Il gioco delle scelte



Oggi vi propongo un gioco. Non ha alcuna pretesa di essere una cosa seria, è più che altro un divertissement, e pertanto non intende dimostrare alcunché, al massimo fornire qualche spunto di riflessione.

Obiettivo del gioco è analizzare come la società si ponga di fronte a un problema, ovvero come i singoli individui che la compongono si distribuiscano in gruppi più o meno omogenei di comportamento quando si trovano di fronte a una determinata situazione.

Ci sono solo due regole, o se preferite, assunzioni:

  1. a fronte di ogni possibile comportamento devono essere individuati due e solo due insiemi complementari, ovvero che si escludono a vicenda;
  2. assumeremo che ogni insieme sia più o meno delle stesse dimensioni, ovvero che i due comportamenti si dividano l’insieme di partenza al 50%.

Ovviamente nella realtà le cose non vanno così. Davanti a un certo problema si formano spesso varie fazioni e naturalmente di dimensioni differenti. Tuttavia, in prima approssimazione, si può sempre ricodurre questo insieme di fazioni a un procedimento ricorsivo basato sul concetto di dilemma, ovvero «vado a destra o a sinistra?», «scendo o salgo?», «avanzo o indietreggio?». Si creano così vari percorsi, anche complessi, ai quali si può dare una struttura sostanzialmente frattale, fino a discriminare il comportamento del singolo individuo dalla massa.

Ovviamente noi non andremo così a fondo né analizzeremo tutte le possibili alternative. Come ho già detto, è solo un gioco che si prefigge lo scopo di realizzare un modello molto rozzo ma già sufficientemente realistico da dare spunto a qualche riflessione. Per quanto riguarda poi la seconda regola, si tratta fondamentalmente di un approccio politicamente corretto. In pratica, non potendo dire alcunché su come effettivamente un insieme di individui si ripartisca di fronte di una determinata scelta, fosse solo perché questa suddivisione dipende da numerosissimi fattori culturali, sociali, storici, etnici e geografici, ho stabilito salomonicamente di tagliare l’insieme originale in due parti uguali. Anche così il risultato finale sarà comunque interessante.

Iniziamo? D’accordo, ma prima un’ultima considerazione: ogni suddivisione non entra in merito dei motivi che hanno portato un individuo a fare una scelta piuttosto che un’altra, ovvero non ha alcuna valenza etica. I due gruppi complementari possono essere formati da persone che hanno fatto la stessa scelta per motivi assolutamente differenti, persino opposti, in buona o cattiva fede non ha la minima importanza. Inoltre non entreremo ovviamente in merito all’eventuale soluzione del problema in questione, anche perché non abbiamo identificato alcun problema in particolare. Il gioco si applica a qualsiasi problematica, di qualsiasi natura e rilevanza.

Allora, diciamo che il primo dilemma che ci si pone quando ci troviamo di fronte a un problema è se affrontalo o meno, o se si preferisce, semplicemente decidere se per noi è veramente un problema, e quindi pensiamo di fare qualcosa a riguardo, o non lo è, e quindi decidiamo di ignorarlo. Dividiamo quindi l’insieme originale, che chiameremo nel proseguo semplicemente società, in due gruppi: i disinteressati (D) e gli interessati (I). Semplice no? 50% ognuno, come abbiamo già detto.

Focalizziamoci sugli interessati. Questi si possono porre di fronte al problema in due modi: fideistico o razionale. I primi partono da una serie di principi e valori assunti, i secondi affrontano il problema analizzando i fatti e cercando di identificare le relazioni causa/effetto. Ovviamente anche chi fa una scelta per fede poi dà alla sua scelta una giustificazione più o meno razionale, ma solo se questa in qualche modo avvalla i principi nei quali crede.

Attenzione, quando parliamo di fede non ci riferiamo solo a quelle religiose. Ogni assunzione a priori di una serie di principi è un atto di fede: fede sono l’ateismo, il comunismo, l’illuminismo, l’astrologia, l’omeopatia. Inoltre non si intende dare qui un’accezione negativa al fatto di voler decidere in base a un atto di fede, né considerare tale scelta subordinata alla quella "razionale". Ci sono infatti questioni che non possono essere affrontate razionalmente per la loro stessa essenza: «Esiste o no un Essere Superiore?», «L’essere umano è dotato o meno di anima?», «Quand’è che una vita va considerata a tutti gli effetti un essere umano?». Per quante argomentazioni razionali si possano trovare nel sostenere una tesi piuttosto che un’altra, alla fine la decisione resta comunque un atto di fede. Abbiamo così una seconda suddivisione: i credenti (IC) e i razionali (IR).

