Il traffico: causa o sintomo?



Recentemente, in un’intervista, il Sindaco di Roma Veltroni ha indicato nei quasi due milioni di autovetture con una media di un passeggero e mezzo per veicolo, la causa principale del traffico nella capitale e del conseguente inquinamento. In effetti così tanti veicoli a fronte di una percentuale così bassa di passeggeri rappresenta un serio problema per la viabilità della capitale. Su questo il sindaco ha perfettamente ragione.

Subito dopo, tuttavia, lo stesso sindaco ha invitato i romani a prendere di meno l’auto e di più i mezzi pubblici, ricordando quanto sia piacevole poter passeggiare per il centro a piedi o in bicicletta, piuttosto che passare le ore in coda in mezzo al traffico. E per quanto convenga con il sindaco che un centro senza macchine potrebbe trasformare Roma in un vero e proprio museo all’aperto, ritengo il suo invito frutto di un’analisi forse troppo poco approfondita del problema.

Qual è il vero problema?

La domanda da porci infatti è: «Il traffico è veramente la causa dei problemi che gli sono attribuiti o piuttosto è a sua volta il sintomo di problemi più complessi?»

Per rispondere a questa domanda è necessario farsene un’altra: «Per quale motivo la gente prende la macchina?» Certamente nessuno è così masochista da desiderare di passare le ore in macchina, a passo d’uomo o alla disperata ricerca di un parcheggio. Quindi perché non usare sempre e comunque i mezzi pubblici?

La risposta va cercata nel nostro modo di vivere, un modo che dipende tanto meno da noi quanto più siamo integrati nel «sistema».

Facciamo un esempio

Prendiamo una famiglia media: marito, moglie e due figli. Lui lavora presso un’azienda di riparazione di elettrodomestici, lei fa la segretaria. La moglie lavora piuttosto lontano e ha un orario piuttosto rigido, per cui si alza presto la mattina e ovviamente prende la sua macchina perché deve recarsi dall’altra parte della città. Quando può prende il raccordo, altrimenti tenta l’ardua impresa di attraversare il centro. Il marito invece ha un orario più flessibile e quindi è lui che porta i figli a scuola: la più piccola all’asilo, il maggiore alla scuola media. Ovviamente le due scuole non stanno presso lo stesso istituto. Quindi si reca al lavoro. La sede della sua azienda è vicino al centro, ma al contrario della moglie, che passa tutto il giorno in ufficio, lui deve recarsi in diversi posti della città per fare assistenza ai clienti. In genere la moglie, sfruttando la pausa pranzo, va a fare la spesa al supermercato, ovviamente in macchina, dato che non può certo portare i pacchi e le confezioni da sei bottiglie d’acqua in autobus. Quindi torna in ufficio dove rimane fino alle 17:30. Alla fine della giornata lei passa a prendere i figli a scuola e porta a casa la spesa, mentre lui va alla posta a pagare i conti correnti e, se serve, si ferma in banca per ritirare i libretti degli assegni o a effettuare eventuali versamenti. Finiti i suoi giri torna a casa anche lui, generalmente verso le 19, prende il figlio maggiore e lo accompagna in palestra per poi tornare a prelevarlo un’ora dopo e riportarlo a casa in tempo per la cena.

Uno scenario estremo? Assolutamente no. La maggior parte di noi, specie se si ha famiglia, è abituata a fare in una singola giornata moltissime cose, anche perché fra conti e tasse da pagare, raccomandate da ritirare, compere da effettuare e via dicendo, di cose ce ne sono sempre tante e tutti i giorni, spesso anche il sabato e la domenica, una volta dedicati al riposo.

Ora proviamo a pensare di fare tutto ciò con i mezzi pubblici. È praticamente impossibile, primo perché i giri sono molti e spesso sono necessari più mezzi anche se le distanze non sono notevoli, secondo perché tutti i mezzi sono poco affidabili in termini di orari, e non solo quando c’è traffico, terzo perché spesso si hanno con sé buste della spesa, pacchi o altri carichi che è ben difficile portare su un autobus o in metropolitana.

Cos’è cambiato?

Ma una volta si faceva, qualcuno dirà. Perché adesso non ci si riesce più? I motivi sono da ricercare nei cambiamenti che hanno interessato la nostra società.

