Sarà, ma io non la capisco questa «giustizia»



Due fatti di cronaca, due casi giudiziari, uno di poche settimane fa e uno del luglio 2003, entrambi accomunati da un’interpretazione estremamente garantista e, se vogliamo, buonista di due atti delittuosi che di buono hanno ben poco. Due casi fra tanti che contribuiscono ad accentuare ancora di più quel baratro che oramai si è formato fra il nostro sistema giudiziario e i cittadini italiani, di qualunque fede politica o religiosa siano. Due sentenze che danno da pensare e preoccupano chi crede ancora che debba esserci giustizia vera, ma in questa "giustizia" non ci si riconosce più.

IL FATTO: un paio di settimane fa, il 5 febbraio, a Lecco, all’ingresso dell’Oratorio San Luigi, sul sagrato della basilica di San Nicolò, tre zingare si avvicinano al passeggino nel quale è seduta, avvolta in una copertina rosa, una bimba di sette mesi. Secondo la madre, le due donne, accompagnate da una ragazzina di 12 anni, hanno prima accerchiato la donna, poi hanno cercato di prendere la bambina. La madre ha allora iniziato a urlare e ha difeso la bambina, quindi è corsa a denunciare il fatto alla questura.

Poco dopo le tre Rom vengono arrestate e al processo le parti si accordano per riqualificare il reato da «tentato rapimento» a «tentata sottrazione di persona incapace». In questo caso la pena prevista è di tre anni ma, dato che il tentativo non è riuscito e in seguito ad altre circostanze ritenute attenuanti, la pena è stata ridotta a otto mesi. Inoltre, non essendo consentita in questo caso la misura cautelare, è stata successivamente disposta la scarcerazione immediata delle tre zingare, seppure fossero state condannate.

IL FATTO: Il 2 luglio del 2003 Gioacchino Lombardo, 51 anni, viene preso a calci e pugni dal figlio ventisettenne Vincenzo e da altre persone e quindi, creduto morto, messo nel bagagliaio di un auto, portato a Pavia, e lì bruciato assieme alla macchina alla quale era stato dato fuoco per nascondere le tracce del delitto. Il motivo, questioni di gelosia dovute al fatto che sia il padre che il figlio si erano innamorati di una ventenne rumena. In realtà il padre, secondo quanto è emerso dall’autopsia, era ancora vivo e quindi fu il rogo della macchina a ucciderlo.

Oggi, a distanza di un anno e mezzo, Vincenzo Lombardo è stato scarcerato per scadenza dei termini di custodia cautelare. Inoltre il GIP Roberto Spanò ha modificato l’accusa da omicidio volontario a tentato omicidio in concorso e omicidio colposo.

Si è detto molto su questo caso e fra le tante cose anche che «il giudice si è limitato ad applicare la legge». Ma è veramente così? Facciamo un paio di considerazioni.

Anche qui ci sono da fare alcune considerazioni e anche in questo caso è stato il magistrato inquirente, ovvero il GIP, a riqualificare l’accusa.

Primo: le zingare sono state condannate per il reato di tentata sottrazione di minore, il che vuol dire che il giudice ha riconosciuto come ci sia stato da parte delle tre donne il tentativo di prendere la bambina. Se non avesse creduto alla madre le avrebbe infatti assolte perché il fatto non sussiste. Quindi, è stato accertato come ci sia stato effetivamente un tentativo di portar via il figlio alla madre. Se il tentativo fosse riuscito ci saremmo trovati di fronte a uno dei tanti casi di bambini scomparsi che purtroppo affliggono il nostro come tanti altri Paesi, ma non è riuscito, e questo sembra motivo sufficiente per non dar troppo peso a quanto accaduto.

Primo: si parla comunque di tentato omicidio. Quindi vuol dire che è stata riconosciuta la volontà di uccidere l’uomo, tanto che quando questi si è accasciato a terra esanime lo si è ritenuto morto e ci si è adoperati per far sparire le tracce del delitto. Ora non si capisce — no, scusate, io non capisco — per quale motivo il fatto che il solo non essere riusciti ad ammazzare qualcuno, non certo per mancanza di buona volontà, ma perché la vittima è riuscita a sopravvivere, renda meno esecrabile un tentativo di omicidio, ovvero perché un tentato omicidio sia da considerare da meno dell’omicidio portato a termine quando tale esito non sia dipeso dall’aggressore.

