Pura vita



Pura Vita
di Marinella Saiu

Ormai è una consuetudine: i romanzi di Andrea De Carlo compaiono nelle librerie e immediatamente scalano i vertici delle classifiche dei libri più venduti. E così è stato anche per «Pura vita» (Mondadori), l’ultimo lavoro dello scrittore milanese. «Pura vita» è un dialogo intenso, ritmato, ossessivo, tra un uomo e una ragazza: Giovanni, storico famoso, e la riservata figlia sedicenne. Dialogo interrotto a tratti da telefonate, e-mail, SMS, scambiati dal protagonista con una donna che forse non ama più, ma dalla quale non riesce ad allontanarsi. Sullo sfondo una Camargue semideserta, in cui la nudità del paesaggio si contrappone alla varietà dei temi trattati dallo scrittore che pare voler psicoanalizzare se stesso e la realtà che lo circonda.

In «Pura vita» lei ha privilegiato quasi esclusivamente i dialoghi e lasciato pochissimo spazio alle descrizioni. Perché questa scelta?

Avevo voglia di sperimentare una tecnica diversa rispetto agli altri miei romanzi. Quella del dialogo è antica, ma applicata a temi di oggi offre delle possibilità sorprendenti. Ti permette di aggirare un argomento e stringerlo in un angolo, metterlo con le spalle al muro, esaminarlo in ogni dettaglio.

Nel libro il protagonista formula molte domande. E De Carlo ha le risposte a quelle stesse domande?

No, o almeno non più del protagonista del mio libro. Il massimo che io e lui riusciamo a trovare sono risposte parziali, che finiscono per aprire altre domande. Ma quello che mi interessava era appunto scrivere un libro di domande, non di risposte.

Il personaggio di Giovanni è quello di un uomo irrisolto, incapace di proteggere i propri sentimenti, restio a prendersi delle responsabilità, pieno di sensi di colpa e timoroso di essere inadeguato nei confronti della figlia. E’ questa la realtà della sua generazione?

È la realtà di molti uomini di oggi, indipendentemente dalla generazione a cui appartengono. Non volevo tracciare un ritratto edulcorato, ma essere sincero ai limiti della spietatezza. Del resto i difetti di un personaggio sono spesso più interessanti delle sue qualità e causano scie più lunghe e più profonde di riflessioni.

L’interlocutrice dei suoi dialoghi è una ragazza sedicenne, che si rivela poi sua figlia, che ascolta molto e racconta poco dei suoi pensieri. Le interessava approfondire le domande di Giovanni o gli adolescenti sono davvero impenetrabili?

Gli adolescenti tendono a non uscire molto allo scoperto con gli adulti, tranne quando si scontrano con loro. La loro impenetrabilità è una difesa, ma chi si ricorda di quando era al loro posto sa cosa c’è dietro. Anche per questo volevo che il tentativo di dialogo da parte di Giovanni avesse una qualità quasi ossessiva, fino a portare i due a un punto di rottura in cui il carattere di lei e i suoi pensieri si rivelano.

La ricerca del punto di rottura si ritrova in molti suoi libri, quasi fosse un modo per mettere alla prova chi interagisce con lei. Mi sbaglio?

In parte è proprio così. E arrivare a un punto di rottura è sempre interessante, all’interno di un romanzo: provoca reazioni a catena, rivela caratteri, espone ruoli, rende improvvisamente possibili azioni che fino a quel momento erano rimaste in uno stato latente.

Eppure in «Pura vita» scrive che non sopporta l’idea della fine: di un libro, di un film, di una canzone, di un amore: «…continuo a schiacciare quel tasto repeat. Non importa quanto va male, quanto tutto sia già deteriorato e guastato. Non voglio che finisca, e basta».

Sì, quando il libro o il film o l’amore mi piacciono davvero. Vorrei che il loro spirito rimanesse vivo per sempre, senza attenuarsi né esaurirsi, né scivolare a far parte dei ricordi del passato. Per il resto, la maggior parte delle fini è solo una liberazione che apre nuove possibilità alla vita.