Innanzi tutto una volta a lavorare in una famiglia era una sola persona, e questo faceva sì che l’altra potesse occuparsi di tutta una serie di incombenze durante l’arco della giornata. Oggi entrambi i coniugi spesso lavorano e quindi queste incombenze o le fa chi può quando può, o si demandano al sabato, se possibile e non sempre lo è, perché quasi tutti gli sportelli bancari sono chiusi e così molti uffici pubblici.

In secondo luogo una volta la gente lavorava prevalentemente in ufficio o in fabbrica, mentre oggi sempre più lavori richiedono di lavorare sul campo, ovvero di muoversi, andare presso i clienti, spostarsi. Abbiamo cioè il cosiddetto «lavoratore mobile». Inoltre una volta esisteva il cosiddetto orario di lavoro di otto ore, mentre oggi moltissime persone lavorano ben più di otto ore, e non solo i professionisti, ma anche i dipendenti di molte grandi società.

In terzo luogo una volta si faceva la spesa quasi ogni giorno, e quindi si portavano uno, due pacchi al massimo, e se vogliamo se ne faceva anche di meno: il Paese era meno ricco e la gente non comprava così tanto come oggi. Adesso i centri commerciali sono sempre pieni, la gente ha il tempo di fare la spesa una sola volta a settimana e quindi riempe i carrelli. Basta andare in un supermercato per rendersene conto: tre o quattro sacchetti e due confezioni di acqua sono spesso la norma più che l’eccezione.

Insomma, facciamo molto di più, lo facciamo tutti, lo facciamo in molti posti diversi durante l’arco della giornata e abbiamo sempre meno tempo per farlo. Questo modo di vivere il tempo è incompatibile con l’utilizzo di un sistema pubblico peraltro insufficiente e spesso inefficiente. Basti pensare a quello che succede regolarmente a Roma quando i romani prendono in percentuale maggiore i mezzi, e non parlo dell’autobus, che subisce esso stesso direttamente le conseguenze della congestione del traffico, ma della metro: spesso le autorità comunali hanno dovuto chiudere in questi casi alcune stazioni, come ad esempio quella di Piazza di Spagna, perché il flusso dei passeggeri era talmente alto da renderne pericoloso l’utilizzo, specialmente a Natale e a Pasqua.

Cosa dobbiamo fare?

Cosa bisogna fare allora, visto che cercare di convincere la gente a lasciare la macchina a casa non funzionerà mai finché qualcuno non cercherà di venirle incontro nelle tante esigenze che ha quotidianamente? Accettare il traffico come un prezzo da pagare agli agi della vita moderna? Continuare a prendere la macchina? È indubbio che si debba fare qualcosa, ma questo qualcosa deve andare alla radice, deve incidere sui motivi per i quali la gente prende la macchina e non solo sul traffico in quanto tale, dato che ne è semplicemente la conseguenza.

Di cose da fare ce ne sono tante, ma alcune sono politicamente scomode, e non perché siano impopolari, cosa che non ha mai frenato i nostri politici, ma piuttosto perché toccano gli interessi di personaggi di una certa importanza, soprattutto in una città come Roma che è il centro politico e amministrativo dello Stato.

Fuori la politica dal centro

A Roma, infatti, una parte considerevole della popolazione lavora nell’ambito delle varie istituzioni: Presidenza della Repubblica e del Consiglio, Ministeri, Enti Pubblici. La maggior parte di queste istituzioni ha le sedi principali al centro. Attorno a questo sistema si è venuto a creare inoltre un notevole indotto di tipo privato: logistica, pulizie, riparazioni, ristorazione e persino intrattenimento. A Parigi il problema è stato risolto elegantemente: hanno preso tutti i ministeri e gli enti pubblici e li hanno spostati in una zona periferica fuori città, molto ben servita dalla metropolitana e dai mezzi pubblici, Paris La Defense. Questo ha dirottato una parte considerevole del traffico cittadino fuori dalla città. Ma ce li vedete in nostri deputati, senatori e ministri abbandonare i lussuosi palazzi affrescati della capitale per andare a lavorare in una zona di moderni grattacieli fuori città? Riuscite a immaginare i nostri parlamentari lasciare le lussuose aule del Parlamento per sedersi in un’ambientazione più moderna e austera come è ad esempio quella del Parlamento Tedesco? Un sindaco di Roma che proponesse una cosa del genere probabilmente non verrebbe più ricandidato dal suo partito, di destra o di sinistra poco importa.