Secondo: il reato di sottrazione di minore è applicabile quando un minore viene sottratto ma non c’è intenzione di violenza nei suoi confronti. Ad esempio, la sottrazione di minore si può imputare a un genitore separato che sottrae il figlio all’altro genitore, oppure a un nonno che porta via un bambino a una madre. In tutti quei casi in cui la sottrazione avviene, senza che esista l’intendo di fare del male al bambino, qualunque sia il motivo, si può parlare di sottrazione di minore. Ma se un estraneo porta via un bambino a un genitore c’è di fatto già un’evidente violenza nella sottrazione in sé. La sottrazione da parte di un genitore, un parente e persino un amico, può non creare grossi traumi al bambino — non subito almeno — anche se pure in questi casi, a meno che non sia stata fatta per proteggerlo, comporta comunque sofferenza per il minore. Ma quella da parte di un estraneo è sempre un trauma, perché incide profondamnete sull’aspetto affettivo ed emotivo del bambino. L’equiparazione fra violenza psicologica e violenza fisica è qualcosa che i nostri magistrati non sembrano comprendere, tanto che nelle cause di separazione il ritardo nel pagare un assegno di mantenimento è considerato un reato ben più grave che impedire a un genitore di vedere il figlio per mesi.

Secondo: sì è dato fuoco a una macchina con all’interno del baule un essere umano. Certo, se il figlio era veramente convinto che il padre fosse già morto, in teoria si dovrebbe parlare di omicidio colposo, ma come facciamo a sapere che è vero? Ad affermarlo ci sono solo gli imputati, i quali ovviamente hanno tutto l’interesse a farlo. Non ci sono riscontri oggettivi. In fondo, abbiamo detto, il tentato omicidio c’è stato, la volontà di uccidere c’era, e allora perché non continuare ad assumerla? O forse che se il figlio si fosse accorto che il padre era ancora vivo non avrebbe comunque dato fuoco alla macchina? E perché, se lo voleva morto?

Terzo: c’è stata una condanna, sono stati applicati tutti gli sconti di pena e alla fine comunque è stata prevista una pena di otto mesi per le due donne. Perché non è stata applicata? Che senso ha condannare qualcuno a una pena detentiva, soprattutto a fronte di un reato facilmente reiterabile, se poi si liberano le colpevoli? Dopo tutto il tentato sequesto — me ne vorrà il giudice, ma tale lo considero ancora — non era legato a fattori contingenti e non ripetibili, ovvero non c’è alcun motivo perché le due zingare non debbano provarci di nuovo fra un mese o un anno, magari stavolta accertandosi di aver distratto prima la madre. E se succedesse di nuovo? Se questa volta ci dovessero riuscire, quali saranno le conseguenze per quel giudice che con tanta magnanimità le ha lasciate libere?

Terzo: un omicidio è colposo quando non c’è volontà di uccidere. Se io lascio il gas aperto prima di uscire, la casa salta e una vicina muore, è omicidio colposo. Se un ingegnere sbaglia un calcolo, il ponte crolla mentre ci passa sopra un automezzo pesante e l’autista muore, è omicidio colposo. Se voi date un pugno a uno che ha tentato di violentare la vostra ragazza e lui, cadendo, batte la testa sullo spigolo del marciapiede e muore, è omicidio colposo. Ma questo? Questo è omicidio colposo? Un figlio picchia a morte il padre, lo chiude in un bagagliaio e dà fuoco alla macchina. Cosa c’è di colposo in tutto ciò?

La realtà dei fatti? Nessuna.

La mia opinione? Niente.

Non sono un esperto di diritto e non so quindi se da un punto di vista formale tutto ciò sia corretto, anche se pure di quello dubito. Non so altresì se tutto questo sia da imputare ai magistrati, inquirenti o giudicanti, oppure alle leggi. Quello che so è che questa per me non è giustizia, così come non sono giustizia tanti altri casi dei quali ho avuto evidenza diretta sia in ambito civile che penale e dei quali purtroppo, per non trovarmi nei guai con questa stessa "giustizia", non posso parlare. Quello che so è che io, in questa giustizia, non ho più alcuna fiducia. Da essa non mi sento tutelato ma preso in giro, anzi, di più, offeso e danneggiato.

