Ma non diciamo… lotterie!



È cronaca recente il caso del 53, poi uscito sulla ruota di Venezia. Purtroppo, ancora una volta l’analfabetismo scientifico del quale è malato il nostro Paese ha avuto il suo tributo di sangue: 5 suicidi e molta, moltissima gente che si è rovinata per inseguire un sogno. Già, perché il problema è che sul Lotto, così come su molti altri giochi basati sul semplice caso, si è venuto a formare un giro di affari che alimenta la sconsiderata e infondata convinzione che sia possibile aumentare la propria probabilità di vincita utilizzando metodi statistici. Ovviamente tutto ciò si basa sull’ignoranza che i più hanno della statistica, cosa che fa il gioco di abili speculatori senza scrupoli. Vediamo allora di dare alcuni fondamenti di questa disciplina, a uso e consumo di chi gioca, e vediamo perché non esiste la possibilità di utilizzare il calcolo delle probabilità per vincere al gioco del Lotto o in generale in un qualsiasi gioco basato sulla casualità. Cercheremo di non fare un discorso troppo tecnico e manterremo l’esposizione in termini semplici, a costo di essere meno rigorosi da un punto di vista formale, e di questo ci scusiamo fin d’ora con gli esperti del settore. Ad ogni modo, riteniamo che gli elementi citati nel proseguo dell’articolo siano sufficienti a chiarire alcuni punti che dimostrano la tesi sopra riportata.

Introdurremo innanzitutto il concetto di probabilità con alcuni semplici esempi basati da monetine e dadi, poi daremo una definizione abbastanza classica di probabilità, quindi faremo un cenno alla Legge dei Grandi Numeri e da qui riformuleremo la definizione di probabilità in termini statistici. Cercheremo anche di mantenere al minimo l’introduzione di termini tecnici, tuttavia sarà necessario e, in fondo, opportuno dare almeno due o tre definizioni fondamentali per evitare di ribadire spesso all’interno del discorso sempre gli stessi concetti. Alla fine vedrete che non è necessaria una laurea in matematica per capire le basi della statistica. Quello che invece è importante capire è che in statistica, come in ogni disciplina, si usano dei termini che vengono usati anche nel linguaggio comune, di tutti i giorni, ma con un significato ben preciso. Non fate quindi confusione. La parola probabilità esiste anche nel linguaggio comune, ma assume accezioni differenti a seconda del contesto, accezioni del tutto valide a condizione che non si stia parlando appunto di calcolo delle probabilità: in questo caso va utilizzata una definizione formale e bisogna attenersi esclusivamente a quella.

Iniziamo dagli esempi. Prendiamo la classica moneta che si lancia in aria. Come sappiamo ci sono solo due possibilità concrete: testa o croce. Diciamo che «lanciare in aria una moneta» è un esperimento, una prova. L’insieme di tutti gli eventi possibili di un esperimento o, nel caso di altro genere di avvenimenti, di un fenomeno, si dice spazio degli eventi. In questo caso lo spazio degli eventi è formato da soli due eventi, o testa o croce, e si indica così

U = {T,C}

Se avessimo lanciato un dado a sei facce invece di una moneta avremmo potuto attenderci uno di sei possibili risultati, ovvero

U = {1,2,3,4,5,6}

Semplice, no? Adesso facciamo un ulteriore passo. Vogliamo calcolare la probabilità che lanciando una moneta in aria venga testa. Come facciamo? Nello spazio degli eventi quello che ci interessa compare una sola volta, per cui diremo che il numero di casi favorevoli è 1. D’altra parte lo spazio contiene solo due elementi, per cui il numero di casi possibili è 2. Diamo quindi la prima definizione di probabilità, quella classica:

La probabilità è calcolata come il rapporto fra il numero di casi favorevoli di un evento
e il numero di tutti i possibili casi nello spazio degli eventi.

La probabilità che lanciando una moneta venga testa è quindi uno diviso due, ovvero un mezzo, ovvero il 50%, come sappiamo già. Se avessimo fatto lo stesso per il lancio di un dado, avremmo ottenuto per l’uscita, ad esempio, del 6, uno su sei, ovvero un sesto (circa il 17%). Ovviamente un sesto è anche la probabilità che esca uno qualunque degli altri numeri. Nessun numero è più probabile di un altro in questo caso, a meno che il dado non sia truccato.

