Anatomia di un terrorista



Ogni tanto ripenso agli attentati terroristici degli ultimi anni: penso alle torri gemelle a New York, penso ai treni di Madrid, a tutti quei bambini di quella scuola nell’Ossezia del Nord. Soprattutto penso ai tanti piccoli attentati in cui ragazzi e ragazze palestinesi si sono fatti saltare in aria ammazzando così tanti coetanei alle fermate degli autobus e nelle discoteche israeliane. E poi ai mercati iracheni, alle stazioni di polizia, alle decine, centinaia di bombe umane che ogni giorno si ritagliano un proprio spazio nei telegiornali e sui quotidiani.

Ripensando a quelle immagini, a quelle storie, viene spontaneo chiedersi «Ma come è possibile? Come può un uomo, una donna, alcuni poco più che ragazzi, ammazzare con tanta indifferenza uomini, donne e bambini. Come può una terrorista inseguire un bimbo di pochi anni che scappa e sparargli alla schiena, o un giovane farsi saltare in aria in mezzo a decine di ragazzi e ragazze che ballano, ignari che la loro vita stia per finire così presto?

Troppo facile dire «sono terroristi». Che cos’è un terrorista? Coma mai un terrorista può uccidere così spietatamente e io no? Non sto parlando dei capi, dei vari Bin Laden, di coloro che del terrore ne hanno fatto una strategia, che muovono milioni di dollari, uomini e armi in tutto il mondo. Dimentichiamoci di loro, per un momento. Pensiamo agli altri, alla carne da cannone, al ragazzino di sedici anni con una cintura d’esplosivo o alla donna di trenta con il burka nero e il kalashnikov in mano. Fanatismo religioso? Lavaggio del cervello? Propaganda? Certo, ovviamente: spiegano molte cose.

Ma ora tu sei lì con lui, su quell’autobus, anzi, tu sei lui. Tu odi quei ragazzi che non fanno parte del tuo mondo, quelle ragazzine che parlano un’altra lingua. Li odi, eppure sei lì, e loro scherzano, parlano, ascoltano la stessa musica che ascolti tu, dicono le stesse sciocchezze che dici tu con i tuoi amici, sono come te. Eppure ti alzi, guardi in faccia quella brunetta che avrà un anno meno di te, le sorridi, lei ti contraccambia il sorriso, arrossisce, e tu… tu ti fai saltare in aria. Urla, grida, puzza di carne bruciata, di interiora, di sangue e lei non c’è più. A terra rimane solo il suo zainetto con sopra uno dei tanti personaggi dei cartoni giapponesi che vanno tanto di moda anche qui da noi.

Perché? Perché la tua vita, la sua vita, la vita di quel bebè in braccio a una donna della tua stessa gente che ha avuto la sfortuna di prendere quel bus e diventare così anche lei martire per la libertà — involontaria ovviamente — tutte quelle vite, per te, non hanno alcun valore. Ecco dov’è la differenza. La vita non ha valore, non conta. Non solo quella degli altri, come per i banditi, ma la tua, la tua stessa vita. Hai perso qualcosa, qualcosa che ti impedisce di dire a te stesso: «Ma cosa sto facendo? Sono del tutto impazzito?»

Quando possa essere successo è difficile dirlo. Forse è successo quando tre soldati hanno violentato tua sorella, o forse quando hanno massacrato a calci e pugni tuo padre perché li ha denunciati — tanto non è servito a niente — o ancora quando quella bomba è caduta sulla tua casa ammazzando quello che ti restava della famiglia e anche un po’ di vicini, per solidarietà. Ma… tanta gente soffre, tante persone subiscono violenze di ogni genere, eppure non diventano terroristi. Quanta violenza si deve subire per arrivare ad anestetizzarsi completamente per non soffrire? Perché è questo il meccanismo: a un certo punto il dolore diventa tale, la rabbia tanta, che qualcosa ti scatta dentro, si rompe e di colpo non ti importa più di nulla. Stai bene, va tutto bene, perché soffrire? La vita? Cos’è la vita, cosa conta? Perché mi dovrebbe dispiacere di ammazzare quella ragazzina? Anche mia sorella è morta e — vedi? — nessun dolore, non ha importanza, nulla ha importanza.

Certo, forse qualcuno con un carattere più forte avrebbe reagito diversamente, se non avessi trovato tutta quella brava gente che ti ha parlato di guerre sante e di martirio, magari non ti saresti messo intorno alla vita quella cintura di morte, ma loro sono la tua gente, loro sono saggi, loro hanno ragione, è una guerra giusta e il nemico è cattivo, è senza cuore, e quando cresceranno i loro bambini saranno anche loro senza cuore, e le loro bambine diventeranno donne e faranno altri bambini senza cuore. Loro sono il Male. Su questo non ci sono dubbi.