Supponiamo tuttavia di riuscirci, supponiamo cioè che il Sindaco riesca a far passare e realizzare un grande progetto di decentramento amministrativo, ben più imponente del vecchio SDO, mai completamente realizzato. A questo punto avremmo una buona percentuale della popolazione dirottata in una zona specifica dove verrebbero ad essere realizzati anche centri commerciali, banche e uffici postali, magari con orari un po’ più elastici di quelli presenti nel resto della città. Oltre ovviamente ad essere collegata alla rete metropolitana e a quella tramviaria e degli autobus, una zona del genere potrebbe anche essere ben servita in termini di collegamenti stradali e parcheggi sotterranei, per coloro che comunque dovrebbero prendere troppi mezzi o avessero problemi di mobilità, come i disabili, ad esempio.

Il fattore «tempo»

Il primo passo è fatto, ma non basta. A questo punto bisogna lavorare sugli orari. Ci sono due problemi qui: gli orari degli uffici che fanno servizio al pubblico e quelli commerciali.

Incominciamo con posta, banche e uffici pubblici. Qui la risposta è nella Rete. Già molti italiani oggi fanno quasi tutto via Internet, ma sono comunque ancora troppo pochi: da uno su cinque a uno su otto, in media. Se si desse l’ADSL gratuito a tutti e si fornissero incentivi a utilizzare i servizi in rete, non ci sarebbero più tutte quelle file agli sportelli, la gente non passerebbe ore per andare di qua o di là, perdendo spesso la metà del tempo a cercar parcheggio. È quindi necessaria una rete civica di servizi, in modo che il cittadino possa fare tutto attraverso il computer. Chi non lo avesse potrebbe usufruire di centri appositi, ben distribuiti all’interno della città, stile Internet Café, magari presso le Circoscrizioni. Ovviamente in questi locali si potrebbero anche organizzare corsi di Internet per principianti, soprattutto ragazzi e anziani.

C’è poi il discorso della scuola. Se esistesse, come negli Stati Uniti, un sistema di autobus scolastici che prelevano i bambini direttamente da casa e li riportano a fine lezione, i genitori potrebbero risparmiare parecchio tempo. Se poi nel nostro sistema scolastico il tempo pieno fosse la norma — tanto comunque a casa i genitori non ci sono — i bambini pottebbero lasciare i libri in aula, dato che non avrebbero più da fare i compiti a casa, e soprattutto non dovrebbero più portare zaini ricolmi come se stessero per partire per una qualche spedizione in Patagonia. Ovviamente bisognerebbe dotare ogni edificio scolastico di armadietti, come negli USA o in Inghilterra. Inoltre, una volta a casa, i nostri figli potrebbero veramente passare il tempo con la famiglia, non avendo loro altri compiti da fare e avendo i genitori più tempo libero dovuto al minor tempo sprecato negli spostamenti.

Per quanto riguarda gli asili e le scuole materne, bisognerebbe incentivare le imprese a mettere a disposizione dei genitori strutture interne alle aziende, e non solo per le mamme, ma anche per i papà, dato che, lavorando entrambi, dei figli si dovrebbe occupare il genitore che ha maggiore flessibilità sul lavoro, uomo o donna che sia.

Veniamo poi agli orari commerciali. Con la maggior parte degli uomini e delle donne che lavorano, riesce difficile capire che senso abbia tenere aperti i negozi durante gli orari d’ufficio per poi chiuderli presto la sera. Questo costringe la gente a concentrare gli acquisti tra le 5 e le 7 del pomeriggio, creando picchi di traffico notevoli. La gente oramai è abituata a fare la spesa sia di sabato che di domenica nei grossi centri commerciali. Se la piccola distribuzione vuole competere con la grande, deve diventare più flessibile, sia negli orari che nell’offerta alla clientela. Il comune dovrebbe lasciare più libertà ai singoli negozianti anche nel rispetto del principio del libero mercato. Ogni commerciante sa, a seconda dei prodotti che offre, del quartiere in cui opera, della strada in cui ha il negozio, quali sono gli orari più adatti nei vari periodi dell’anno. Il Comune dovrebbe solo garantire che determinati generi di prima necessità siano sempre disponibili, come succede con farmacie e benzinai, che hanno turni che garantiscono di trovare sempre un esercizio aperto a qualunque ora del giorno o della notte. Per tutti gli altri, massima libertà.

