti, i buoni, i puri. Solo che è proprio in nome di tanta purezza e giustizia che in passato si sono perpetrate le peggiori iniquità.

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Commenti (1) a «Utopia»

  1. Aribandus ha detto:

    Cavolo che bel post.

    Bravo, veramente, hai detto una cosa veramente saggia, e vera. Assolutamente vera.

    I giusti, i buoni e i puri hanno anche paura di venire atichettati. Per vari motivi. Uno di questi è la vigliaccheria, il secondo è la convenienza.

    E si potrebbe andare avanti all’infinito.

    Condivido pienamente, bravo, gran bel post.

    Ciao.

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