Ogni tanto ripenso agli attentati terroristici degli ultimi anni. Quanto dolore, quanta sofferenza hanno procurato quelle morti. Ma a volte mi domando: di quanta sofferenza e quanto dolore si sono dovuti riempire i cuori di quegli uomini e di quelle donne che altri, con abilità e freddezza, hanno trasformato in tante armi a costo quasi zero da lanciare contro i loro nemici? E quanto di quel dolore avrebbe potuto essere evitato? Perché se lo si fosse evitato, allora i vari Bin Laden, anche con i loro milioni di dollari nelle banche di tutto il mondo, con chi l’avrebbero fatta la loro guerra? Qualche mercenario forse, qualche professionista, ma non sono tanti e quelli, alla loro pelle, ci tengono. Non ci sarebbe stata certo la pace, il classico «e tutti vissero felici e contenti», ma probabilmente ora tu e quella brunetta stareste ballando in una discoteca di Tel Aviv, pensando che in fondo la vita è bella quando si hanno solo sedici anni.

Commenti (6) a «Anatomia di un terrorista»

  1. CyberUrania ha detto:

    Sono daccordo con le tue conclusioni, gli attentati terroristici sono l’effetto, le cause sono altrove, nei giochi politici e negli interessi capitalistici delle grandi potenze mondiali.

    Un saluto

  2. erep ha detto:

    Terrorista.Quanti tipi ci sono di terroristi.In europa ci sono e hanno ucciso. Gli islamici sono suicidi. Politica, religione, fanatismo, povertà. Alcuni comuni denominatori. Su questa gente, solo su questa attecchisce il desiderio di uccidere il “nemico” qualunque esso sia.

    e nella forma più vigliacca.

    Hai messo delle immagini atroci quanto realistiche. Il terrorismo, qualunque esso sia va combattuto con qualsiasi arma a nostra disposizione.

  3. Dario de Judicibus ha detto:

    È vero, dobbiamo combattere il terrorismo, ma non sempre questo vuol dire combattere solo i terroristi. Tu parli dell’Europa… vediamo: ETA e IRA? Un terrorisnmo diverso, è vero, perché non ha quasi mai usato attacchi suicidi. Il terrorismo europeo è stato molto più simile, nel suo modo di lottare, alla resistenza partigiana. D’altra parte è logico, dato che quella era l’esperienza europea di combattimento clandestino.

    Se ci pensi, però, la mancanza di attacchi suicidi non è che la renda più nobile, più umana. L’IRA ha ammazzato senza pietà donne e bambini, e spesso, se non eri d’accordo con i suoi metodi, puniva anche quelli della sua gente. Usava veramente il terrore. L’ETA in certi periodi ha cercato di colpire in modo mirato determinati individui, ma anche lì le stragi di civili non mancano. Il fatto è che comunque era un terrorismo ricco in Paesi ricchi, ovvero in un mondo, in una cultura, nella quale non vale la pena di ammazzarsi, ma è molto meglio ammazzare il nemico.

    ETA, IRA, Brigare Rosse, … tutti questi gruppi facevano della lotta armata il loro ideale, per loro era una sorta di rivoluzione, tanto che alcuni brigatisti veramente credevano che il popolo potesse indorgere al loro fianco. Una delle presunzioni dell’integralismo e del fanatismo, di chi pensa di avere sempre e comunque ragione, d’accordo, ma la caratteristica fondamentale che contraddistingueva quel terrorismo, era che lottavano nel loro Paese. Questo terrorismo lotta soprattutto per distruggere l’avversario, agisce in altri Paesi. Lo scenario è completamente diverso.

    Nota che, anche in Palestina, dove lo scenario è più simile a quello dell’Irlanda del Nord, la vera forma di lotta dei palestinesi è l’intifada. Gli attacchi suicidi sono stati introdotti dagli integralisti islamici, non sono propri dei palestinesi.

    Il fanatismo dei kamikaze nasce da due componenti: l’indottrinamento religioso e la disperazione. La prima trova uno sbocco alla seconda. Eliminando il secondo fattore, il primo avrà meno massa su cui operare. Per cui, combattere il terrorismo vuol dire anche combattere la povertà, la miseria, anche culturale, l’ignoranza, la disperazione.

    Pensare che il terrorismo possa essere combattuto solo con l’intelligence e con le armi è una strategia perdente, a mio avviso.

  4. etty ha detto:

    mi viene in mente quando lo scorso novembre ho preso un autobus gerusalemme-tel aviv (il taxi costava troppo, anche se avevo promesso a mio fratellino di non prender mai l’autobus in israele…). Mi viene in mente la mia paura, mi guardavo intorno.

  5. Dario de Judicibus ha detto:

    Ti capisco. Io in Egitto viaggiavo con due jeep della polizia di scorta con sopra montate due mitragliatrici.

  6. Aribandus ha detto:

    Condivido, combattere il terrorismo solo con le armi è una strategia perdente.

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