Il traffico

E veniamo al traffico, finalmente. Per quanto riguarda la viabilità, Roma non ha molti collegamenti da periferia a periferia, a parte il raccordo anulare, oramai insufficiente, per cui spesso chi deve andare da un punto all’altro della città è costretto a passare per il centro. Se ci fosse una metro circolare nei due sensi e se si costruisse un anello interno a scorrimento veloce, un’ulteriore percentuale di traffico non dovrebbe più coinvolgere il centro della capitale. Infine, una volta costruito un centro amministrativo centralizzato fuori dal raccordo, ridotta la necessità di andare in giro a fare cose che possono essere fatte tranquillamente dall’ufficio o da casa pure nei giorni festivi, dato che la maggior parte dei centri commerciali sono già posti all’esterno del G.R.A. si potrebbe costruire un secondo anello in modo da mettere quello attuale a senso unico e usare quello più esterno per il senso inverso. Questo secondo anello non dovrebbe essere posto necessariamente accanto al primo: potrebbe trovarsi anche ad alcuni chilometri di distanza.

Una volta ridotto il traffico al centro della città, si potrebbe pensare di costruire alcuni parcheggi a silos come quello della Magliana o quello automatizzato della Stazione Metro Cornelia che permetterebbero di togliere le macchine parcheggiate ai lati delle strade. Per far ciò si potrebbero svuotare internamente alcuni palazzi del centro che di artistico non hanno nulla, lasciando solo le facciate, e costruendo all’interno parcheggi multipiano. L’eliminazione delle auto dai bordi delle strade, inoltre, aumenterebbe considerevolmente la portata delle stesse e quindi velocizzerebbe lo scorrimento, con una notevole riduzione delle emissioni dannose. Togliendo poi la maggior parte dei semafori, dove possibile, e sostituendoli con rotonde, si avrebbe un flusso scorrevole e poco inquinante.

I mezzi pubblici

Grazie alle strade più libere si potrebbero a questo punto realizzare molte più corsie preferenziali per gli autobus e aumentare il numero di tram. Inoltre si potrebbero gestire le corse come in altre grandi città europee, tipo Praga, dove ad ogni fermata c’è l’orario preciso di ogni linea per quella specifica fermata e questo viene rispettato al minuto. Avere la garanzia di poter effettuare un certo percorso in un certo tempo permetterebbe di prendere i mezzi pubblici anche quando si hanno appuntamenti o si devono fare molte cose in un arco di tempo ristretto.

Bisognerebbe inoltre mettere dei segni sulle banchine della metro nei punti nei quali si aprono le porte delle vetture e ridefinire i percorsi pedonali in modo da evitare pericolosi affollamenti che, nel caso per un qualsiasi motivo si dovesse creare il panico, potrebbero trasformarsi in vere e proprie stragi. Si dovrebbe poi portare l’orario di chiusura della metro almeno all’una di notte, anche le due se il giorno dopo è festivo. Oggi, se uno vuole andare all’ultimo spettacolo del Barberini, ci può anche andare in Metro ma poi deve tornare in taxi o con un autobus notturno, pur avendo la fermata praticamente sotto il cinema. Inoltre, come già detto, sarebbe opportuno avere un paio di linee circolari di superficie per i collegamenti periferia-periferia, magari sfruttando le vecchie linee ferroviarie già esistenti, dove possibile.

E il centro che fine fa?

A questo punto un commerciante con il negozio al centro potrebbe preoccuparsi. Togliamo i politici dal centro con tutta la loro corte, dirottiamo a destra e a manca i flussi di traffico, e al nostro povero commerciante cosa resta? A chi vende?