La probabilità è quindi un numero sempre inferiore a 1, dato che il numero di casi favorevoli è comunque inferiore o al massimo uguale a quello dei casi possibili. Ovviamente è 1 se considero tutti i casi possibili: la probabilità che lanciando una moneta venga o testa o croce è in realtà una certezza, fatta eccezione per il classico evento alla Paperon de Paperoni della moneta che cade di taglio e resta così, in piedi. Ovviamente una probabilità è sempre nulla o positiva, ovvero è un numero maggiore o uguale a zero, essendo zero la probabilità che avvenga un evento impossibile.

Proviamo ora a fare un calcolo un po’ più complesso: qual’è la probabilità che lanciando un dado esca un numero pari? In questo caso gli eventi favorevoli sono 3 (2, 4 e 6), quelli possibili sempre sei, per cui tre diviso sei fa di nuovo il 50%. E che esca un numero divisibile per 3? Ormai abbiamo capito il metodo, no? Due eventi favorevoli (3 e 6) su sei, ovvero un terzo, quindi il 33%.

E se i dadi fossero due? In questo caso potremmo considerare come evento la somma dei due risultati, per cui lo spazio degli eventi è

U ={2,3,4,5,6,7,8,9,10,11,12}

Ovviamente l’evento 1 non può esistere, dato che il valore minimo per ogni dado è appunto 1 e quindi la somma minima non può che essere 2 . All’altro estremo, invece, ci sono due sei, la cui somma fa appunto 12. I vari eventi tuttavia, hanno probabilità differenti. Vediamo perché.

In quanti modi posso fare 5 con due dadi? In due modi: 1 e 4 oppure 2 e 3 . Ovviamente per ogni modo abbiamo due possibilità a seconda che l’ 1 o il 2 capiti con un dado piuttosto che con l’altro. Possiamo ad esempio immaginare che i due dadi abbiano colori differenti per distinguerli: blu e rosso. Ma a noi interessa solo la somma, quindi non importa se l’ 1 viene sul blu e il 4 sul rosso o viceversa.

Adesso, quanti casi sono possibili nello spazio degli eventi? 11? No, quelli sono gli eventi, non i casi. I casi sono tutte le possibili combinazioni che danno gli eventi. Possiamo inoltre ignorare le combinazioni duplicate, ovveri 1 e 4 rispetto a 4 e 1 , dato che abbiamo detto che non ci interessa quale dado contribuisca con quale numero. Avremo allora

 2: 1 caso [1+1]
 3: 1 caso [1+2]
 4: 2 casi [1+3, 2+2]
 5: 2 casi [1+4, 2+3]
 6: 3 casi [1+5, 2+4, 3+3]
 7: 3 casi [1+6, 2+5, 3+4]
 8: 3 casi [2+6, 3+5, 4+4]
 9: 2 casi [3+6, 4+5]
10: 2 casi [4+6, 5+5]
11: 1 caso [5+6]
12: 1 caso [6+6]

Come si può vedere, il numero di casi per evento forma una specie di figura simmetrica centrata sull’evento 7 . Questa figura si chiama distribuzione di probabilità. A questo punto calcolare la probabilità che i dadi diano 5 come somma dei loro valori è semplice: i casi favorevoli sono due, quelli possibili 21, per cui la probabilità è due ventunesimi, ovvero poco più del 9%.

Si potrebbe andare avanti a fare esempi sempre più complessi, ma il meccanismo non cambierebbe: sarebbe solo più complicato fare il calcolo del numero dei casi favorevoli e di quelli possibili, ma niente di più.

Questa definizione di probabilità, tuttavia, ha alla base un’assunzione, ovvero che la probabilità di ogni singolo caso (non evento), sia la stessa per tutti i casi. Ovviamente se un evento è la risultanza di più casi, allora la sua probabilità sarà probabilmente differente da quella di un altro evento, come nel caso del 5 con due dadi, ma il caso 1+4 ha la stessa probabilità del caso 2+3 e in generale di uno qualunque degli altri casi, ad esempio 6+6 o 1+1 .

