Just a matter of time



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Qualche giorno fa si parlava in televisione del fatto che presto saremo sette miliardi sulla Terra. Il giornalista stava intervistando un esperto che, di fronte alla constatazione che nel 2012 potremmo raggiungere una tale cifra, faceva notare come ancora molte persone nel mondo muoiano di fame e per la mancanza delle cure più elementari, non potendosi permettere di acquistare i farmaci necessari.

 

Ovviamente ascoltavo attento e, altrettanto, ovviamente, mi ritrovavo d’accordo con lui sul fatto che, come Paesi più sviluppati e conseguentemente più ricchi, abbiamo il dovere di aiutare coloro che sono più poveri di noi e che spesso si trovano a non avere neppure lo stretto necessario per sopravvivere. Poi, il mio demone personale ha preso il sopravvento.

Già, perché dentro di me abita un demone freddo e logico, che non si lascia commuovere da nulla e analizza senza emozioni tutto ciò che mi capita di ascoltare. Non è piacevole conviverci e spesso mi crea dei problemi, perché mi riesce difficile spiegare agli altri la coesistenza fra un me stesso sensibile e attento alle sofferenze che affliggono la maggior parte delle persone nel mondo, e questa creatura amorale che, con fredda lucidità, fa affermazioni che attirano su di me sguardi d’incomprensione e disaccordo.

Eppure è così. Fa parte di me e non posso ripudiarlo. Così, per esorcizzarlo, gli do voce, lasciando ad altri contrastarlo o, quantomeno, confutarlo.

Già, perché mentre ascoltavo la televisione, il demone mi diceva: Dario, ma qual è il problema? Nel 2012 saremo 12 miliardi? Beh, questo vuol dire che la questione è che ci saranno meno risorse per tutti, anche perché a crescere sono soprattutto le popolazioni dei Paesi emergenti, popolazioni che agognano al nostro stile di vita, ovvero a consumare, ad avere, possedere, a una vita di agi e di divertimento, almeno se la si paragona a quella che fanno moltissime persone nel Terzo Mondo. Quantomeno a una vita più lunga e quindi a spese dello Stato, dato che dopo una certa età, da noi si ritiene che sia un diritto avere una meritata pensione, e così sarà anche per loro. Dunque perché dovremmo aiutare gli altri popoli? Non è illogico che di fronte ai problemi conseguenti all’incremento demografico, noi si faccia di tutto per aumentare ancora di più la popolazione dando da mangiare agli affamati, curando gli ammalati, ponendo fine ai conflitti?

Nel frattempo ascoltavo anche il giornalista e il suo ospite in studio che parlavano di come far sì che sempre più persone avessero accesso all’acqua potabile e a cure mediche, di come si dovrebbe cercare di mediare per riportare la pace in tante regioni del pianeta, di come tutto ciò è un nostro obbligo morale… e a quel punto mi sono reso conto di come la logica e la morale spesso non abbiano un punto di convergenza. Non potevo non condividere quanto detto in televisione ma allo stesso tempo non potevo non notare come la morale non solo non portava a risolvere il problema, ma proponeva tutta una serie di azioni che avrebbero di fatto reso quel problema ancora più critico.

Ero confuso. Iniziai a dire a me stesso che avremmo trovato sicuramente una soluzione al problema dell’incremento demografico e della riduzione delle risorse naturali, magari consumando di meno, cambiando stile di vita, ma poi il demone riprese di nuovo il sopravvento. Certo, mi disse, possiamo cambiare stile di vita, diminuire i consumi, aiutare gli altri popoli a raggiungere un livello dignitoso di qualità della vita, ma sei proprio sicuro che questo risolverà il problema? Non credi che si limiterà a ritardare l’inevitabile, piuttosto? Perché vedi, anche se riduci i consumi al minimo necessario, molte risorse naturali sono comunque già vicine ad esaurursi e non sempre la tecnologia è in grado di compensare. Forse riusciremo a garantire la sopravvivenza a sette miliardi di persone, forse anche a dodici, ma quando saremo venti nel 2100? Perché 20 miliardi di persone non riusciranno a vivere decentemente neppure se tornassimo tutti a pane, acqua e bicicletta, credimi.

 

I conflitti, la fame, le malattie, sono quelle che finora ci hanno permesso di sopravvivere, continuò il mio demone. Cosa credi succederà quando non ci saranno che pochissime risorse? La pace, la qualità di vita raggiunta per tutti grazie a un diverso stile di vita mantenuto con determinazione e cocciutaggine magari per vari decenni svanirà in pochi anni. La gente incomincerà a combattersi per un pezzo di pane, un po’ d’acqua, una tanica di carburante o un’ora di energia elettrica. Moriranno milioni, forse miliardi di persone, la storia e la tecnologia torneranno indietro di un paio di secoli per poi tentare lentamente di tornare ai fasti di una volta ma, senza più le risorse del passato, impegnati a sopravvivere, probabilmente l’umanità non riuscirà a ritrovare le tecnologie perdute, a riportarsi ai livelli precedentemente raggiunti, mentre la natura continuerà a farci riprodurre come prima e la spada di Damocle dell’incremento demografico riapparirà di nuovo, e questa volta non ci sarà più alcun stile di vita da cambiare, alcuna ricchezza da ridistribuire.