Vediamo un po’… Non abbiamo più traffico al centro, quindi possiamo trasformare tutto il centro in un’isola pedonale: possiamo togliere l’asfalto e i marciapiedi dalle strade; ripavimentarli con larghe piastrelle di pietra comode da camminarci sopra e non quei terribili sampietrini che spezzano i tacchi e rompono le piante dei piedi, come in molte cittadine tedesche; mettere al centro di ogni strada una pista ciclabile rossa nei due sensi per ciclisti e pattinatori, come ad Amsterdam; porre ai lati delle piste ciclabili delle panchine per far sedere le persone, soprattutto gli anziani; illuminare bene le strade la sera e d’inverno con lampioni che non emettono verso l’alto e che si accendono e spengono automaticamente a seconda della luminosità della giornata; costruire insomma una sorta di enorme centro commerciale all’aperto. Il tutto, ovviamente, nel rispetto dei residenti e delle loro esigenze di quiete, studiando i vari settori in modo da accentrare le zone di intrattenimento notturno lontano dalle abitazioni, ad esempio dove attualmente sono gli edifici ministeriali o comunque della pubblica amministrazione.

Quindi potremmo utilizzare gli splendidi palazzi che abbiamo liberato dai politici per organizzare mostre ed eventi culturali. Ogni volta che si è fatta una mostra a Roma ci sono state file incredibili, e non solo di turisti, ma anche di italiani e persino di romani! In questo modo aumenteremmo la potenziale clientela e creeremmo un ambiente adatto allo shopping a tutte le ore.

Naturalmente dovremmo riservare alcune strade alla distribuzione della merce utilizzando magari anche un servizio di navette cargo che da quelle aree potrebbero trasportare i carichi più pesanti a tutti i negozi del centro, anche nella zona pedonale, ma solo in certe fasce orarie della giornata. Analogamente potremmo poi prevedere alcune linee servite da piccoli minibus elettrici da prendere al volo lungo alcune dorsali della zona pedonale, soprattutto per gli anziani e i disabili, e un servizio di navette per i residenti, da casa fino a un parcheggio di scambio, dove pagando una cifra molto bassa, ogni residente del centro potrà avere uno o più posti auto. Sempre per i residenti, potrebbe essere istituito un servizio di consegna della spesa a domicilio dal parcheggio dove verrà lasciata la macchina, all’abitazione. Sono tutti posti di lavoro.

Quanto costerebbe tutto ciò?

Studiando bene il piano di ristrutturazione, si potrebbe creare un progetto a costo zero, o comunque molto basso. Il maggior numero di visitatori nei musei, il rilancio del commercio e soprattutto dell’artigianato in quello che sarebbe a tutti gli effetti una sorta di enorme centro commerciale e culturale, potrebbe generare quella ricchezza che bilancerebbe nel giro di cinque, dieci anni al massimo, i costi del progetto stesso.

Insomma, per ridurre il traffico non bisogna agire tanto sul numero di veicoli, quanto sull’orgizzazione e i tempi della città, ridurne il battito frenetico, semplificare la vita alle persone, restuituire loro la risorsa più preziosa e importante che oggi abbiamo: il tempo.

Comments (7) to «Il traffico: causa o sintomo?»

  1. utente anonimo says:

    è incredibile, nel corso del tempo ho fatto le stesse identiche riflessioni, e come me le hanno fatte tante altre persone che conosco. è incredibile come, ad esempio, tutti siano ancora ancorati ad un modello di lavoro del tipo “orario di ufficio”, e quando gli si dice che uno nella giornata deve fare diverse cose ti guardano strano.

    ed è incredibile pensare a come in effetti siamo in ostaggio di una burocrazia col fondoschiena pesante.

  2. utente anonimo says:

    perchè non fare la rivoluzione
    non faccio una critica negativa all’articolo. è sicuramente positiva. l’unico appunto che faccio è il seguente: tutto bello per essere vero. Nel senso che anche io ho iimaginato uno scenario simile a quello descritto, ma solo una rivoluzione armata ci potrebbe permettere di realizzare una cosa di questo genere. Il problema è come quello che chiediamo ai nostri politici (dipendenti pubblici) di diminuire la spesa pubblica… Ovvero è come chiedere ad un impiegato di abbassarsi lo stipendio da solo…
    A parte l’ironia, io propongo di indire una raccolta di firme per chiedere all’amministrazione comunale di attuare il programma descritto nell’articolo.
    AL

  3. Non credo sia necessaria una rivoluzione, così come non è necessario attuare l’intero progetto proposto, anche se il suo valore sta proprio nell’intervenire contemporaneamente su più fronti.

