A che serve abbassare l’IVA sui CD?



Alcuni giorni fa il coordinatore della Margherita Dario Franceschini ha proposto di ridurre l’IVA sui CD musicali dal 20% al 4%. Contemporaneamente ha anche proposto di aumentare le pene per la pirateria musicale, ovvero di portare la sanzione minima dagli attuali 2.500 a 5.000 euro e quella massima da 15.000 a 20.000 euro.

Secondo Franceschini, questa proposta si prefigge lo scopo di

«difendere e promuovere la musica in tutte le sue forme perchè rappresenta una delle forme più efficaci di integrazione e di scambio culturale»

Inoltre, sempre secondo l’onorevole,

«su ogni CD musicale posto in commercio pesa una imposta sul valore aggiunto pari al 20%, che impedisce ai consumatori di accedere facilmente alle novità musicali e soprattutto acuisce il fenomeno della pirateria, che oggi copre il 25% del mercato nazionale con danni per lo Stato, per le case discografiche e per i consumatori, che si ritrovano spesso con prodotti mal funzionanti.»

Devo dire che questa proposta mi lascia molto perplesso. Innanzi tutto non è certo l’euro e 66 centesimi che si andrebbe a risparmiare sul prezzo medio di 20 euro di un CD musicale che potrebbe reinvogliare i consumatori ad acquistare più CD musicali. I motivi per i quali la gente non compra i CD, soprattutto le novità sono ben noti e si possono ricondurre essenzialmente a due:

  1. il prezzo eccessivo rispetto ai costi di produzione;
  2. il prezzo rispetto al valore per il consumatore.

Consideriamo il primo aspetto: produrre un CD ha determinati costi. Nel costo di un CD, tuttavia, i costi di produzione pesano solamente per il 16% mentre quelli di distribuzione non superano il 7,5%. La parte del leone la fanno le royalties, ovvero i compensi per gli artisti (28%), seguono le spese di promozione (15%) e la percentuale per la SIAE (10,5%). Il restante 23% riguarda le spese generali della casa discografica, la ricerca e i profitti. Questi dati sono stati forniti dalla stessa SIAE. Ovviamente, per ottenere il prezzo, bisogna aggiungere il profitto per il negoziante e, come ben sappiamo, l’IVA. È evidente, quindi, che non è sull’IVA che si deve operare, perché l’unico risultato che otterremmo sarebbe quello di ridurre pesantemente le entrate dello Stato, introiti che inevitabilmente lo Stato dovrebbe poi recuperare da qualche altra parte. In pratica il 16% che risparmieremmo sull’acquisto di CD finiremmo per restituirlo sotto forma di qualche nuova tassa o di un aumento di qualcuna di quelle già esistenti. Si tratterebbe quindi di un’iniziativa solo di facciata, non di un reale risparmio per i consumatori.

D’altra parte, quando in un mercato un prodotto non tira, i produttori e i venditori abbassano i prezzi. Questo nel mercato discografico non avviene. Non esiste cioè vera concorrenza, ma ci si trova di fronte a un cartello che piange miseria ma tiene alti i prezzi, anche se i costi permetterebbero ampi margini di riduzione degli stessi. Ne consegue che una proposta come questa non solo non incentiva le case discografiche a ridurre i prezzi dei CD musicali, ma la contrario li premia in un comportamento contrario ai più fondamentali principi del libero mercato. Senza contare che nulla impedirebbe alle case discografiche in un futuro prossimo di aumentare anche di poco i prezzi erodendo così parte dell’abbattimento del prezzo dovuto all’IVA al 4%.

Vediamo il secondo punto. Ognuno di noi è disposto a pagare qualcosa un certo prezzo in base al valore che essa rappresenta per noi. Ovviamente questo valore è contingente e soggettivo. Io probabilmente non comprerei mai per 10.000 euro una maglietta solo perché l’ha portata Elvis Presley, neanche se li avessi, ma altri non la pensano così e ci sono persone disposte a spendere qualsiasi cifra per gli oggetti più impensabili. Nel caso di un CD ovviamente il valore è dato dai brani musicali. Se un CD contenesse una ventina di brani la maggior parte dei quali fossero di buona qualità e di piacevole ascolto, allora probabilmente sarei disposto ad acquistarlo a un certo prezzo. Ma se un CD contiene solo nove brani, ovvero è in gran parte vuoto, e di quei nove solo uno realmente mi interessa, perché dovrei spendere quei 20 euro? Piuttosto vado su Internet e lo acquisto a 2 euro su uno dei tanti siti che vendono legalmente MP3.

