Un debito di gratitudine



L’agenzia di stampa Reuters ha riportato ieri la notizia di un gruppo di bagnanti neozelandesi salvati il 30 ottobre 2004, da un gruppo di delfini dall’attacco di un grande squalo bianco.

Rob Howes, la figlia quindicenne Niccy, Karina Cooper e Helen Slade stavano nuotando a circa 100 metri dalla costa al largo di Ocean Beach, vicino a Whangarei, nell’isola più settentrionale della Nuova Zelanda, quando un branco di delfini li ha circondati. All’inizio i bagnanti non hanno capito per quale motivo, per cui hanno cercato di uscire dal cerchio, ma i delfini hanno prima sbarrato loro il passaggio e poi li hanno spinti indietro. Solo a quel punto Rob ha visto a meno di due metri da lui un grande squalo bianco di circa tre metri. Per circa 40 minuti i delfini hanno circondato i quattro e li hanno protetti finché non sono riusciti ad arrivare a riva.

Di notizie simili si sente spesso parlare e d’altra parte, che i delfini abbiano spesso aiutato i marinai caduti in mare dall’attacco di squali o dal rischio di annegamento, è storia vecchia, tanto che i primi racconti risalgono addirittura all’epoca dei Romani. In genere si tende a spiegare questo comportamento con il fatto che i delfini siano soliti proteggere in questo modo i loro piccoli e che vedano in noi una specie affine, essendo entrambi mammiferi. Da un punto di vista scientifico è ragionevole. Tuttavia, salvo alcuni casi di «adozione» fra specie diverse, non risultano esserci in natura comportamenti protettivi fra specie in base a criteri di semplice affinità.

Se ne deduce, a mio avviso, che questo tipo di comportamento nei delfini è molto di più che un riprodurre i meccanismi difensivi nei confronti della loro prole, ma piuttosto una vera e propria scelta ragionata e, di conseguenza, una scelta «etica». Una scelta di questo tipo va ben oltre la semplice assunzione di intelligenza: essa attende all’esistenza di principi morali e quindi di una struttura sociale complessa, ovvero di una vera e propria cultura. Se così fosse i delfini dovrebbero essere messi sullo stesso piano di quelle tribù primitive che ancora oggi ogni tanto vengono scoperte nel cuore di quei pochi territori del nostro pianeta che sono ancora inesplorati o comunque poco conosciuti.

In questo caso abbiamo nei loro confronti ben più che il semplice riconoscerli quale specie intelligente: abbiamo il dovere morale di rispettarli e di rispettare il loro ambiente e la loro cultura. E poi, non dimentichiamolo, abbiamo nei loro confronti un debito di riconoscenza e gratitudine per tutte le volte che hanno salvato la vita a individui della nostra specie.

Comments (1) to «Un debito di gratitudine»

  1. Ho saputo solo oggi che i delfini in questione sembrano siano stati uccisi da alcuni pescatori. Se dovesse risultare vero sarebbe un ben triste epilogo della vicenda.

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