    Il Comune potrebbe comunque iniziare a sviluppare delle iniziative che vadano nella direzione proposta, invece di limitarsi ad instituire qualche domenica o mercoledì senza macchine, magari in contemporanea a uno sciopero dei mezzi pubblici, aggiungendo disagio a disagio.

    Forse qualcuno in Comune non lo sa, ma ci sono persone che il sabato e la domenica lavorano!

  4. EnricoC says:

    L’articolo è interessante, molte idee sono giuste, ma alla fine la morale che se ne potrebbe trarre è che siccome finché non si cambia tutta l’organizzazione sociale il traffico è inevitabile, allora tocca tenercelo! E io su questo non sono d’accordo.

    Io invece penso – come ho scritto anche sul newsgroup news://italia.roma.mobilita a proposito di questo articolo – che eliminare la congestione delle automobili che avvelena e opprime la città sia la mossa numero 1, imprescindibile, una questione di sopravvivenza, e che su questa base saremo costretti a riorganizzare il
    tutto e magari cambiare il nostro stesso stile di vita.

    Per esempio, Dario scrive, giustamente

    | In terzo luogo una volta si faceva la spesa quasi ogni giorno, e quindi
    si portavano uno, due pacchi al massimo, e se vogliamo se ne faceva anche
    di meno: il Paese era meno ricco e la gente non comprava così | tanto come
    oggi.

    Bene, allora si tratta di tornare a fare la spesa un po’ più spesso, e
    forse compare un po’ meno pacchi quando si fa shopping, oppure usare i
    servizi di consegna a domicilio, in modo da non aver sempre bisogno del
    portabagagli 😉

  5. Non sono d’accordo, Enrico. Per due motivi: il primo è che il modo in cui si viveva una volta era legato a ritmi differenti, basati su una tipologia di famiglia differente e a modi di lavorare differenti. Ad esempio, il classico orario da fabbrica o da ufficio. Tornare indietro non si può, a meno di non volere rivoltare dalle fondamenta l’intero sistema, cosa non auspicabile perché comunque molti cambiamenti hanno aspetti estremamente positivi e comunque non reversibili. Il secondo motivo è che una città è qualcosa che vive, nella quale esistono mille esigenze e necessità. Spesso, quando chiudono il centro, i media intervistano gente felice e allegra di poter andare in giro a piedi o in bicicletta. Peccato che in quei giorni, inclusa la domenica, c’è molta gente che lavora, magaria decine di chilometri da dove abita, e non ci può certo andare in bicicletta. Pensa solo a un padre separato che magari ha solo due ore per stare con i propri figli proprio quel giorno e vede svanire la possibilità a causa della difficoltà oggettiva di andarli a prendere. Purtroppo, quando si cerca di risolvere questi problemi, lo si fa senza pensare agli effetti collaterali, cioè alle “vittime” di certe decisioni.

    Mi spiace, ma il problema si può risolvere. Certo, ci vorrà un po’ più di tempo, ma non sono forse anni che aspettiamo?

  6. utente anonimo says:

    Tutto giusto e logico, ma considera anche che una delle cause è la sovrappopolazione(che è la causa di tutti i mali). Siamo troppi, per vivere bene meno si è, meglio si sta. Questo non entra in testa ai nostri politici, che invece incitano le persone a moltiplicarsi sempre di più. Siamo già 60 milioni!! Fra poco saremo sommersi dai nostri stessi rifiuti, dal cemento delle nuove case e strade, dalle nuove auto… se la tendenza non si inverte,come sembra certo, la situazione è destinata a precipitare nel giro di pochi anni. I nostri figli staranno molto peggio di noi.
    Purtroppo bisogna prenderne atto….
    amari saluti
    Sibilla

  7. Sibilla, la sovrappopolazione è sicuramente un problema, ma non da noi. Siamo 56 milioni e abbiamo un incremento demografico negativo. Io sono stato in Giappone, un paese molto simile all’Italia come dimensioni e orografia e lì la popolazione è molto maggiore. Come ho già scritto altrove, il problema è che da 6 miliardi rischiamo di diventare 20 miliardi in meno di cento anni. Alla base di questa esplosione demografica ci sono una serie di fattori dei quali discuterò in un altro articolo che mostrerà come l’alternativa pone seri problemi etici. Il discorso è tutt’altro che semplice. Ma di questo, appunto, parlerò in un altro post. Ciao e grazie per la visita.

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