Commenti (7) a «Sarà, ma io non la capisco questa «giustizia»»

  1. TradeMark ha detto:

    Un post molto interessante. Non so come sei arrivato al mio blog, e certo è un caso che si sia commentato entrambi il medesimo fatto di cronaca, anche se con toni assai diversi. Da quello che capisco ci accomuna però una cosa… l’incredulità di fronte a certi fatti ed il perdurante stupore nonostante la frequenza con cui si ripetono. Un saluto

  2. RagAzZoiNferNaLE ha detto:

    Non dovrebberò stupire.Ormai fanno parte della normalità.Purtroppo.

  3. utente anonimo ha detto:

    Non sono d’accordo: la normalità è il modo con cui si giustifica accettazione e assuefazione.

    Normalità era anche il meccanismo industriale di mazzette che c’erano nella Prima Repubblica. Non che le mazzette non ci siano ancora, ma almeno lo si fa con un po’ meno di faccia tosta, con più attenzione. Normalità era il fatto che lo stupro fosse un reato contro la morale e non la persona.

    Normalità oggi è la sottrazione di minore da parte dei genitori affidatari, non sanzionabile per legge. Normalità è oggi il fatto che nelle cause di separazione i padri siano considerati genitori di serie B.

    Noi stiamo combattendo questa “normalità”, contro gli avvocati e purtroppo anche contro molti magistrati. Ma siamo determinati a cambiare le cose. A far sì che normalità diventi anche sinonimo di giustizia.

  4. Gnash ha detto:

    @Utente anonimo: NOI chi?

  5. Dario de Judicibus ha detto:

    Si riferisce alle associazioni di mamme e papà separati: Crescere Insieme, la Federazione Nazionale per la Bigenitorialità, Padri ad Ore, Gesef, Ex, Padri Separati, le Associazioni per la Riforma, e molte altre ancora.

  6. utente anonimo ha detto:

    Forse dovreste informarvi meglio, in realta’ il caso delle zingare rubabambine e’ una bufala clamorosa che solo l’incompetenza del giudice e l’ignavia dell’avvocato d’ufficio che hanno trovato la stupida uscita di una imputazione sbagliata per lavarsi le mani e cavarsi dall’impiccio di dover assolvere le tre malcapitate zingare.

    Tutta l’accusa era basata sulla dichiarazione della povera mamma che (evidentemente facilmente spaventabile) ha creduto di sentire una delle zingare dire “prendi il bambino!”, il problema per l’accusa e’ che nessuna delle tre zingare parla l’italiano … per non mettersi contro l’isteria razzista della propria comunità i due legulei si sono inventati quella schifezza di accordo alle spalle delle tre zingare che alla fine sono le vere vittime di questa squallida storia insieme alla povera mamma tettorizzata dalle false storie sugli zingari. Dovete sapere che non esiste alcuna prova a supporto della leggenda metropolitana che gli zingari rapiscono i nostri bambini mentre esistono moltissimi documenti storici che dimostrano dal 1300 ad oggi che semmai e’ vero il contrario, cioè che sono i membri della nostra cultura che periodicamente sottraggono con pretesti “umanitari” o “di civilizzazione” bambini alle comunità zingare.

  7. Dario de Judicibus ha detto:

    Caro anonimo, evidentemente non hai letto bene l’articolo. Io ho fatto notare come ci sia una profonda incoerenza fra l’aver ammesso che ci fosse stato effettivamente un tentativo di rapimento e l’averlo invece qualificato come sottrazione di minore. Infatti ho scritto che «il giudice ha riconosciuto come ci sia stato da parte delle tre donne il tentativo di prendere la bambina».

    Se le donne erano innocenti allora dovevano essere assolte per non aver commesso il fatto. Io non posso, e ho il sospetto che neanche tu possa, dire se le donne fossero innocenti o meno. Quello che posso dire è che la sentenza non ha il minimo senso.

    In quanto al fatto che questo genere di fatti non avvengono, ho paura che tu sia cascato male. Una mia amica ha subito un tentativo di sequestro della bambina da parte di alcuni zingari diversi anni fa a Roma, e di quello ne sono sicuro.

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