Ancora una volta focalizziamoci sui secondi che assumiamo rappresentino il 50% degli interessati. La prima cosa da fare quando si affronta razionalmente un problema è quello di analizzare i dati a disposizione. Ma chi fornisce questi dati? Quanto saranno affidabili? Anche in questo caso abbiamo due comportamenti: quelli che si accontentano dei dati forniti loro da una o più fonti, e quelli che prima ancora di analizzare il problema fanno un’analisi critica degli stessi dati, selezionandoli, confrontandoli ed eventualmente scartandone o accettandone una quota parte. Tra questi ultimi, ovviamente, ci sono anche quelli che danno per scontati i dati che vengono da fonti che in passato si sono dimostrate affidabili, ovviamente. Non è infatti pensabile che un individuo possa da solo verificare all’origine tutti i dati di un problema. Deve essere inoltre chiaro che nella realtà di un problema non si avranno mai tutti i dati necessari alla sua risoluzione, come invece succede nei problemini di matematica che danno a scuola. Le decisioni vanno sempre prese bilanciando il numero di informazioni a disposizione e la loro affidabilità, ovvero sempre in base a un insieme parziale di informazioni, non esaustivo. Il primo gruppo, quello che si basa su dati non verificati, magari persino su miti metropolitani, dicerie, voci e che fa spesso da cassa di risonanza a qualsiasi notizia che abbia un minimo di appetibilità, sono i superficiali (IRS), gli altri gli analisti (IRA).

Di nuovo, concentriamoci sui secondi, continuiamo cioè a ramificare l’albero sulla destra. A volte un’analisi può dare dei risultati che non ci piacciono. Onestà vorrebbe che si accettasse il risultato per quello che è, se il metodo con il quale lo si è raggiunto è valido e non si sono fatti errori. Non sempre però accade. Così, a volte, il risultato viene ritoccato, adattato a quelli che sono i nostri interessi, o più semplicemente i nostri desideri. Non è difficile da fare, non c’è bisogno neppure di alterare i dati. Basta modificare leggermente i criteri di selezione o fare piccole variazioni all’interpretazione di alcuni fatti. Piccoli aggiustamenti possono generare grosse differenze nei risultati finali. Così abbiamo da una parte i disonesti (IRAD) e dall’altra i corretti (IRAC).

Infine, una volta trovata una soluzione, ammesso che ce ne sia una, o comunque ottenute delle risultanze dall’analisi di un problema, si pone la questione se pubblicare o informare il resto della società di quanto trovato. E qui nasce un problema: ci conviene o no farlo? Si è disposti a pagare l’eventuale prezzo che potrebbe comportare dire onestamente quello che si è trovato, o no? E soprattutto, si è disposti a sostenere la propria posizione fino in fondo, anche di fronte agli attacchi, alle calunnie, all’opposizione di tutti quei gruppi che in questo processo di frammentazione ci siamo lasciati alle spalle o è meglio insabbiare tutto per amor del quieto vivere? Ultima divisione: da una parte quelli che, di fronte all’eventuale rischio di essere discriminati, emerginati, penalizzati mollano tutto e fanno finta di niente, cioè i timorosi (IRACT), dall’altra quelli che sono disposti a pagare personalmente il prezzo della loro onestà culturale e affrontano l’opinione pubblica nonostante eventuali ostilità, i coraggiosi (IRACC).

Ma quanti sono quest’ultimi? Quanti sono cioè gli individui che di fronte a un problema dimostrano la volontà di affrontarlo, lo fanno con razionalità e lucidità, senza assumere a priori che quanto viene loro detto sia vero ma verificando con cura i dati a loro disposizione, che accettano i risultati della loro analisi, qualunque essi siano e abbiano anche il coraggio di sostenerli di fronte agli altri? Beh, con l’assunzione fatta del 50%, sono la metà della metà della metà della metà della metà dell’insieme originale, ovvero poco più del 3% della popolazione.