D’accordo, mi sono detto, ma nel frattempo potrebbero arrivare nuove scoperte, potrebbero essere sviluppate nuove invenzioni in campo energetico, alimentare o medico. Ne ero convinto: abbiamo fatto passi da gigante negli ultimi secoli! Già, mi rispose subito quello, che non aspettava altro che proferissi quelle parole, ma quello che dici tu è un “potrebbe” mentre quello di cui parlo io è un “sarà”. Forse scopriremo una nuova fonte di energia, forse no, ma 20 miliardi di persone che vogliano vivere come viviamo noi oggi, non dico da ricco, ma accontentandosi di poco più di quello che ci serve, questo pianeta non è in grado di reggerli. Cosa faremo se quel “potrebbero” non si realizzerà?

Dunque era questo il dilemma? Ignorare la morte e la sofferenza che affliggeva gran parte del mondo per poter continuare a fare la vita di sempre, oppure cambiar vita, aiutare gli altri a sopravvivere, col rischio di arrivare comunque al punto che ci scanneremo per un pezzo di pane? Non mi andava di dargliela vinta al mio piccolo demone e lo aggredii. D’accordo, gli dissi, supponiamo di fare come dici, di lasciare che gran parte del mondo soffra e muoia per poter mantenere ciò che abbiamo, ma non è anche questo un modo per rimandare l’inevitabile? Forse la crisi non avverrà nel 2100, forse dovremo aspettare altri cinquant’anni, ma alla fine comunque le risorse le finiremo e se, come affermi, non è detto che nuove tecnologie ci salveranno sul filo di lana, allora la crisi sarà comunque inevitabile.

Ci fu un attimo di silenzio. Tutto si può dire del mio piccolo demone, salvo che sia in malafede. Stava pensando. Poi, lentamente, senza alcuna emozione, senza rabbia o tristezza, la voce piatta che non lasciava trasparire alcunché, disse: è giusto, hai perfettamente ragione. Gongolavo. Era la prima volta che riuscivo a prenderlo in contrpiede. Hai ragione, ripeté, è solo una questione di tempo per noi: cinquanta o duecento anni poco importa. Alla fine, l’umanità è comunque condannata.

 

Sentii un sapore amaro in bocca, perché non sapevo cosa replicare. Sì, certo, c’era sempre la speranza di una scoperta, una svolta epocale, come altre ce n’erano state tante nella storia dell’umanità, ma sapevo che aveva ragione. Era solo una questione di tempo. È sempre solo una questione di tempo.

Comments (3) to «Just a matter of time»

  1. utente anonimo says:

    nonostante l'argomento spinoso e delicato il tuo è un post davvero bello e ben scritto e, per quanto mi dispiaccia ammetterlo, arriva anche ad una conclusione a cui è difficile controbattere…
    una cosa però è certa, l'inevitabilità della situazione che ci si presenta davanti non dev'essere da giustificazione per una sottomissione ad essa, "un'arrendevolezza" ad un finale che già conosciamo; non possiamo permetterci di dire "ok, tanto è solo una questione di tempo, quindi chi cazzo se ne frega di cambiare stile di vita o cose del genere"
    accettare che la situazione è questa non significa arrendersi ad essa ma prenderne atto e, stoicamente, fare il possibile per cambiare e per adottare uno stile di vita maggiormente etico e sensibile a dinamiche diverse…
    un saluto 🙂

    alexandro

  2. @alexandro Concordo in pieno con te. Il mio articolo non voleva essere una mano tesa a chi, di fronte a un finale più o meno inevitabile, lo volesse utilizzare come scusa per fregarsene della situazione e continuare a fare i propri comodi ignorando le responsabilità che abbiamo, tanto più che 500 o 1000 anni sono comunque tante generazioni future nei confronti delle quali abbiamo un dovere. Stavo solo evidenziando una possibilità che forse potrà non piacere ma che a mio avviso è decisamente molto probabile.

  3. POST SCRIPTUM

    Stavo proprio oggi ragionando a mensa con un collega di lavoro sul fatto che molto probabilmente ogni pianeta in grado di produrre vita intelligente, probabilmente finirà per portare alla civilizzazione di una sola specie. 

    Infatti, dopo un lunghissimo percorso evolutivo che sarà servito a raffinare sufficientemente una specifica specie affinché assurga al ruolo di dominante sul piano intellettuale, molto probabilmente lo sviluppo tecnologico finirà per sopravanzare quello culturale e quindi quella specie finirà per esaurire le risorse naturali di quel pianeta, sopratttutto i combustibili, prima di essere diventata abbastanza matura da costruire un'economia sostenibile.

    A quel punto, anche se l'estinzione di quella specie aprirà nicchie di crescita per una seconda specie, probabilmente questa erediterà un pianeta già depauperato delle materie prime essenziali per sviluppare una società progredita e quindi per innescare un nuovo ciclo.

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