Sinceramente, lei come figlio avrebbe tollerato un padre come Giovanni?

Forse no, o forse sì. Credo che sia bello e raro avere quel grado di vicinanza e di complicità. In ogni caso Giovanni ha una figlia, non un figlio, e questo cambia i termini del rapporto. Poi lei è più saggia di lui, e la sua maggiore saggezza le dà la possibilità di essere comprensiva, tollerante finché lui non la esaspera del tutto.

Non solo, la ragazza mostra a sorpresa una determinazione, una lucidità e una concretezza insospettabili, fino a quel momento, per il lettore.

Lo dicevo: la sua impenetrabilità è una difesa, che nasconde una grande sensibilità, e una capacità di osservazione e di elaborazione sorprendenti. Si tratta solo di riuscire a vederle, e la crisi improvvisa nella storia le rende appunto inaspettatamente visibili.

In questo libro si ha la sensazione di leggere i veri pensieri e sentimenti di Andrea De Carlo. Se è così, perché ora ha deciso di esporsi come mai aveva fatto prima?

Credo di essermi sempre esposto, nei miei libri. In certi più, in altri meno. Però sono sempre romanzi, non diari in pubblico. Anche «Pura vita» è un romanzo, dati reali si mescolano a dati immaginari fino a creare una dimensione che è vicina ma anche lontana dalla vita a cui attinge.

Lei è uno degli autori italiani più popolari. Ripensando ai suoi esordi, e comparandoli alla situazione attuale, la motivazione a scrivere che la spingeva allora è rimasta intatta?

Sì, è la stessa. Non riuscirei bene a spiegarla, e forse non ci ho mai provato davvero. Ma di base è la stessa ragione che spinge una persona qualsiasi a porsi delle domande su se stessa, sulla vita, sui rapporti tra le persone e tra le persone e il mondo nel suo insieme.

Quando sente il bisogno di scrivere?

Ogni volta che un luogo o una persona o una sensazione mi colpiscono. Ogni volta che mi pongo una domanda a cui non riesco a rispondere subito. Ogni volta che intravedo almeno alcuni degli elementi che potrebbero dare vita a una storia.

Le capita di temere di perdere l’ispirazione?

Sono preparato alla possibilità di perderla. È una cosa che succede, agli scrittori e a chiunque lavori con la fantasia. Se accadrà, lascerò perdere i libri e farò qualcos’altro. Del resto la letteratura non è il mio unico interesse, non vivo chiuso in un mondo di soli libri.

E cosa le piacerebbe fare?

Suonare, viaggiare, fare fotografie, dipingere, allevare cavalli o cani, impiantare una piccola fabbrica di birra o una coltivazione di amaranto. Ho tante idee diverse.

In passato ha diretto un film tratto dal suo primo libro, non ha mai pensato di tornare dietro la macchina da presa?

Sì. Quel primo tentativo mi ha insegnato molto, proprio perché non è stato del tutto positivo. Se girerò un altro film me lo produrrò da solo e con pochi soldi, per essere libero come quando scrivo un libro.

Perché ha deciso di presentare «Pura vita» in modo non convenzionale: in teatro, con attori e musicisti?

In passato ho fatto incontri tradizionali, in università, biblioteche, librerie. Erano belli e intensi, ma ogni volta che mi trovo davanti qualche centinaio di persone mi dispiace dare solo parole in cambio della loro attenzione. E mi intristisce essere di nuovo solo, dopo tutta la solitudine della scrittura. Così questa volta ho creato una specie di evento teatrale, di cui ho curato le luci, i suoni, le azioni. Mi diverte molto, anche perché cambia di sera in sera. I musicisti sono di origini molto diverse: un percussionista senegalese, una violista classica, un bassista jazz-rock, io che suono chitarre e tastiere.

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