Questa definizione quindi non funziona se abbiamo situazioni nelle quali i vari casi non sono ugualmente possibili. Inoltre lo spazio degli eventi deve essere formato da un numero finito di elementi e così, finito, deve anche essere il numero di casi possibili, altrimenti non possiamo fare la divisione fra due numeri interi. C’è poi un motivo tecnico per il quale questa definizione è criticabile, anche se rimane utile per calcolare la probabilità in molti tipi di fenomeni o esperimenti. Essa vale quando, come già detto, la probabilità del verificarsi di un singolo caso sia la stessa per tutti i casi. Ma qui stiamo usando di nuovo il termine che vorremmo definire: probabilità. Allora è evidente che se per definire un termine dobbiamo usare lo stesso termine, è un po’ come un cane che si mangia la coda, abbiamo cioè quella che formalmente è detta una definizione circolare, quindi non soddisfacente.

Ci troviamo quindi nella necessità di sviluppare una nuova definizione, sia per motivi formali che per motivi pratici, dato che quella classica non ci permette ad esempio di calcolare la probabilità che un aereo atterri nell’arco di 10 minuti dall’orario previsto o che un gatto di 5 anni possa raggiungere la veneranda età di 15 anni.

Per trovare una nuova definizione dobbiamo introdurre un nuovo concetto e lo facciamo con quella che si chiama la Legge dei Grandi Numeri.

Riprendiamo la nostra moneta. Un bellissimo film di Tom Stoppard, «Rosencrantz e Guildenstern sono morti», del 1990, inizia con una scena nella quale Guildenstern ha appena effettuato una serie di 90 lanci con una moneta e tutti i 90 lanci hanno mostrato come risultato testa. Rosencrantz, esasperato e sconvolto, si trova così a riconoscere che la possibilità di un simile evento sia reale. E in effetti è così.

Il fatto che lanciando una moneta in aria la probabilità che esca testa sia la stessa che esca croce, non vuol dire che lanciando dieci volte si abbiano 5 teste e 5 croci, né che se ne abbiano 50 e 50 lanciandola 100 volte o 500 e 500 lanciandola mille volte. In effetti è perfettamente plausibile, anche se statisticamente raro, che mille lanci di seguito diano sempre testa o sempre croce. In pratica quella che è bassa è la probabilità che una sequenza di lanci piuttosto lunga dia sempre lo stesso risultato, e più è lunga la sequenza più è bassa la probabilità, non nulla, comunque.

Vediamo perché. Lanciamo una moneta due volte di seguito. I due eventi sono indipendenti. Questo punto è molto importante. Vuol dire che qualsiasi sia il risultato del primo evento non influirà in alcun modo sul secondo. Vedremo come questo punto sia fondamentale per capire l’assurdità di certe pretese che hanno i cosiddetti sistemi per il Lotto basati sui ritardi e sulle frequenze.

Lo spazio degli eventi è

U = {TT,TC,CT,CC}

Da notare che in questo caso non possiamo eliminare gli eventi duplicati perché… non lo sono. Ovvero che venga prima testa e poi croce è diverso dal fatto che venga prima croce e poi testa. Diverso sarebbe stato se avessimo lanciato le due monete assieme. La probabilità che vengano due teste di seguito è quindi un quarto, ovvero il 25%. Da notare che un quarto è uguale a un mezzo per un mezzo. E se le monete le lancio tre volte? Allora

U = {TTT,TTC,TCT,TCC,CTT,CTC,CCT,CCC}

per cui la probabilità di una sequenza di tutte teste è adesso un ottavo, ovvero un mezzo moltiplicato per un mezzo e ancora per un mezzo. Diventa chiaro a questo punto che la probabilità che si formi una sequenza prestabilita di eventi è semplicemente il prodotto delle probabilità di ogni singolo evento. Dato che la probabilità è sempre un numero minore di uno, questo prodotto diventa sempre più piccolo man mano che la sequenza si allunga. Ad esempio, la probabilità di avere una serie di 90 teste è uno su due alla novantesima, ovvero lo

0,00000000000000000000000008%

Non nulla, quindi: solo altamente improbabile.

Ora, la legge dei grandi numeri dice che,

Al crescere delle prove, il verificarsi di un evento tende ad uguagliare la sua probabilità.