Questo assumendo di tagliare in due un insieme a ogni ramificazione del nostro albero decisionale. Ma noi sappiamo che certe scelte sono più difficili di altre. Intanto di gente impegnata ce n’è sempre troppo poca purtroppo, specialmente se non direttamente coinvolta nel problema. In secondo luogo è più facile accettare una certa posizione per fede che porsi ogni volta in modo critico di fronte a un problema, senza assunzioni e preconcetti. La fede è una bella cosa, ma è anche il modo più semplice per fare delle scelte, anche se non è detto che queste scelte siano necessariamnete semplici in sé. Anzi, a volte la fede ci porta a fare scelte difficili, non sempre vantaggiose per noi, ma è indubbio che avere una serie di percorsi già tracciati rende certe decisioni più semplici.

Detto questo, c’è il problema dell’informazione e della disinformazione. È estremamente difficile oggigiorno capire cosa sia vero e cosa no, specialmente quando tutto ciò che ci dicono da una parte e dall’altra suona così ragionevole, tanto che alla fine molti finiscono per tornare sui loro passi e fare una scelta fideistica, appunto. Verificare l’attendibilità dei dati è faticoso, e poi c’è sempre la tentazione a voler credere alle notizie più succose o a quelle che danno alla questione un certo alone di mistero. La dietrologia è una grande tentazione. E poi, cosa c’è di più appetitoso di un bel complotto, di un’oscura organizzazione che trama alle nostre spalle, di una verità nascosta?

Infine l’onestà e il coraggio. Non credo di dire una cosa scandalosa affermando che una persona veramente onesta, capace di accettare una verità anche se scomoda, è una perla rara. Non sto ovviamente dicendo che siamo tutti disonesti, solo che ogni tanto un abbellimento siamo sempre tutti tentati di darlo alle verità che gradiamo di più, magari minimizzando quegli aspetti che ci sono sgraditi. In quanto al coraggio, anche quello è una merce rara. Ovviamente tutto dipende dal prezzo che si potrebbe dover pagare. Diciamo che per piccole verità si è tutti onesti e coraggiosi. Le percentuali calano tuttavia quando la posta in gioco diventa più alta, e se parliamo di problemi di una certa entità, che coinvolgono grossi interessi economici e di potere, la posta in gioco è decisamente alta.

Facciamo quindi un’ultima considerazione. Cosa succede a quella percentuale finale, quella relativa agli IRACC, tanto per intenderci, se abbassiamo la percentuale a destra, a ogni ramificazione, di una certa quantità? Ad esempio, se invece che 50 e 50 facciamo due terzi e un terzo? Un terzo alla quinta fa lo 0,4%, ovvero il quattro per mille. E se la ripartizione è 75 a 25? Abbiamo alla fine meno dell’un per mille! Un ultimo sforzo, un’ipotesi che io personalmente ritengo più realistica: solo il 10%, ovvero 1 su 10 è interessato, 1 su 10 affronta i problemi razionalmente e così via. Qual’è la percentuale finale? Facile: uno su 10 alla quinta, ovvero una persona su centomila. Quanti siamo in Italia, se togliamo i neonati? 50 milioni più o meno? Beh, se il calcolo da me ipotizzato dovesse essere realistico, questo vorrebbe dire che nel nostro Paese ci sono solo 500 persone che hanno il coraggio e l’onestà di rendere pubblici i risultati di un’analisi approfondita, basata su riscontri oggettivi e dati verificati, spinti da reale interesse e desiderio di migliorare la nostra società.

Sono tanti o pochi? Lascio a voi il giudizio.

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Comments (3) to «Il gioco delle scelte»

  1. pensavo di essere l’unico, senza trafile dal politico di turno mai rimasto in silenzio per le file negli enti statali mai compromessi con le donne ne con gli uomini

  2. Pattinando says:


    O.T. – Se è questo che intendi, mettere l’immagine nei commenti, ti ho lasciato il codice su soluzioni. Lo puoi vedere anche da qui, nei commenti, con visualizza html. ciao*

  3. Ah, ecco… basta mettere il classico tag IMG… Non lo vedevo fra quelli “permessi” nei commenti.

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