Ecco allora che se le case discografiche volessero realmente vendere più CD, dovrebbero smetterla di produrre dischi con pochi brani, per lo più «di riempimento», nella speranza che vengano «tirati» solo dall’hit del momento.

Per concludere, la proposta di abbattimento dell’IVA sui CD musicali al 4% è

  1. dannosa, perché sottrarrebbe allo Stato le corrispondenti entrate;
  2. inutile, perché comunque lo Stato dovrebbe recuperarle, ovviamente da noi;
  3. diseducativa, perché premierebbe l’atteggiamento protezionistico delle case discografiche;
  4. inefficace, perché non porterebbe significative riduzioni dei prezzi sul lungo termine.
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Comments (5) to «A che serve abbassare l’IVA sui CD?»

  1. Ottimo post, Dario. Ho voluto anch’io fare un post sull’Iva, anche se in altri termini.

    Antonello Leone

  2. tristanya says:

    Nel dubbio io continuo a comprare prodotti piratati…;o)

  3. utente anonimo says:

    tutto giusto e tutto vero…

    a completare aggiungerei che il cartello di case discografiche di cui tu parli monopolizza il mercato della promozione. Evidentemente grazie ad una marginalità cosi alta nessun altro competitor potrebbe sostenere gli stessi ingenti contributi promozionali versati ai vari network radiofonici per “suonare” le proprie canzoni limitando nei fatti l’offerta musicale.

    Non credo sia sfuggito a molti che nei network che raccolgono almeno il 60/70% degli ascolti nazionali si trasmettano ogni giorno la stessa playlist di 15/20 canzoni al massimo con rarissime eccezioni.

    Logico che per una radio trasmettere una canzone per cui non vengono incassati contributi venga visto come un mancato ricavo e non ottimizza certo la gestione commerciale della stessa con buona pace degli amanti della musica.

    La qualità della musica si appiattisce, credo se ne siano accorti tutti, e nessuno ha piu interesse a investire in nuove idee, ma piuttosto a pubblicare prodotti facilmente “commestibili” che annoino con la stessa velocità per alimentare una domanda vorace.

    Io continuerò a scaricare fino a quando posso e non mi sentirò in colpa se non contribuirò a versare la rata per lo yacht del Meneguzzi di turno. Il mercato ha le sue regole, ferree… il calcio lo ha già capito, anche la musica ha bisogno di essere messa alle strette?

  4. utente anonimo says:

    Sono d’accordo con te: la riduzione dell’IVA non serve a nulla. La vera soluzione, assolutamente utopica, per abbassare i costi è che le case discografiche abbassino le loro pretese di guadagno e le spese di distribuzione e promozione. Non vedo perché, ad esempio, io debba pagare lo stesso prezzo per un disco iper-pubblicizzato con ogni mezzo e in ogni occasione, di uno che non gode dello stesso trattamento. E come mai ci sono etichette (una per tutte la Naxos) i cui dischi costano al massimo 11 euro, e non sono certo cose di secondo livello. Allora si può fare! Io ho più di 3500 CD, tutti originali, perché trovo che la pirateria sia un furto, soprattutto nei confronti dei muscisti; lo so faccio guadagnare anche i Meneguzzi di turno, ma il mio rispetto verso i musicisti è maggiore. Inoltre oggi si producono troppi CD anche di gente che potrebbe starsene a casa sua. Anche qui deve valere la “qualità” e non la “quantità”.

    Secondo punto: sono assolutamente contrario alla “farcitura” del CD: un buon CD musicale deve durare al massimo 50/60 minuti, poi annoia e si corre il rischio che venga riempito di schifezze, di cose scartate dai musicisti, di “alternate track” di cui assolutamente si può fare a meno. Bisogna capire che il CD è un’opera e in quanto tale è compiuta nella sua forma e sostanza. Chi vorrebbe vedere un terzo braccio sul David di Michelangelo? Allo stesso modo non vorrei vedere in “A love supreme” di John Coltrane un o più brani che niente c’entrano con l’opera.

    Credo che alla fine sia un problema di cultura: il CD è diventato un bene di consumo come la marmellata o il dentifricio e ho paura che il processo di imbarbarimento sia irreversibile.

  5. utente anonimo says:

    Scusa, ho dimenticato la firma:

    Francesco – jazzer.it

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