Cosa vuol dire? Proviamo a lanciare una moneta. O viene testa o viene croce. Concentriamoci sull’evento testa e calcoliamo la frequenza dei risultati. Se è venuto testa scriviamo uno. Lanciamo una seconda volta e scriviamo il risultato. Calcoliamo poi la frequenza, ovvero il numero di teste uscite sul numero di lanci. Avremo più o meno un diagramma come quello qui sotto, ovvero, man mano che il numero di lanci aumenta, il numero di quelli nei quali viene testa tende ad essere più o meno la metà dei lanci, cioè tende alla probabilità calcolata. Tende, ma all’infinito, ovvero, dopo un qualunque numero di lanci, per quanto elevato, nulla impedisce di aver avuto una prevalenza rilevante di teste o di croci.

Se prendiamo il singolo estratto del Lotto, come ad esempio il famigerato numero 53, avrebbe tranquillamente potuto non uscire per due anni di seguito. La probabilità infatti che un numero esca o non esca ad una singola estrazione è sempre la stessa, indipendentemente dalle estrazioni precedenti, esattamente come la probabilità che lanciando una moneta esca croce è sempre il 50%, sia che sia il primo lancio, sia che l’abbia già lanciata 1000 volte, e persino se tutte quelle mille volte è sempre uscita testa. Il fatto che una tale sequenza sia estremamente improbabile non altera la probabilità della singola estrazione e non rende quindi più probabile l’uscita della testa o, nel caso del Lotto, del 53 o di qualsiasi altro numero.

Non esiste quindi alcun modo di prevedere l’uscita di un numero in base ai ritardi. Un’estrazione non ha memoria di quella precedente perché ogni estrazione è indipendente dalle altre e quindi ha esattamente le stesse probabilità di verificarsi.

Dalla legge dei grandi numeri abbiamo quindi una nuova definizione di probabilità: si definisce frequenza relativa di un evento in un numero n di prove effettuate nelle stesse condizioni, il rapporto fra il numero k delle prove nelle quali quell’evento si è verificato e il numero n complessivo delle prove effettuate, ovvero

f = k / n, con 0 ≤ f ≤ 1

Assumendo quindi al Legge dei Grandi Numeri come una legge empirica, possiamo dunque affermare che

La probabilità di un evento è la frequenza relativa in un numero di prove ritenuto sufficientemente elevato.

ovvero con n molto grande. Quanto, dipende dal tipo di prove che si stanno effettuando. Ad esempio, per il lancio della nostra oramai famosa moneta, qualche migliaio di prove sono probabilmente sufficienti, con un milione andiamo praticamente sul sicuro.

Ecco allora che se io faccio un numero di estrazioni sufficientemente elevato, dopo centinaia di migliaia di prove, ogni singolo numero al lotto uscirà lo stesso numero di volte, così come ogni ambo, ogni terna, ogni quaterna e ogni cinquina uscirà lo stesso numero di volte di ogni altro ambo, terna, quaterna o cinquina. Ma questo solo su un numero elevatissimo di estrazioni. Sulla singola estrazione, anche se considerassi tutte le estrazioni degli ultimi dieci o venti anni, non potrei dire assolutamente nulla.

Se volete giocare, quindi, fatelo, ma che voi usiate uno di quei metodi supersofisticati che molti propongono, generalmente a pagamento, come sicuri o comunque in grado di aumentare la vostra probabilità di successo, o che mettiate dei numeri a caso, la vostra probabilità di vincere sarà esattamente la stessa. E comunque molto bassa, per cui non fatevi troppe illusioni: giocate poco, per divertirvi, e non buttate via i soldi. Sognare può essere piacevole ma a volte il risveglio potrebbe essere decisamente brusco. Mantenete i piedi per terra e soprattutto non fatevi imbrogliare da chi usa la statistica e il calcolo delle probabilità come specchietto delle allodole per alleggerirvi ulteriormente il portafoglio: la statistica è una disciplina seria ma non esiste alcun metodo che vi permetterà di aumentare la possibilità di vincere in nessun gioco basato esclusivamente sul caso.

Comments (2) to «Ma non diciamo… lotterie!»

  1. stefanomassa says:

    un articolo interessante;9 bel blog

    complimenti

    stefano

  2. Gnash says:

    Grazie Dario, ci voleva proprio.

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